MATTEO BRIGHENTI | A una tavola imbandita di niente le relazioni sono una rincorsa continua e l’eleganza conquista solo se si è innamorati della sconfitta. I piatti, le bottiglie, i bicchieri, le portate, sono finzione pura e semplice: Claudio Morganti serve per Le nozze di Anton Čechov avidità e cafonaggine, interesse e gretta superficialità, che le attrici e gli attori del GLA – Gruppo di Lavoro Artistico mangiano a piene mani.
Dovremmo essere a un rinfresco di matrimonio, sia pure meschino, e invece siamo a una specie di funerale con colori e accenti che mescolano Roberto Benigni con Tim Burton e La famiglia Addams. È un Čechov quasi chantant, frullato nel grottesco, che sottolinea intenzioni ed emozioni nelle smorfie fuori scala di un cast all-star a undici teste che ha accompagnato il Teatro Metastasio di Prato attraverso i mesi di chiusura pandemica. Un “ibrido”, un “eterogeneo incrocio” di idee, un “mostro”, per stessa ammissione di Morganti.
Questo fa il teatro dopo tanto, troppo tempo: ci mette a sedere, ben distanziati e mascherati, di fronte ai limiti delle nostre aspirazioni, che si rivelano per ciò che sono – e non vogliamo vedere: bieche, pie illusioni. È un’ebbrezza utile, comunque. Finché dura, riempie di verve le frasi quasi vuote che tutti si scambiano più per passare il tempo, che per fare festa. Del resto, aspettano che arrivi “il generale”, ossia il potere, il rispetto. L’autorità. Qui, tra loro, ce n’è molto poca.
In controluce si scorge un tema caro al Čechov delle opere maggiori, riflesso aspramente nell’oggi: la decadenza che accompagna la fine di un’epoca e la nascita di una nuova, a cui i personaggi in scena sembrano non riuscire a conformarsi. La borghesia è quella russa di fine Ottocento, ottusamente concentrata su denaro e possedimenti fin da Una domanda di matrimonio, del quale Le nozze costituisce un ideale seguito (il primo è del 1888, il secondo del 1889).
La critica sociale, la satira, però, sopra il palcoscenico del Teatro Fabbricone lasciano il posto piuttosto a un’ironia sui costumi e sugli atteggiamenti, sul fare più che sull’essere. L’essere è, ancora una volta, esserci. Difatti, sono tutti sempre presenti, ma ognuno segue il suo discorso sconclusionato e nessuno (si) capisce. O meglio, a nessuno interessa capire e capirsi per davvero. Sono incontenibili al punto che si fanno prendere la mano e, con essa, il braccio intero.
“Sua eccellenza” alla fine arriva ed è una “maestà” falsa, fasulla, farlocca: la verità è ciò che si crede, si vede e si insegue, ma il gioco non può durare in eterno, nemmeno per una simile accolita di freak da “funeral party”. Prima bastava gridare: «Viva gli sposi!» e chiamare: «Bacio, bacio, bacio!» per spezzare l’impasse da imbarazzo creato ad arte. Adesso, arrivati a questo punto, sono Le nozze nel loro complesso a non trovare via d’uscita oltre la commedia degli equivoci, oltre lo smascheramento dell’inganno.
La chiusura, come l’apertura, è affidata a Roberto Abbiati (autore anche delle scene), Gandalf stralunato, menestrello unico di un’orchestra da strada che ha diradato il fumo che ci ha accolti in sala, quasi fosse il prolungamento del finale de Il caso W. Un fumo sospeso come questo tempo che continua a incombere sulle nostre teste e sulle nostre vite. La sua è una cifra stilistica fatta di silenzi e rarefazione, quanto quella del pasticciere greco di Luca Zacchini è piena di parole e accumulazione. Tra questi due estremi di equilibrio e maestria Claudio Morganti si è giocato Le nozze con il ritorno del pubblico a teatro.
GRUPPO DI LAVORO ARTISTICO
LE NOZZE
di Anton Čechov
traduzione Vittorio Strada
regia Claudio Morganti
aiuto regia Rita Frongia
light designer Fausto Bonvini
scene Roberto Abbiati
costumi Annamaria Clemente
con Roberto Abbiati, Monica Demuru, Oscar De Summa, Ilaria Marchianò, Savino Paparella, Francesco Pennacchia, Arianna Pozzoli, Francesco Rotelli, Gianluca Stetur, Paola Tintinelli, Luca Zacchini
direttore di scena Marco Mencacci
elettricista Alberto Martino
sarta Annamaria Clemente
coordinamento tecnico dell’allestimento Marco Serafino Cecchi
assistente all’allestimento Giulia Giardi
cura della produzione Francesca Bettalli e Camilla Borraccino
ufficio stampa Cristina Roncucci
foto Ilaria Costanzo
video documentazione Giulia Lenzi
immagine Roberto Abbiati
Teatro Fabbricone, Prato
15 maggio 2021