RITA CIRRINCIONE | A dispetto della sua impassibile monumentalità e dell’imponenza della sua macchina organizzativa, nelle alterne ore della pandemia il Teatro Massimo di Palermo ha mostrato una straordinaria dinamicità e un incessante processo di adeguamento al succedersi delle disposizioni dei vari DPCM.
Dopo la sospensione di tutte le attività dal vivo avvenuta con il lockdown di marzo, all’inizio di luglio, in una prima riprogrammazione frutto di un lungo lavoro di adeguamento alle misure anti Covid, prende il via il festival dal titolo beneaugurante Sotto una nuova luce, con l’intero repertorio ripensato e lo spazio teatrale rivoluzionato: la platea, libera dalle poltrone, destinata all’orchestra; il pubblico spostato nei palchi; il numero dei posti ridotto a duecento.
Ma a seguito dei DPCM 24 ottobre e 3 novembre, la seconda parte del Festival che prevedeva una serie di appuntamenti con opere in forma semiscenica, concerti e balletti in presenza del pubblico, viene cancellata.
Ecco ancora un cambiamento che vede il Teatro Massimo trasformarsi in un grande teatro di posa: aderendo all’iniziativa dell’ANFOLS Aperti nonostante tutto, prende il via un programma di produzioni ad hoc in diretta streaming sulla Web Tv del Teatro in assenza di pubblico ma con gli artisti “in presenza”.
Sempre in live streaming si arriva agli appuntamenti natalizi con lo spettacolo della Massimo Youth Orchestra nella straordinaria cornice del Duomo di Monreale e al Concerto di San Silvestro-Wellber.
All’interno di un Teatro chiuso ma non impermeabile all’emergenza sanitaria in corso, il concerto diretto da Omer Meir Wellber innesta nel consueto repertorio natalizio interventi elettroacustici con le voci e i suoni di questo tempo speciale e la proiezione delle drammatiche immagini di questi mesi di pandemia entrate ormai nell’immaginario collettivo che conferiscono allo spettacolo una paradossale ambientazione onirica e allo stesso tempo creano un’osmosi quasi alchemica tra “dentro” e “fuori”.
E forse, sapendolo abitato, illuminato e animato dalla musica, diventa accettabile l’idea di restarne fuori a quel pubblico palermitano che, come in un rituale laico, ama iniziare l’anno all’interno del proprio Teatro.
Con il nuovo anno, sotto l’imperativo Non vi lasciamo senza musica, ancora altri appuntamenti in diretta streaming e un’inconsueta inaugurazione della stagione 2021 con lo spettacolo Il crepuscolo dei sogni sotto la regia di Johannes Erath e la direzione musicale di Omer Meir Wellber.
Pensato come performance site specific con l’utilizzo di tutti gli spazi del teatro come un grande palcoscenico, lo spettacolo ha messo in campo un poderoso dispiegamento di masse artistiche (l’Orchestra, il Coro, il Coro delle voci bianche e il Corpo di ballo oltre ai tre solisti – il soprano Carmen Giannattasio, il baritono Markus Werba e il basso Alexandros Stavrakakis) sviluppando il percorso musicale su una traccia drammaturgica che ritrae un’umanità smarrita, sospesa tra sconforto e attesa, in uno scenario lunare quasi post catastrofico, che alla fine lascia intravedere una luce di speranza e una possibilità di rinascita.
Principale artefice di questo dinamismo organizzativo e instancabile adeguamento programmatorio è Francesco Giambrone. Membro del Consiglio di Amministrazione dell’Ente Autonomo Teatro Massimo sin dagli anni novanta, nel 1997 ha partecipato alla sua riapertura divenendone Sovrintendente due anni dopo. Nel 2014 è tornato a ricoprire la carica che – dopo la terza nomina nel settembre 2019 – tuttora riveste.
Oltre all’attività accademica e come critico musicale, il cursus honorum professionale di Francesco Giambrone testimonia un costante impegno nella salvaguardia e nella valorizzazione dei teatri e di altre istituzioni culturali (è stato sovrintendente della Fondazione Teatro del Maggio Musicale Fiorentino; presidente del Conservatorio di Musica di Palermo; vicepresidente del Théâtre des Italiens di Parigi; presidente dell’Associazione Teatri Aperti).
