Tutto quello che c’è da fare è non fare nulla
di Martina Aliprandi
Fare o non fare? Questo è il dilemma. Tutti, almeno una volta nella vita, ci siamo sentiti sopraffatti dagli impegni quotidiani e da quei desideri così tanto insistenti da trasformarsi in bisogni opprimenti. A chi non è mai capitato di sentirsi in lotta contro il tempo che scorre? Il Nullafacente è una riflessione sulla vita e le sue possibilità; è il punto di domanda alla fine della strada per la ricerca della felicità.
Lo spettacolo ha debuttato a marzo del 2017 presso il Teatro Era di Pontedera, per la regia di Roberto Bacci. Il protagonista è interpretato da Michele Santeramo che, in questa drammaturgia, ricopre il doppio ruolo di autore e attore.
Il testo affronta tematiche esistenziali, con le quali ciascuno si trova a dover fare i conti nel corso della propria vita. La pièce ruota attorno alla figura del Nullafacente che, ogni giorno, si interroga sul trascorrere del tempo, sulla morte e su come agire – ma soprattutto non agire – per riuscire a vivere una vita felice. Al fianco di Santeramo c’è Silvia Pasello nei panni della moglie affetta da una malattia al suo stadio terminale. Oltre alla coppia, sul palcoscenico si alternano altri quattro personaggi: il Medico, il Fratello della moglie, il Proprietario dell’appartamento e il pubblico.
Per l’allestimento scenico, Roberto Bacci ha elaborato uno spazio di recitazione fluido e dai confini labili, sia interni che esterni. Sul palcoscenico, attraverso l’uso delle luci e degli oggetti di scena, si alternano un ambiente interno e uno esterno; quest’ultimo racchiude in sé anche l’area della platea. Nelle regie di Bacci, lo spettatore ricopre spesso un ruolo centrale e, in questo specifico caso, la sua presenza attiva è stata enfatizzata dalla stessa scrittura drammaturgica, non solo tramite i dialoghi ma anche attraverso la scelta di non identificare i vari personaggi con dei nomi propri, lasciandoli piuttosto liberi di incarnare degli stereotipi universali nei quali potersi immedesimare.
Al momento dell’inizio, gli attori sono tutti in scena; alcuni illuminati e altri in penombra. Il Fratello e il Proprietario cominciano a discutere animatamente a causa di un mancato pagamento delle ultime rate dell’affitto. Nel frattempo, al riparo, nella semioscurità, un uomo e una donna danno avvio a una silenziosa e lenta pantomima. Se sul proscenio viene messo in scena l’esterno, il mondo al di là, nel punto più protetto del palcoscenico, quello più lontano dalla vista del pubblico, è stato allestito il salotto dell’abitazione del Nullafacente e di sua moglie. Un mondo interiore simboleggiato unicamente da un tavolo, qualche sedia, una poltrona e un piccolo bonsai.
I due coniugi si presentano alla platea discutendo della malattia che affligge la donna, ironizzando sul poco tempo che le resta da vivere. Il volto di Michele Santeramo appare sereno nella parte del perdigiorno; nonostante il rischio di sfratto, le bollette da pagare e il grave stato di salute della sua compagna, egli si mostra serafico mentre si prende cura del suo bonsai. Tutto ciò che egli acconsente a fare è di non fare assolutamente nulla. Allo stesso modo in cui il bonsai preserva la propria integrità non lasciandosi modificare dagli agenti esterni, il Nullafacente non permette al mondo di contaminarlo, portandogli via tempo prezioso e facendolo cadere vittima di inutili desideri. Nel suo salotto immobile, tra una visita ai mercati generali e l’altra, egli si sente il padrone delle ore e di sé stesso.
Se il protagonista dello spettacolo rappresenta il mondo interiore, l’altra faccia della medaglia, ossia il volto del “fuori”, è rappresentata dal Proprietario di casa – interpretato da Michele Cipriani – il quale, mosso dalla paura di aver perso per sempre i suoi soldi (ossia ciò che gli è più caro), si muove sul palcoscenico con aria inquieta. I differenti toni di voce dei due personaggi si impastano l’uno all’altro e, lentamente, l’inquietudine del Proprietario comincia a intaccare la pace interiore del suo opposto. D’improvviso l’inazione cede il posto all’azione, la calma si trasforma in stanchezza, il tempo diventa qualcosa che bisogna guadagnarsi e quello acquistato dal Nullafacente ha la forma di una torta di compleanno e di una scatola di medicine. I mobili dell’appartamento vengono spostati sul proscenio: il dentro diventa fuori e della piccola quercia, adesso, non è rimasto che lo scheletro.
Si può essere felici anche in questo modo, sembra domandarsi a questo punto il protagonista? No, non si può, risponde la moglie senza parlare, mentre, stancamente, congeda gli ospiti dalla sua festa di compleanno. Non si può nemmeno morire, sussurra infine mentre chiude gli occhi, accovacciata sul tavolo, cullata dallo sguardo sereno del marito alle cui spalle, il bonsai, è tornato a vestirsi di foglie.