Tanatosi (solo per difendersi)
di Elena Martini
Il fulcro dello spettacolo teatrale Animali da bar è tutto nel titolo: evoca all’istante uno scenario acceso, dinamico, palpitante. Gli animali protagonisti sono selvatici, sono le persone genuine che abitano i bar di periferia o di quartiere, ciascuna col proprio disagio nei confronti della vita, con un modo proprio di agire e di reagire ad essa. Tutti sono aggrappati alla speranza di un cambio di direzione, da perseguire con tenacia. A rappresentare perfettamente questa situazione è un’immagine dedicata alla pièce, in cui l’illustratore Federico Bassi tratteggia a china un bicchiere di birra colpito da un proiettile, che rimane miracolosamente integro, nonostante sia stato colpito in pieno. È come scappare da una minaccia senza avere un varco; il regno animale talvolta ricorre alla tanatosi (dal greco “thanatos” cioè morte), si tratta di quel comportamento che si attiva per difendersi dai predatori o da un pericolo e perciò viene finta la morte, perché manca la via di fuga.
Gli animali da bar non potendo fuggire dall’esistenza, rammentano di essere vivi prendendosi di mira a vicenda, si vogliono salvare dalla morte mentre celano le loro fragilità. L’autore di questo testo teatrale è Gabriele Di Luca, l’anima della compagnia Carrozzeria Orfeo, formata con Massimiliano Setti e Luisa Supino nel 2007, nella quale, comunque, fluisce un lavoro di squadra per la cura della regia, la stesura finale della scrittura, l’interpretazione attoriale e la composizione di musica originale. Nelle loro produzioni si respira quell’aria frizzante che già si ritrova navigando tra le finestre del sito della compagnia. Carrozzeria Orfeo sviluppa temi attuali, ispirandosi alla scrittura americana e nord-europea, che non è solita dividere manicheisticamente il mondo tra bene e male, giusto e sbagliato, mostrando piuttosto il presente nella sua crudezza, senza filtri. Il loro è un teatro pop, che si spinge volentieri verso un dialogo con lo spettatore; gli spettacoli mostrano “un canale aperto sull’empatia”, come ha rivelato Di Luca in occasione di un incontro organizzato con il Teatro Era e l’Università di Pisa. Gli allestimenti, in altri termini, riescono, attraverso la comicità, a coinvolgere lo spettatore, gettando nel contempo una luce molto forte, violenta sulla realtà. Luce che induce all’immedesimazione, al rispecchiamento e che dunque stimola la riflessione su temi profondi, dolorosi, sofferti.
Questo complesso viluppo lo si ritrova in Animali da Bar, opera nella quale il terzo millennio è raccontato con irriverenza, tramite battute pungenti, adottando un linguaggio colorito, crudo, vero. Un modo di esprimersi tutto “contemporaneo” che caratterizza appunto la poetica della compagnia. Non c’è un personaggio che emerge: si è piuttosto di fronte a un groviglio, un coro di storie, che entrano ed escono dal bar. Un accento si potrebbe porre su Swarovski, il soggetto che Di Luca considera una sorta di alter-ego, sebbene egli interpreti Milo Cerruti, l’imprenditore di pompe funebri per animali di piccola taglia. È doveroso menzionare anche l’ottimo Alessandro Haber: voce fuori campo che, pur entrando in scena soltanto tramite un walkie-talkie, dà corpo assai sapientemente (essendo in fin di vita) al tormento esistenziale dell’uomo, urlando l’odio, il razzismo, la paura.
Sul palcoscenico, un’unica unità spaziale: il bancone del bar, un tavolo con due sedie e un bagno assai minimale celato in un angolo. L’intero spettacolo è un saliscendi di momenti che ledono o meglio squarciano gli equilibri emotivi, vissuti in un contesto altamente verosimile che diviene tuttavia più grottesco. Il codice prossemico degli attori enfatizza tale caricatura, tale cambio di registro: essi sono maschere di sé stessi, con soprannomi da bar. Soprannomi che raccontano già di per sé una storia.