A un profondo radicamento nel territorio e nel tessuto intellettuale e politico della città – è stato Assessore alla Cultura del Comune di Palermo nella Giunta Orlando tra il 1995 e il 1999, il 2012 e il 2014 – Giambrone unisce una visione culturale di respiro nazionale ed europeo. Dal settembre 2019 è Presidente dell’A.N.F.O.L.S., Associazione Nazionale Fondazioni Lirico Sinfoniche che riunisce i dodici teatri d’opera presenti sul territorio nazionale, e dal novembre 2020 è membro del Board of directors di Opera Europa, l’organizzazione internazionale che ha sede a Bruxelles e che raccoglie tra i suoi associati più di duecento teatri d’opera europei.
Chi meglio di lui per fare il punto su una realtà – quella dei teatri d’opera e delle fondazioni lirico-sinfoniche – che per tanti versi può essere considerata privilegiata ma che non sfugge alle profonde criticità che la pandemia ha portato nel mondo dello spettacolo dal vivo?
Francesco Giambrone, la pandemia che ormai imperversa da un anno ha profondamente scosso il mondo della cultura e dello spettacolo dal vivo suscitando in coloro che in quel mondo si muovono sentimenti disparati che vanno dalla rabbia alla rassegnazione, dall’autocommiserazione allo slancio creativo. Con quale animo ha vissuto e sta vivendo questo tempo?
Certamente all’inizio, quando ancora non sapevamo bene come affrontare questa sconvolgente novità, la reazione è stata di grande smarrimento e preoccupazione. Poi col passare del tempo la prolungata chiusura del Teatro e il bisogno di riappropriarci degli spazi di incontro e condivisione ha spinto tutti noi a trovare soluzioni e nuove strade per poterci ripensare e per reimmaginare la nostra missione. L’ulteriore chiusura degli ultimi mesi ha creato un nuovo smarrimento e ci sta facendo sentire con molta sofferenza la prolungata mancanza del pubblico ma quello che prevale è la sensazione di essere davanti ad una grande sfida che ci impone l’obbligo di trovare formule innovative per mantenere attivi i nostri teatri e la nostra funzione di servizio pubblico. Ora siamo pienamente consapevoli che non è più il momento per farci prendere né dallo smarrimento né dalla rabbia, ma sentiamo forte e chiaro il bisogno e la responsabilità di andare avanti e di accettare questa sfida nel modo più creativo.
Sin dall’inizio della pandemia la scelta dell’Ente Teatro Massimo è stata quella di non fermarsi e di continuare le attività. Quanto questa decisione è maturata dalla condivisione di scelte da parte di organismi associativi di cui il Teatro fa parte e che lei presiede e quanto dalla valutazione del contesto locale? Penso alla memoria traumatica dei lunghi anni in cui le porte del Teatro Massimo sono rimaste sbarrate. Ritiene che quella chiusura in qualche modo, anche sotterraneo, abbia influito?
Neanche in modo tanto sotterraneo! La decisione ovviamente è nata nel contesto condiviso di un sistema nazionale che, seppur nell’eterogeneità di istanze e condizioni territoriali, ha ritenuto di condividere la scelta di rimanere in attività rispettando ovviamente le regole e le indicazioni che si sono succedute con i vari DPCM e ordinanze regionali. Ma gli aspetti legati al contesto locale, a quella ferita ancora così viva e presente, sono stati determinanti: non dimentichiamo che il Teatro Massimo ha subito 23 anni di chiusura non a causa di una pandemia ma per colpa di quel sistema mafioso e omertoso che ha fatto sì che il Teatro venisse negato alla città e al suo pubblico. Il ritorno a quel tempo in cui il Teatro era chiuso, in una specie di flash back drammatico e straniante, ci ha dato un’ulteriore spinta per essere più motivati a riaprire subito. Tant’è che a luglio siamo stati forse gli unici in Italia a riaprire al chiuso e non all’aperto. Sarebbe stato molto più facile e immediato allestire una stagione estiva all’aperto al Teatro di Verdura, invece abbiamo voluto riaprire il Teatro per dare un forte segno di riappropriazione simbolica dello spazio che ci veniva negato di nuovo e che sentivamo tutti il bisogno e l’urgenza di riprenderci.
Amministrare una realtà complessa come l’Ente Teatro Massimo è già molto impegnativo in tempi normali; quali sono state le maggiori difficoltà incontrate in questo periodo – forse il più critico dal secondo dopoguerra – e in quale ambito specifico?
