DANIELA FRANCO | Cosa resta quando tante cose sono andate perdute?
Quattro vite raccontate nella costrizione all’isolamento e alla stasi della pandemia; quattro individui che, in quella sospensione, trovano lo spazio per guardarsi dentro e attraversare ciò che non è più. Vite che si fanno crepa, che imparano a guardare quelle fratture e cercare la chiave per riuscire ad albergare nella perdita.
Vanessa Korn, da molti anni attiva sulla scena lombarda con diverse produzioni, è autrice, regista e interprete di Quelli che restano, un primo studio che ha inaugurato il cartellone estivo del teatro Binario7 di Monza.
La narrazione è modellata sull’interpretazione di personaggi dissimili per età, condizione sociale e retaggio culturale, che «comunicano come gli alberi, incontrandosi a un livello sotterraneo e profondo, quello delle radici» (dalle note di regia).
La performance è agita dentro un impianto scenico minimale, rivelato attraverso un disegno luci che segue in modo coerente l’evoluzione del clima emotivo. Il racconto si sviluppa su differenti punti d’azione e inizia in proscenio, attraverso il monologo del primo personaggio, un’attrice davanti al suo leggio, la quale si vede improvvisamente obbligata a interrompere il debutto dell’Amleto a causa di una polmonite che la costringerà al ricovero in ospedale. Quel luogo asettico e solitario spezzerà il legame con l’iterativa quotidianità e si farà ricettacolo di interrogativi personali in continuo dialogo con lo sguardo sulle vite degli altri che oggi fanno più rumore del solito!
Si snoda così il tema dell’inadeguatezza dell’essere, dove il rapporto con Amleto non vive soltanto nel pretesto narrativo, ma si palesa come chiave di volta dell’impianto drammaturgico.
Essere, non essere, riessere
il non essere all’altezza, il non essere adeguata
Essere è faticoso, non sai mai cosa metterci.
La Korn entra poi con disinvoltura nel grembiule rosso di un’ironica donna dalle movenze sgraziate, una portinaia che ogni mattina propone l’appello degli abitanti del palazzo e vive modulando la sua quotidianità sulle esigenze dei condòmini e dell’inseparabile gatto Lucio, trovando, forse, la chiave di rifuggimento dalla solitudine.
La bolla della segregazione, che arresta il fluire della normalità, si manifesta anche attraverso la proiezione di filmati (di buona fattura e opera di Umberto Terruso) che si inseriscono nel racconto e fanno entrare il pubblico nella cameretta di un adolescente, un personaggio che offre uno scorcio di grande potenza sulla solitudine forzata vissuta dai più giovani nel periodo del primo lockdown. Il ragazzo è davanti al computer per realizzare video e la sua posizione frontale crea una buona connessione con il pubblico. Durante i monologhi propone interessanti riflessioni su film e serie tv, probabilmente destinate solo all’amica lontana che abita al mare, luogo in cui preferirebbe essere, per “restare” meglio: «Restare, io lo avrei fatto al mare, almeno resti al mare!».
Il ventaglio di personaggi proposto da Korn culmina con quello più emblematico, un rider, l’uomo solo. Lo straniero, che vive lontano dai suoi affetti, che telefona alla famiglia e mentre ascolta la voce di suo figlio, lascia trapelare, con delicatezza, tutta la sua fragilità.
Queste persone, accomunate dal cammino in mezzo a quello che non c’è più, sembrano vivere nell’eco di Je suis la mer, uno degli spettacoli più acclamati dell’attrice.
«Per tutte quelle volte che mi sono sentita di affondare, per quando invece è stato dolce naufragare, per quando mi sono persa in mezzo al mare” Guidato da queste parole del perdersi, del ritrovarsi, del naufragare» (note di regia).
L’interpretazione di Korn di Quelli che restano è energica, spigliata e incalzata da una potente urgenza comunicativa, capace di sintonizzarsi con il calore del pubblico che ha vissuto con grande empatia la performance. D’altra parte, l’impasto drammaturgico accompagna con agevolezza verso l’immedesimazione: tutti quelli che si fermano rischiano di trovarsi, e perdersi, nella costante sensazione di essere fagocitati da domande che il fare routinario aveva reso silenti. Ci sono, dunque, germi interessanti che potrebbero condurre a nuovi scorci e navigare verso altre domande cui dare corpo ulteriore nel tessuto drammaturgico.
I personaggi interpretati raccontano molto di noi, noi che assomigliamo, come loro, alle sagome del quadro futuristico di Boccioni, che probabilmente ispira il titolo dello spettacolo; è l’ultima delle tele complementari del trittico degli addii e racconta lo stato d’animo di chi rimane: tutti sembrano fermi, eppure evolvono, e suggeriscono un movimento vagante che cerca delle risposte, per riempire quel vuoto lasciato dall’assenza di chi è andato via.
QUELLI CHE RESTANO
Primo studio
un progetto di Vanessa Korn, Francesca Gemma
con Vanessa Korn
regia e drammaturgia Vanessa Korn
con la collaborazione di Francesca Gemma
video Umberto Terruso
poesia e voce registrata Francesca Gemma
musiche e sound design FA.DE music production
Teatro Binario7, Monza
4 giugno 2021