PAOLA ABENAVOLI | Un’ondata di energia, forse inaspettata, che arriva attraverso un mezzo inimmaginabile fino a qualche tempo fa: il format delle residenze digitali, in questo tempo di pandemia, è ormai noto ma applicarlo a una residenza di danza contemporanea è sicuramente meno consueto. Inedita, poi, la formula che ha visto l’apertura a tutti i giovani under 35 che hanno chiesto di parteciparvi: non i previsti 15, ma oltre 40.
C’era dunque attesa e molta curiosità per Danza pubblica/Graces, la residenza promossa da Scenari Visibili, nell’ambito del progetto “Per Chi Crea – Residenze Artistiche – Edizione 2018” sostenuto da Ministero della Cultura e Siae, e condotta da Silvia Gribaudi. Un’iniziativa che era stata programmata per il 2020 ma che l’emergenza Covid ha costretto a posticipare: un progetto importante voluto dalla compagnia teatrale guidata da Dario Natale e che si sarebbe dovuto svolgere al Tip Teatro di Lamezia, punto di riferimento per il teatro contemporaneo calabrese. Poi la scelta di realizzarlo online, per le difficoltà di farlo in presenza, in una situazione ancora emergenziale: ma è stato come se i partecipanti arrivassero comunque da tutta Italia nel cuore della Calabria, portando molto di se stessi e delle loro città. Sì, perchè questa residenza è andata oltre il consueto, ha fatto di necessità virtù e, come rilevato da Silvia Gribaudi (con cui hanno collaborato Siro Guglielmi, Matteo Marchesi, Andrea Rampazzo), ha dato vita a un nuovo modo di creare e anche di interagire con gli spazi, i luoghi, superando i limiti e stringendo un forte legame tra arte e ambiente.
Insomma, Danza pubblica/Graces è stato un viaggio, una scoperta: due settimane di lavori, dal 13 al 27 aprile, suggellati da un video proposto online dal 2 maggio sul canale youtube di Scenari Visibili, che mostrano la creatività e la voglia di mettersi in gioco.
“Abbiamo coordinato questo progetto insieme ai ragazzi – racconta Silvia Gribaudi – Ci siamo concentrati sul senso che ha una residenza, ovvero essere una ricerca: eravamo abbastanza aperti, volevamo prenderci il tempo per capire cosa poteva venire fuori. Ci aspettavamo, dato che abbiamo deciso di aprire a tutti, di essere di meno alla fine, una cosa che può avvenire durante un laboratorio; poi, magari, stando online tante ore, non sapevamo quanti avrebbero continuato. Quello che ci ha sorpreso è che invece c’erano sempre tutti; ci hanno sorpreso l’entusiasmo, lo spirito di ricerca, la dedizione. Questo ci ha colpito tantissimo: la generosità, l’impegno, la professionalità, il gioco, il divertimento e anche la loro seria responsabilità di prendere parte al progetto mi hanno dato forza, mi hanno confermato che davvero possiamo costruire qualcosa con tante persone. Non pensavo fosse possibile creare online questo entusiasmo. È stata una sorpresa continua ogni giorno, una sfida nel trovare nuove idee da trasmettere”.
Una serie di sguardi, di esercizi, di lavoro sul corpo ma soprattutto sulla creatività, a partire proprio da Graces, lo spettacolo di Silvia Gribaudi. “Abbiamo cercato di trovare le parole chiave per ogni quadro di Graces: il tempo dell’attesa, dell’ascolto, della relazione, della resistenza, del coinvolgere gli altri; il gioco, cosa è una sorpresa, come far ridere, quando facciamo ridere. Al centro di tutto, la gioia, creare una vitalità nelle relazioni. E questo si connette con i concetti di Graces – prosperità, gioia, splendore – in maniera ironica: cosa vuol dire oggi portare a una società prosperità, gioia e splendore? Abbiamo giocato con i superpoteri di questi esseri umani che vanno in giro per la città, a rivitalizzare, a destabilizzare, a destrutturare, a vedere che è ancora possibile fare sorprese, realizzare azioni di danza, di teatro nella città senza creare disagio o assembramenti, ma nello stesso tempo sorprendere, giocare, dare la possibilità agli altri di parlare di te anche se fai una cosa strana: vieni visto come un clown che ha deciso di prestarsi a un servizio con la sua umanità, per farsi carico della risata degli altri. Un atto di responsabilità consapevole”.
