GIORGIO FRANCHI | È quasi una legge matematica: più si progredisce nell’apprendimento di una lingua, più si allunga la lista di figuracce sul curriculum del poliglotta. I false friend, terrore delle ore di inglese a scuola, si appostano dietro ogni angolo della conversazione con lo sgambetto in canna. Spesso non tanto per i risvolti comici della castroneria appena proferita (solitamente più imputabili alla pronuncia, se stiamo chiedendo uno sheet o la strada per la beach), quanto per il marcatore geo-linguistico che vi è insito. Se mi riferisco a un incidente come incident, che al contrario di accident indica semplicemente un evento, il mio errore tradisce smaccatamente l’italianità.
Italianità che viene intesa in senso trasversale quando l’errore è voluto e applicato alla lingua madre. Penso per esempio, nella settimana a cavallo tra 25 aprile e 1° maggio, a tutte le storpiature semantiche di liberazione. L’italianità, in questo caso, è quella della commedia dell’arte: lo spirito truffaldino di chi fa della furbizia il proprio vanto, abile a battere in ritirata in caso di sbugiardata. Abbiamo ascoltato, nell’orchestra di politici, opinionisti e influencer vari, confondere liberazione e liberismo, tracciando il parallelismo tra la fine dell’occupazione tedesca e la riapertura dei ristoranti all’aperto.
Forse un accostamento linguistico in ambito politico sarebbe stato più rilevante se indirizzato a quelle situazioni di nebulosità sui diritti civili di cui l’Europa è spesso e volentieri complice. Comodo parlare di liberazione quando il nemico è qualcosa che non gode del nostro appoggio, come il virus: meno fare luce su cosa sta impedendo la scarcerazione di Patrick Zaky, o sui rapporti che l’UE continua ad avere con la Turchia, 37 giornalisti arrestati nel 2020 secondo il CPJ (Committee to Protect Journalists). L’attenzione è piombata su Ankara circa due settimane fa, quando la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen è stata costretta a sedersi su un divanetto lontano da Charles Michel e il presidente Erdoğan.
L’ondata di legittima indignazione ha scoperchiato l’abisso, ormai apparentemente insanabile, tra la Turchia e il progetto europeo. Una divergenza radicale sui valori ritenuti fondamentali, almeno a parole, che ci riporta a tempi in cui turco era il termine ombrello per tutto ciò che stava oltre il Mediterraneo ed era, di conseguenza, alieno alla cultura europea e cristiana e pertanto spesso deplorevole. Recentemente va di moda dire che Shakespeare è stato profetico, e in questo caso è innegabile:
Siam forse diventati tutti turchi
per farci tra di noi l’uno con l’altro
quel che il ciel ha impedito agli Ottomani?
Il Bardo fa dire queste parole a Otello, condottiero della Repubblica Veneta impegnato nella riconquista di Cipro, allora interamente sotto il dominio ottomano. Turco, qui, equivale con tutta probabilità a musulmano, non-cristiano, altro termine ombrello per indicare invece ciò che è giusto (comportarsi cristianamente, parole cristiane).
Proprio per questo, o forse per la lingua che alle orecchie di un italiano suona eccessivamente gutturale e ruvida, si diceva un tempo bestemmiare come un turco, abbastanza in contraddizione con il forte sentore religioso che impera oggi in Anatolia: lo stesso per bere come un turco, specie ora che Erdoğan ha vietato la vendita di alcolici nei protocolli anti-covid. Lo studioso Vincenzo D’Aurelio propone, come etimologia per fumare come un turco, gli eccessi durante i festeggiamenti per la morte del sultano Murad IV nel 1640, con cui terminava un’era di feroce proibizionismo. Chissà se la caduta del presidente attuale verrà festeggiata a brindisi di rakı.
Non può mancare, neanche qui, il false friend. In questo caso si tratta di turchese, colore che viene da una pietra iraniana (ritorna qui l’ombrello turco) assimilabile all’azzurro. Lo stesso azzurro della bandiera greca, assente al pari del rosso nella bandiera cipriota proprio nel tentativo di sanare le divergenze fra greci e turchi ciprioti. Zona di confine tra il rosso rubino di Ankara e Nicosia occupata e il turchese che oggi è simbolo dell’Unione Europea, chiamata nel suo momento più buio a scegliere bene le proprie amicizie. Evitando le false ones.