ELENA SCOLARI | Un cavaliere sognatore che cavalcava con le redini della poesia. Giuliano Scabia è stato un maestro per tutti quelli che hanno creduto con lui alla fantasia, alla lotta gentile, al teatro nella natura e nei boschi di cui è stato pioniere, al suo Teatro Vagante.
Un teatro che era ricerca delle nostre radici più profonde, per trovare la breccia che fa entrare la luce. Il suo gorilla Quadrumàno con il teatro di stalla nato dal recupero delle storie popolari e contadine e portato a vagare insieme agli studenti universitari sulle montagne dell’Appennino emiliano.
Indimenticabile e fondante l’avventura di Marco Cavallo nel manicomio di Trieste, un momento storico in cui un eroe di cartapesta blu sfondava i muri per liberare i matti da una prigionia ingiusta, un’azione di poesia. La poesia è stata azione, nei suoi momenti più alti.
Aveva un sorriso per tutti, Giuliano. E a 84 anni era combattivo, entusiasmante, pieno di quella carica vitale che sapeva passare a chi lo ascoltava anche attraverso uno schermo: in uno dei suoi ultimi interventi (al convegno organizzato da Teatro19 di Brescia nell’ambito del festival Metamorfosi 2021) lasciava agli spettatori in ascolto una specie di eredità: “La rivoluzione non è ancora cominciata, non finisce mai. Il teatro è lo spirito santo che si muove, è rombo di tuono, è buttare giù i muri. Dovete essere cavalieri che sfondano tutto, prendete bastonate ma non vi fermate mai! Mai!”.
Non lo faremo, Giuliano.
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