LAURA BEVIONE | Un rito sonoro “inaugurale”, Il quotidiano innamoramento, celebrato da Mariangela Gualtieri, ha inaugurato sabato scorso, 5 giugno, l’edizione #25 della rassegna Natura Dèi Teatri, creata da Maria Federica Maestri e Francesco Pititto, direttori artistici di Lenz Fondazione. Il festival, programmato nell’autunno passato, era stato sospeso a causa del nuovo lockdown ma la direzione ha testardamente scelto non soltanto di rilanciarlo, bensì, addirittura, di “raddoppiarlo”, con una duplice programmazione, una estiva e l’altra autunnale, pervista per i mesi di ottobre e novembre.
La sezione estiva, dopo il succitato esordio con la performance della poetessa-attrice anima del Teatro Valdoca, prosegue fino a fine mese e il suo cuore sarà certamente La vita è sogno, l’imponente creazione site-specific ideata da Lenz Fondazione a conclusione del progetto quadriennale Il Passato imminente per Parma Capitale Italiana della Cultura 2021 e in scena dal 19 al 25 giugno nel perimetro esterno dell’Abbazia di Valserena, alle porte di Parma.
Della genesi e della realizzazione di questo evento performativo, così come delle peculiarità del festival abbiamo parlato con i due autori/registi nonché direttori artistici Maria Federica Maestri e Francesco Pititto.
La vita è sogno segna la conclusione del progetto pluriennale che avete dedicato a Calderón de la Barca: ce lo potete illustrare, spiegandoci anche per quale motivo avete scelto di lavorare sulle opere del drammaturgo spagnolo?
Tra libero arbitrio, antropologia filosofica e site-specific monumentale, potrebbe essere l’incipit di questa risposta. Quattro anni per Passato imminente, ma sono molti di più se consideriamo la prima opera del 2003 e le successive fino al 2006, anni di ricerca sui testi di questo autore parlando di costrizione, prigione, astri, libero arbitrio, di Dio Autore, di Mondo, di poveri e di re, di Grazia e di Demonio cioè della vita, reale e immaginata. Abbiamo scritto Barocco contemporaneo, proprio perché pensiamo di aver ridato forma, e corpo, a concetti e allegorie che ancora sono presenti nel nostro presente, ancora agiscono dentro e fuori di noi, ancora sono il pigmento fondamentale per ogni opera artistica completa, totale nella sua complessità, come sono complessi la donna e l’uomo, la natura e la materia. Sia quella molto piccola che la scienza ancora insegue, sia quella grande che va oltre la nostra possibilità di vedere.
E allora immaginiamo, sogniamo, per poi toccare quel che pensiamo essere la realtà ma che l’immagine, l’immaginazione ha trasformato, trasfigurato, mutato nel tempo e nella funzione. L’immagine, la cultura dell’immagine, la cultura visuale che sta ridefinendo i parametri della storia dell’arte, dell’antropologia, della tecnologia e della scienza, delle arti tutte, impone di fatto un ripensamento anche dell’arte teatrale, della cosiddetta arte performativa, termine che pare allargare il concetto stesso di teatro, anche se spesso è definizione impropria riferita a quell’unicum del teatro che parrebbe essere la presenza corporea dell’attore, dal vivo. Su cosa significhi presenza e assenza, quarta e quinta parete, relazione empatica dello spettatore e altro si sta ampiamente riflettendo e i punti di vista sono assai differenti. Così come la possibilità di dire il vero recitando il falso per l’attore, del ruolo del teatro nel contesto contemporaneo, della formazione di nuovi artisti.
Il lavoro con gli attori sensibili, con artisti di diversa età ed esperienza ha definito, negli anni, la nostra poetica ed estetica, il nostro approfondimento sul margine che divide la realtà dal sogno, e viceversa, ha determinato una scelta precisa sui testi e sugli autori da indagare drammaturgicamente, da sperimentare e approfondire, nella pratica teatrale, per mettere a fuoco la questione fondamentale tra immedesimazione e induzione psico-fisica naturale, tra immaginarsi come altro e vivere davvero l’altro.
Sono questioni complesse ma gli umani sono complessi, e il teatro in particolare. In quello di Lenz, poi, differenza e complessità sono la forma stessa del nostro lavoro. La condizione dell’ipersensibilità artistica derivata da particolari condizioni di vita, come scrivevamo nel 2003, per la prima messa in scena di questo dramma teologico-filosofico (1635), «… Il lavoro insieme – integrato è sinonimo di perfezionato e influenza reciproca interazione – è, credo, la via giusta. La stiamo percorrendo da alcuni anni e i risultati sono eccellenti. La perfezione può essere il fine di entrambi, la bellezza e la durezza dell’arte e della vita insieme. Una Torre è il luogo dell’insieme. È sempre una Torre, per Hölderlin, per Sigismondo, per Paolo che lo incorpora». (La rifrazione della Torre, Lenz 2003) era per la drammaturgia un elemento essenziale per indagare, linguisticamente e poeticamente, i diversi temi posti dall’opera.