Il mettersi in gioco e la scoperta del proprio corpo sono stati altri temi centrali: “Abbiamo giocato con le barriere che ci sono dentro di noi, nella relazione da remoto, cercando di usarle come uno slancio, un trampolino per spingerci verso qualcosa di più grande, per scoprire che la relazione è più grande dei limiti, della problematica del remoto, della paura del proprio corpo, del corpo degli altri, di non essere abbastanza giusti per stare con gli altri. Grazie a queste azioni artistiche puoi andare anche oltre: scoprire che l’arte, la scena artistica è relazione dentro le barriere”. E l’ironia, come sempre nel lavoro di Silvia Gribaudi, è un aspetto fondamentale: “Ironia, comicità, humor… non so come chiamarla: mi piace il concetto di sorprendere, non necessariamente devi far ridere. È proprio un ritmo nel guardare quello che accade, che crea le endorfine”.
Un lavoro che ha fornito ispirazioni all’artista, soprattutto l’idea delle persone che viaggiano nelle città facendo “blitz artistici”: “lo trovo molto semplice ma anche necessario – aggiunge – Per il nuovo lavoro, un assolo, ispirato alla morte del cigno, che si chiamerà Peso Piuma, vorrei che il cigno avesse questa libertà di andare in giro per la città in un momento in cui c’è paura: questa residenza mi ha dato spunti su cosa significhi oggi essere liberi nelle nostre città, ma nello stesso tempo stare attenti, quindi su dove sia questa relazione interna nella danza, nel movimento nello spazio cittadino, in che modo si conciliano l’attenzione e le distanze, la possibilità di esplorare distanza e libertà, proporzioni e libertà, in che modo mi relaziono agli altri nello spazio. E farlo con un costume da bagno in giro per la città mi diverte: in questi giorni farò le foto e a luglio l’assolo molto breve, 15 minuti, a Operaestate Festival, a Bassano del Grappa, all’interno del progetto biennale Swans never die“.
La relazione, il dialogo, il confronto, saranno alla base anche di altri lavori, come il debutto di Mon Jour l’8 ottobre, a Torinodanza, incentrato su “quale sia la relazione tra performer e pubblico, in quale modo creare dialogo”, e poi un lavoro nuovo che debutterà nel 2023, su “cos’è un corpo di ballo oggi, nella società, nella danza: quando siamo all’unisono? Cos’è una collettività all’unisono che però mantiene le proprie diversità? E questo è un po’ emerso nella residenza. Tutti, durante il laboratorio, hanno fatto insieme un movimento – che caratterizza Graces -, “cavalli”, in una location diversa: è magnifico vedere una grande potenza, una collettività che agisce all’unisono, in contesti diversi, ma con una stessa motivazione, quella di non mollare, di andare avanti”.
In tutto questo, alla fine, il rapporto con la tecnologia sembra aver aperto possibilità: “nel nostro caso – spiega – il remoto è stato molto importante nella gestione del tempo, per cui non per forza sei costretto a stare in sala: l’arte diventa parte della tua quotidianità. È un’altra forma d’arte, è un altro modo di creare”. E qualcosa resterà negli spettacoli futuri? “Grazie a Matteo Maffesanti, c’è sempre stato un lavoro di immagine molto importante. Sto elaborando nuovi progetti con Margherita Landi, con la realtà virtuale, per il 2022: la curiosità è nata durante questo periodo pandemico e mi attrae perchè porta il corpo nella tridimensionalità; lo trovo un mezzo potente, lo stiamo elaborando per la danza. Sono tecniche che continueranno ad accompagnarmi nel futuro, spero che si possano utilizzare sempre di più nei processi creativi: prima era inimmaginabile fare incontri online per provare, fare una residenza, parlare per un’ora con una drammaturga che sta a Berlino. La gestione e la sostenibilità dei progetti può cambiare, questa dimensione dell’incontro online, sporadico naturalmente, del processo creativo da remoto, per la gestione dei tempi, mi ha molto incuriosita”.