GIORGIO FRANCHI | Verrebbe da pensare che in un momento storico in cui si incrociano pandemia, tracollo economico, crisi di governo e Brexit, oltre al riscaldamento globale ormai fuori controllo e a un discreto numero di guerre ben lontane dai riflettori, sia impossibile trovare il tempo per indignarsi per qualcos’altro. E invece, abissine La Molisana.
Ormai la notizia è di qualche settimana fa, ma le polemiche sulla pasta, a differenza del prodotto che interessano, non hanno data di scadenza: basti pensare che il post da cui è partita la protesta fa riferimento alle “vicissitudini dell’omofoba Barilla”, legate a un’affermazione che Guido Barilla fece ben otto anni fa. Dal 2013 Barilla ha compiuto enormi passi avanti nell’inclusione delle famiglie LGBT+, come evidenzia questo articolo, ma per l’opinione pubblica è servito a poco.
Tornando a La Molisana: tutto nasce quando il fotografo Nicola Bertasi condivide su Facebook uno screenshot della pagina web del pastificio, dedicato al formato di pasta abissine. La descrizione ne racconta la nascita negli anni ’30 come elemento celebrativo del colonialismo italiano, concludendo con la frase: «di sicuro sapore littorio, il nome delle abissine rigate all’estero si trasforma in shells». È la miccia che fa esplodere il famoso panico sui social, termine sensazionalistico coniato dalla stampa per definire un hashtag di tendenza per mezz’ora e due inutili petizioni su Change.
Il sito del Gambero Rosso difende La Molisana, sostenendo che la descrizione è sicuramente una gaffe, ma che non elogia in alcun modo il fascismo. La strategia comunicativa dell’azienda fa della narrazione della storia di un prodotto il proprio cardine, senza esprimere giudizi su un’epoca o un’altra. Il “sicuro sapore littorio” si riferirebbe non alla pasta (in effetti, più che un’apologia a Mussolini suonerebbe come una battuta di Fascisti su Marte o delle Sturmtruppen), bensì alla scelta del nome abissine. Certo, un copywriter dovrebbe avere abbastanza malizia da fiutare i doppi sensi prima che a farlo sia il cliente: resta che la reazione, per quanto prevedibile, sembra comunque un filo esagerata. Da quando ci sconvolgiamo così tanto per una parola sbagliata in una pubblicità?
Da quando abbiamo imparato l’importanza delle parole, viene da pensare. La politica, come il domestico Kato in La Pantera Rosa, colpendo a tradimento ci insegna a difenderci. Il richiamo a un’altra era è il sale dell’oratoria, riuscire a farlo subdolamente (meme docet) ne è l’ultima frontiera. Se Mussolini citava Cesare, Virgilio e Augusto per screditare i nazisti (che nel 1934 erano ancora nemici), citare Cesare, Virgilio e Augusto oggi significa citare il Duce per proprietà transitiva.
C’è da stupirsi, anzi, che nessun esponente di quei partiti che strizzano l’occhio al fascismo per davvero si sia fatto una bella spaghettata La Molisana davanti alle telecamere (Nutella vi dice qualcosa?). Probabilmente il dibattito è diventato un campo minato. Gli anticorpi di alcuni cittadini sono diventati efficienti, così efficienti da segnalare il pericolo prima che arrivi, come i cani con i temporali, e a serbarne il ricordo per decenni. Pochi di loro, evidentemente, lavorano nella pubblicità. L’anticorpo riconosce un organismo esterno al sistema che infetta, diverso per forma e caratteristiche: un virus, il cui obiettivo è mutare l’ambiente circostante a proprio vantaggio, devastandolo. Non diversamente dal colonialismo.
A oggi non sappiamo se la pasta possa riportarci al fascismo, ma si può certo supporre. La famosa polentata di Pontida, alla fine, non era solo una celebrazione del piatto migliore della cucina lombarda (e mondiale, nda), ma soprattutto il virus celtico che si insinuava in una Italia settentrionale dove spopolava la pasta secca, che aveva guadato il Po da sud prima di imporsi in tutta la Pianura Padana. E così i costumi da druidi, la ripresa della lingua galloromanza lombarda, i riti dei celti. L’ispirazione a una realtà ideale ormai tramontata, la sua citazione in gocce omeopatiche come manifesto politico.
Tutto questo ci riporta all’invasione del congresso, la Pontida d’oltreoceano con lo stesso “sapore littorio” al retrogusto di Village People. Il paragone semantico con la cucina, anche grazie alle origini italiane dello sciamano Jake De Angeli, è semplicissimo: se la pasta amata da Mussolini ha portato il virus del colonialismo in Etiopia, il santo patrono delle fake news Donald, attraverso il suo suddito vestito di corna e pelli bovine, ha portato la… bufala nel Congresso.