I performer de La vita è sogno, prima messa in scena, avevano esperito per lungo tempo questa condizione eccezionale, lavorando in numerosi laboratori di pratica teatrale a stretto contatto con quegli attori e attrici che avremmo chiamato, nel tempo, “attori sensibili”. Gli unici, a nostro avviso, capaci di restituire verità scenica alla traduzione contemporanea di testi classici, indicando nuove forme di espressività, capacità creativa e sensibilità artistica. L’attore sensibile capace di dar corpo ai versi barocchi, seppur tradotti e riscritti, de La Vita è sogno senza tecniche di immedesimazione o straniamento artificiali, aveva stimolato la vicinanza poetica, esistenziale, filosofica a Sigismondo, fin dall’infanzia incatenato da pregiudizi, false profezie, paure paterne e alle altre figure del dramma come Rosaura, la femmina guerriera, poi donna piena di fascino e poi mostro, e Clarino il fool barocco, il gracioso imprigionato dal destino avverso. Entrambe, queste figure secondarie, sono state poi oggetto di approfondimento drammaturgico e della messa in scena di due assoli, assumendo per trasfigurazione e in un contrappunto di funzioni sceniche, i diversi stati del principe incarcerato.
La vita è sogno è una creazione site-specific realizzata per l’abbazia di Valserena: in che modo questo spazio così connotato interagisce con le vostre particolari drammaturgia e imagoturgia?
Di Hipógrifo violento, il primo assolo, abbiamo scritto: «Cosa rimane del fulmine se gli si toglie la sua fiamma, o di un uccello senza piume e colori? E cosa del pesce se lo si priva delle squame? o la bestia senza il suo istinto? La sua disarmonia si riflette nelle realtà, il caos è l’incipit di questo dramma. Così come il tuffarsi senza freni e senza ali, giù da un dirupo incurante del proprio peso e dell’impossibilità del volo. Come a sfidare la potenza divina, come ad anticipare la sfida del protagonista Sigismondo prigioniero nella Torre, il confine ultimo di questa folle corsa. Sigismondo è anche lui, come l’ippogrifo, metà uomo e metà bestia pronto, una volta libero, a tuffarsi senza freni nel mondo reale». Nel secondo assolo, Altro stato – invitato alla Biennale Teatro 2021 – nell’attrice sensibile convivono – sempre in lotta – le due anime de La vita è sogno: la consapevolezza della tragedia senza scampo a cui è destinato l’Uomo e il desiderio di sottrarsi al dominio del reale dando forma a un mondo rovesciato, liberato da leggi e regole, da convenzioni e imposizioni divine e statuali. Questa oscillazione tra le due polarità etico-drammaturgiche è il campo interpretativo in cui l’attrice è immersa, in un bruciante rispecchiamento esistenziale: la condizione reale dell’alterazione cromosomica destina a un’oggettiva subalternità, a una concreta sottrazione di potere, a una minore possibilità di realizzazione del sé. A questa sorte – segnata da “una stella importuna” (come quella di Fenix ne Il principe costante) l’attrice contrappone una furia artistica sovversiva, una volontà di rivolta che non si assoggetta all’evidenza psico-fisica, bellezza e forza irriducibili versus l’arrogante violenza delle norme e delle convenzioni sociali. Nel nuovo allestimento di giugno, all’Abbazia di Valserena, come già nei due autos-sacramentales Il grande teatro del mondo e La vida es sueno, in site-specific al Complesso Monumentale della Pilotta di Parma, l’attore sensibile – insieme a performer adolescenti e anziani – diventa figura centrale della drammaturgia, della mise en site, del senso profondo indicato dal dramma. Già negli autos, la presenza poetica delle figure del Povero e dell’Uomo prefiguravano il protagonista Sigismondo in duplice veste di uomo/bambino. Nel dramma ecco che, di nuovo, i temi dell’illusione, del tempo mortale “dalla culla alla tomba” e del “libero arbitrio” sono sviluppati secondo la visione privilegiata della sensibilità innocente, dell’atto non mediato, della parola che esce come suono ancor prima di definirsi senso.
Da queste illusioni prenderà vita l’imagoturgia, un’immagine monumentale sul monumento gotico-barocco, ma non a ricoprirlo di luce artificiale o di visual mapping, quanto piuttosto a penetrarvi l’essenza, la materialità della visione, l’alter ego del corpo fisico; sarà di nuovo una doppia figura tra la culla e la tomba a intra/vedersi sui muri e le finestre ad arco acuto dell’Abbazia trecentesca. Anzi una tripla presenza che, a differenza del Sigismondo bambino e l’alter ego adulto de La vida auto-sacramental, si aggiunge questa volta un secondo protagonista bambino portatore di caos, di sragione, di imprevedibilità nel libero arbitrio. L’agire sul perimetro dell’Abbazia trecentesca si concluderà con una grande immagine di un interno denso di significato, tra monumento storico e arte contemporanea, dell’Abbazia stessa: la stanza che ospita l’opera di Luciano Fabro Lo Spirato, il corpo fissato dal velo gelido accanto a quello libero di Sigismondo, re di Polonia.
