Pozzo: Predominio e cultura, generatori di solitudine
di Elisa Salvetti
Assai chiacchierato l’Aspettando Godot diretto da Roberto Bacci, finito in tribunale per la scelta registica di far interpretare i clochard a due donne, le gemelle Luisa e Silvia Pasello. Ma le motivazioni artistiche hanno vinto la causa intentata dagli eredi di Beckett.
Il tema è quello dell’attesa. Vladimiro (Didi) ed Estragone (Gogo) sono due senzatetto che aspettano invano tal Godot, che ha promesso di arrivare, ma non arriverà. Aspettano in un luogo indefinito e nella loro attesa incontrano altri due personaggi: Pozzo, uomo facoltoso, ma insicuro, e Lucky, suo servo. Il giorno dopo li incontreranno ancora, pur essendo nel frattempo divenuti cieco il primo e muto il secondo.
La scenografia di Marcio Medina è essenziale e simbolica: un albero senza radici, appeso al cielo con un cappio da impiccato e che ricorda un uomo in fuga, con la gamba alzata, le braccia aperte come per correre, simbolo della voglia di scappare dalla realtà che imprigiona, che impicca. Nel secondo atto, come da scrittura originale, compaiono delle foglie sui rami. Che sia un segno di speranza? I fondali sono due, disposti a semicerchio, con delle montagne dipinte, avvolte come nella nebbia. Il luogo è indefinito. Un unico grande sasso sulla destra, che Gogo usa per sedersi. Le luci soffuse del crepuscolo sono anch’esse simboliche, dal momento che formano fasci simili a serpenti, entità che si insinuano tra le vite dei personaggi: è l’attesa, l’incertezza.
Didi e Gogo sono figure complementari, come si evince anche dai costumi di scena: entrambi indossano una bombetta, ma Didi porta un frac con tanto di papillon, mentre Gogo ha una giacca corta e camicia slacciata. I due abiti sono realizzati con pezzi di tessuto speculari: la stoffa impiegata per la gamba destra di Didi è la stessa adoperata per la gamba sinistra di Gogo.
I due personaggi, dunque, si completano e, al tempo stesso, si oppongono, con una prossemica che spesso li vede di spalle l’uno all’altro. Il modo di camminare (in particolare quello di Gogo) e gli abiti ricordano il più celebre dei vagabondi, Charlot. La prossemica dei protagonisti è inoltre assai significativa durante l’incontro con Pozzo e Lucky: Didi prende le distanze da Pozzo, fisicamente e spiritualmente, perché non tollera il modo in cui tratta Lucky. Gogo invece si avvicina perché interessato al cibo che Pozzo può offrirgli. È attento unicamente a soddisfare i propri bisogni primari.
Pozzo, in abiti borghesi, regge in mano la frusta da domatore, che agita e scocca di continuo, ostentando le proprie ricchezze, ma al tempo stesso la propria solitudine; egli ha bisogno di comandare e di conseguenza tratta Lucky come un animale. Cerca però anche di passare il tempo e lo fa chiacchierando con due senzatetto. Da parte sua, Lucky è invece una maschera, costantemente piegato su se stesso come le pagine di un libro, che si apre quando Pozzo gli ordina di parlare. Ed ecco allora che il suo volto completamente truccato di bianco, così come le mani e i capelli, abbandona per l’occasione il solito ghigno, distendendosi in un eloquio alto e delirante, per poi richiudersi una volta terminato il monologo.
Pozzo e Lucky, dunque, come personificazione altra dell’assurdità della vita.