Considerata la grande complessità del momento che stiamo vivendo, le difficoltà sono state e sono ancora molte. Si tratta in primo luogo di difficoltà legate ai tempi e alle modalità di programmazione degli spettacoli: ci siamo ritrovati da un lato a dover cancellare intere produzioni, frutto di anni di lavoro, a poche settimane dal debutto e, al tempo stesso, a riprogrammare nuovi spettacoli nel giro di poche settimane. Il tutto in un contesto in costante mutamento, che quindi richiede di riadattare più volte le attività programmate a seconda delle contingenze legate all’evoluzione della pandemia e ai protocolli di sicurezza.
Non di secondaria importanza la necessità di tenere vivo il rapporto con il nostro pubblico e, al tempo stesso, di permettere alle masse artistiche di continuare a lavorare. In tal senso ha sicuramente giocato un ruolo essenziale l’uso della tecnologia e dei canali di comunicazione digitali. Il lavoro già avviato negli anni scorsi con la web tv del Teatro è stato un ottimo punto di partenza per reinventarci e per costruire un percorso che ci ha permesso di continuare a lavorare e a interagire, anche se indirettamente, con il pubblico.
Non posso non fare riferimento, quando si parla delle difficoltà affrontate in questo periodo, alla complessità delle misure di sicurezza volte al contenimento della pandemia, che hanno rivoluzionato da più punti di vista le nostre abitudini e il nostro modo di lavorare. Si tratta di una dimensione assolutamente inedita della responsabilità personale e collettiva di tutti coloro che lavorano in Teatro, volta a garantire la tutela della salute pubblica.
Ultima, ma non per importanza, la preoccupazione legata alla sostenibilità economica. Abbiamo dovuto fare i conti, in questi mesi, con l’assenza di ricavi propri e con ammanchi di milioni di euro derivanti da biglietti e abbonamenti non venduti e visite guidate annullate.
Considerati “i parenti ricchi” della grande famiglia dello spettacolo, tanti teatri d’opera, e con essi il Teatro Massimo, in questo periodo stanno conducendo una campagna rivolta agli spettatori invitandoli a un sostegno concreto attraverso donazioni, destinazione del cinque per mille e altri sistemi. Verrebbe da chiedere con una battuta: “Anche i ricchi piangono”?
Direi di sì, ammesso che ci si possa definire ricchi. Le attività che portiamo avanti sono estremamente costose e richiedono risorse che i sovvenzionamenti pubblici non riescono mai a coprire del tutto, malgrado le istituzioni si siano dimostrate molto attente alla nostra situazione. A questo si aggiunge l’aver perso in questi mesi di chiusura al pubblico un asset fondamentale del nostro bilancio, quello dei ricavi propri della biglietteria e delle visite guidate.
Nessun teatro vive solo di ricavi propri ma nessun teatro può vivere senza ricavi propri, specie se deve anche affrontare costi imprevisti e ingenti come quelli connessi all’applicazione dei protocolli Covid.
La sua posizione all’interno delle associazioni che riuniscono le Fondazioni lirico-sinfoniche a livello nazionale ed europeo le consente uno sguardo davvero ampio. Come immagina il futuro dei teatri d’opera da tale osservatorio? Quale eredità lascerà questa esperienza?
Non so, il futuro è per tutti noi una grande incognita. Mi pare però di poter dire con soddisfazione che i teatri italiani hanno fatto un grande sforzo, superiore a quello fatto da altri teatri in Europa e nel mondo che sono chiusi dall’inizio della pandemia e non hanno neppure optato per la produzione in streaming.
Ritengo che il sistema italiano possa essere fiero di aver saputo rispondere a questa situazione. I progetti che sono stati pensati, ad esempio, per le inaugurazioni di Stagione, pur nella loro grande eterogeneità, denotano una qualità molto alta della proposta: a cominciare dal progetto del Teatro dell’Opera di Roma con il Barbiere di Siviglia con la regia di Mario Martone, passando per il progetto del Teatro alla Scala, con il suo kolossal inaugurale, al progetto del Teatro Massimo di Palermo, appositamente pensato per questo momento di pandemia, che declina la messa in scena in modo tutto nuovo e inedito. Ma soprattutto c’è da apprezzare il fatto che tutti i teatri sono aperti, che, pur essendo chiusi al pubblico, sono a lavoro e continuano a programmare. Allora da questo mio osservatorio noto con orgoglio che i teatri italiani hanno saputo reagire alle difficoltà reinventandosi e dando una bella dimostrazione di come rispondere alle difficoltà.