GIAMBATTISTA MARCHETTO | Figlio di una tradizione altissima che nel Novecento ha visto “piovere” sulla scena europea e internazionale geni quali Gombrowicz, Kantor e Grotowski, Krzysztof Warlikowski si inserisce nella corrente polacca di rinnovamento dei linguaggi teatrali che ha attraversato l’Europa tra l’ultimo scorcio del Novecento e i primi decenni del nuovo millennio. Al suo lavoro ironico e dissacrante La Biennale ha attribuito il Leone d’oro alla carriera per il Teatro.
L’istituzione veneziana ha infatti annunciato l’assegnazione del riconoscimento per il 2021 al regista polacco, figura emblematica del teatro post-comunista, che ha portato visioni dense e crude sui palcoscenici dei maggiori festival internazionali (dall’Europa alle Americhe), ma ha anche colpito nel segno con allestimenti lirici nei più importanti teatri d’opera (da Parigi a Londra e Salisburgo).
SCUOLA POLACCA
Con Warlikowski, artista senza filtri nel prendersi sul serio (nelle interviste) e invece nel giocare senza paradigmi nella messinscena, il Leone torna in Polonia. Il regista e direttore artistico del centro culturale internazionale Nowy Teatr di Varsavia ha saputo fondere linguaggi e toccare il pubblico nell’intimo senza risultare manierista. «Da più di vent’anni – si legge nella motivazione – è fautore di un profondo rinnovamento del linguaggio teatrale europeo. Utilizzando anche riferimenti cinematografici, un uso originale del video e inventando nuove forme di spettacolo atte a ristabilire il legame tra l’opera teatrale e il pubblico, Warlikowski sprona quest’ultimo a strappare il fondale di carta della propria vita e scoprire cosa nasconde realmente».
Warlikowski – secondo Ricci/Forte – è «un artista libero che apre brecce poetiche, illuminando con un fascio di luce cruda il rovescio della medaglia; che rompe la crosta delle cose toccando le coscienze; che scende nelle viscere del dolore e mette in discussione con ironia le ambiguità sia della Storia con la “s” maiuscola sia quelle della nostra esistenza individuale, offrendoci la visione di una società minacciata da cambiamenti radicali e sempre più assediata da una tentacolare classe dirigente di predatori famelici, evidenziando la violenza nei rapporti sociali e familiari e il bisogno urgente che l’emozione di un puro e semplice desiderio d’amore ci può donare».
POESIA (QUASI) POP
Scelta intrigante anche quella del primo Leone d’argento indicato dai nuovi direttori della Biennale Teatro, Stefano Ricci e Gianni Forte. A ricevere il premio che guarda ai trend emergenti sarà infatti l’inglese Kae Tempest, figura poliedrica che riunisce l’identità di poeta, rapper e performer in (affollatissimi) reading che lasciano il segno, ma sviluppa anche l’autoralità teatrale e narrativa.
Tempest è «la voce poetica più potente e innovativa emersa nella Spoken Word Poetry degli ultimi anni», recita la motivazione per il Leone d’argento. E in effetti da poeta-performer ha saputo essere pop, ma di rottura, scalando le classifiche editoriali e raccogliendo consensi internazionali per la sua capacità di «dissezionare e raccontare con sguardo lucido angosce, solitudine, paure e precarietà di vivere, i più invisibili eppure concreti compagni di vita della nostra epoca».
A Tempest è attribuito il riconoscimento «per l’audacia luminosa nel posizionare deflagranti inneschi riflessivi e per voler ancora sperimentare in un genere definito di nicchia, come la poesia, mescolando l’aulico con il basso, la rabbia con la dolcezza degli affetti – tra versi e rime taglienti di shakespeariana memoria e dal forte contenuto sociale, miti classici e ibridazioni hip hop – arrivando a parlare col cuore a un pubblico sempre più vasto, entrandoti fin dentro le ossa, costringendoti a specchiarti nella tua dolorosa intimità».
SFIDE INTERNAZIONALI
La scelta della nuova direzione della Biennale Teatro va nella direzione di una valorizzazione della molteplicità dei linguaggi. Come già accaduto in passato, il Leone d’oro non ha un bagaglio solo e strettamente teatrale, avendo lavorato molto nella lirica e soprattutto intrecciando sulla scena parola, suoni, video, installazioni. Uno slittamento che si spinge oltre con il Leone d’argento a Kae Tempest, che pur vestendo i panni di performer è prima di tutto artista di parole, di poesia, di suoni.
Non si può dire che siano personaggi pop nel senso ampio del termine, perché per un pubblico generalista rimangono espressione di linguaggi dall’impatto comunicativo complesso. Allo stesso tempo Warlikowski prende Shakespeare e lo stravolge mescolandolo a Euripide in una dinamica immediata e a tratti provocatoria nella contemporaneizzazione, costruisce paradossi densi di ironia intellettuale e che allo stesso tempo generano la risata, gioca con il pubblico e rovescia l’astrazione in azioni fisiche, materiche, esagerate talvolta.
Tempest poi è allo stesso tempo poesia e rap, rap poetico e poesia urticante, gioca costantemente su provocazioni e paradossi. Non è certo un soggetto facile, ma è accessibile e transgenerazionale se si pensa che le sue performance richiamano folle di giovanissimi e meno giovani, riuniti nell’attrazione che la parola conferisce ai testi di Tempest (per non parlare del fatto che a 27 anni era in nomination per il premio Mercury e indicata dalla Poetry Book Society come una delle 20 personalità della nuova generazione di poeti).
Rimangono aperti interrogativi su come queste scelte andranno ad impattare su un pubblico che guarda all’Italia dal mondo. In fondo la Biennale si trova a lanciare sfide, ma anche a farsi amplificatore di movimenti tettonici che la cultura internazionale rimanda verso quell’isola universale che è Venezia. Con questi Leoni probabilmente l’istituzione non guarda al proprio ombelico e la nuova direzione di Ricci/Forte sembra avviare un discorso di ampio respiro, ma senza dubbio deve giocare di dialogo per coinvolgere una community non autoreferenziale, ma dialetticamente aperta alla città e alla scena globalizzata.