Chi compone l’eterogeneo ensemble dei performer e cantanti e come avete lavorato per garantire la fluidità delle interpretazioni?
La trasposizione spaziale dei molteplici campi concettuali, emozionali, morali manifestati nella Fabbrica monumentale dell’Abbazia di Valserena darà volume plastico all’oscillazione drammaturgica tra realtà e sogno, tra libertà e costrizione, tra arbitrio e destino.
A interpretare la complessità dell’opera saranno chiamati attori sensibili, attori bambini e attori storici di Lenz. Attraverso le molteplici forme artistiche – installazioni, performance, videoproiezioni, drammaturgie musicali tra barocco, moderno e contemporaneo – questa dimensione perturbante, rumorosa, disorganica, scapigliata, si espanderà oltre i confini del soggetto e si trasfonderà in un nuovo tempo comune svincolato dalle convenzioni e dalle norme sociali, necessario a immaginare, o a sognare, come nel caso del giovane protagonista, una possibile trasformazione poetica e politica dell’identità collettiva. Catartico, purificatorio e liberatorio, con l’aspetto della sofferenza e della ribellione, i performer condividono la costrizione al silenzio, la sopportazione del dolore, l’illusione di una vita differente, portando a un’unica via di fuga, il disinganno dentro e fuori la scena.
La Matthäus-Passion dialoga con i versi e raffigura, in musica e nell’affresco teatrale, il Santissimo Viatico di ogni figura del dramma, da quella femminile multiforme di Rosaura a quella buffonesca di Clarino di fronte alla morte. La duplice età, lo sdoppiamento etico e temporale della figura di Sigismondo – uomo-bambino – li accomuna in uno spazio sospeso, un vuoto – non un nulla -, dove la realtà è anche sogno, e viceversa. Così come la voce degli angeli, il coro di voci bianche, della Passione secondo Matteo di Bach, nella ri/creazione elettronica, fa da contrappunto ad altrettante passioni di esseri mortali vocianti. Alle spalle un antico manufatto cistercense, fatto di forme gotiche e barocche si erge maestoso, circondato dalla campagna, nella natura che abbraccia e fa da contraltare al luogo mistico e religioso. Tra l’uno e l’altra vivono gli attori la loro personale libertà di dire dell’uomo, nella durezza e bellezza di un teatro senza tempo.
La vita è sogno è parte del cartellone del vostro festival Natura Dèi Teatri: qual è il filo conduttore dell’edizione di quest’anno?
Venticinque anni di un festival che è stato di ospitalità di altre forme ma, soprattutto, di produzione e di formazione, tra creazione poetica, musicale, visiva, performativa, teatrale, una moltitudine di artisti che andavano da Sajncho Namčylak a Franco Scaldati, da David Moss a Latella, da Danio Manfredini a Jonathan Burrows e Matteo Fargion, per citarne alcuni, fino a un’edizione all women, come adesione al presente, a quel che il presente impone, in costante attenzione a quel che muta rapidamente, a quel che si riprende il proprio ruolo, che sia di genere o che sia etnico o di classe.
Per Natura Dèi Teatri è un aggiornamento di sistema, di pensiero, di linea culturale, un procedere verso un futuro prossimo foriero di grandi mutamenti e di molteplici complessità. Toccare nelle tre declinazioni di Tenero, Liscio/Striato, Sforzo è stato il tema del quadriennio 2018-2021 di Natura Dèi Teatri, ispirato all’opera filosofica di Jean-Luc Nancy.
Nel 2021 il Festival, progetto di creazioni performative e luogo di riflessione intellettuale sullo stato dell’arte contemporanea nato nel 1996, si concentra sull’elaborazione scenica, visuale, musicale, coreografica del concetto di Sforzo. È un’edizione – la prima delle molte a venire – totalmente interpretata dalle opere performative e visuali di artiste di diverse generazioni e provenienze e dalle riflessioni di curatrici e studiose della scena contemporanea. Un messaggio politico e culturale molto nitido che vuole evidenziare la potenza espressiva e la densità estetica delle donne nel panorama artistico contemporaneo.
A inaugurare questa nuova traiettoria è Mariangela Gualtieri – tra le protagoniste della prima edizione del Festival, nel 1996 alla Corte di Giarola – con il rito sonoro Il quotidiano innamoramento. La sezione autunnale di Natura dèi Teatri, in programma nei mesi di ottobre e novembre, accoglierà invece le creazioni teatrali, coreografiche, critiche e performative di Antonella Bertoni, Chiara Guidi, Cristina Kristal Rizzo, Silvia Rampelli, Claudia Sorace, Fiorella Iacono, Susanna Mati, Gloria Dorliguzzo, Silvia Mei, Doris Uhlich, Elena Sorbi, Diana Anselmo e Maria Federica Maestri.