VALENTINA SORTE, GIORGIO FRANCHI | Teatro, circo, performance, spettacoli per l’infanzia e tout public, statici e itineranti, parlati e muti: l’aria aperta e il contatto costante con il pubblico sono gli unici denominatori di un ventaglio di proposte più che variegate, a ulteriore conferma che il teatro per l’infanzia e l’adolescenza è tutt’altro che un gioco da ragazzi. Lo sanno bene delleAli Teatro, Teatro Invito e Campsirago Residenza, che per la sesta edizione del Vimercate Ragazzi Festival (qui la presentazione dell’edizione) hanno scelto ancora una volta di farsi guidare dal coraggio: tanti gli spettacoli che parlano di tematiche difficili come guerra, morte, povertà ed emarginazione, sempre mantenendo un carattere di leggerezza per parlare anche ai più piccoli, senza retorica.
Vi raccontiamo il primo giorno.
Apre le danze Fritòle e Ciacòle di Teatro Bandito, che accoglie gli spettatori con un rituale che subito immerge il pubblico nell’atmosfera del circo: una cartomante legge i tarocchi mentre qualcuno fa la fila per farsi fotografare nel cartonato del lanciatore di coltelli prima di essere accompagnato in sala dal clown Raimondo. A sorvegliare vi è lo sguardo vigile della Direttora della compagnia. Ci troviamo in un vero e proprio spazio da circo, con pedana circolare, tribune e impalcatura per le evoluzioni degli artisti, sorto al centro del cortile della Villa Sottocasa. Lo spettacolo prende il via con una serie di numeri della compagnia (composta da Matteo Curatella, Guillaume Hotz, Monica Vignetti, Dadde Visconti, Francesca Zoccarato), dal clown al lanciatore di coltelli alla danza verticale: sembrerebbe una normale esibizione circense, finché tutto si interrompe con l’arrivo del nipote del padrone Molestà, che chiede ai circensi di mettere in scena il copione preparato dallo zio per pubblicizzare il «le pillole della felicità». Gli artisti si rifiutano di obbedire alla richiesta e coinvolgono il nipote con uno spettacolo. Mentre viene accompagnato per mano nella poesia del circo, lo stesso destino si compie per gli spettatori, guidati da Fritòle e Ciacòle nella bellezza misteriosa che il circo porta con sé. Il suggerimento della compagnia è far propria quella bellezza, regalando infine a ogni spettatore un naso rosso e l’invito a guardare le cose del mondo con lo stupore e la leggerezza dei clown.
Ci spostiamo al Parco Trotti per Mio nonno e il mulo: la produzione Principio Attivo Teatro scritta e interpretata da Giuseppe Semeraro, affiancato in regia da Paola Leone, arriva a Vimercate ancora in fase di studio. Il racconto di Vasilij Grossman, la guerra vista dalla prospettiva di un mulo strappato all’affezionato padrone e impiegato sul fronte fascista, trova asilo su un palco quasi completamente vuoto, in cui il narratore si immedesima volta per volta nei personaggi, umani o animali che siano. Il lavoro nel complesso funziona nell’intrattenere quanto nel raccontare un periodo storico ai più piccoli, ma ha bisogno di rodaggio per quanto concerne la tenuta del palco: il contatto col pubblico è ancora intermittente e talvolta la distinzione fra narratore e personaggio è labile. La circostanza dello spazio vuoto può essere potenziata, magari riducendo l’uso dei suoni in cassa per produrli dal vivo. È ancora da trovare, forse, una chiave di lettura forte che mantenga viva l’ossatura di uno spettacolo dal grande potenziale, che si porta a casa gli applausi e gli sguardi incantati del giovane pubblico.
iDedalo, performance itinerante del tandem Karakorum Teatro/Centro teatrale MaMiMò, è una camminata in cuffia ideata da Fabio Banfo e Stefano Beghi, che ne firma anche la regia. Il fulcro tematico è il labirinto di Dedalo e Icaro: il pubblico costruisce il proprio itinerario per le vie di Vimercate, guidato da un bot su Telegram (NDA: un servizio di messaggistica analogo a WhatsApp) che invia audio preregistrati che contengono istruzioni personalizzate per lo spettatore, a seconda delle scelte che compie. A queste si affiancano riflessioni poetiche sulla vita: il labirinto, in fondo, è dentro di noi, come ci ricorda il prologo recitato dal convincente Luca Cattani, unica presenza in carne e ossa nella performance.
Il taglio è chiaramente adolescenziale, con topos come il rifiuto delle consuetudini sociali e l’adombramento dell’identità individuale, che a uno sguardo adulto potrebbero risultare stucchevoli. Si intravede però una scrittura ricercata e potenzialmente efficace per coloro cui è rivolta: cerchiamo quindi un parere autorevole nel pubblico ma, ironia della sorte, manca proprio la fascia 14-19. Rimangono i due estremi dei nativi digitali e dei nostalgici delle audiocassette, i primi intenti a divorarsi l’esperienza come il livello di un videogioco troppo semplice, i secondi alle prese con un vero e proprio incubo tecnologico. L’impressione finale è quella di un lavoro ambizioso, probabilmente molto ben tarato sulla fetta di pubblico che intende coinvolgere, che beneficerebbe di una maggior pulizia nell’esecuzione: impossibile trarre un giudizio che non tenga conto dei problemi tecnici nel corso della performance, in verità ampiamente giustificati dal difficile contesto imposto dalla pandemia.
Ed eccoci a uno dei vincitori del Vimercate Ragazzi Festival 2021: Nonnetti di Coltelleria Einstein è uno spettacolo godibile, per un pubblico giovane ma anche di adulti, perché riesce a raccontare in modo leggero e allo stesso tempo poetico il tema della vecchiaia. Lo fa, da una parte, scegliendo una storia elementare ma universale e, dall’altra, privilegiando il linguaggio del corpo e il movimento, l’uso dello spazio rispetto al piano della parola. E quando c’è, la parola assume spesso un valore connotativo e quasi onomatopeico.
La forza di Nonnetti consiste nella capacità di evitare una narrazione convenzionale e stereotipata dei suoi protagonisti – una coppia di anziani per l’appunto – utilizzando un linguaggio giocoso sia nei momenti di comicità e spensieratezza sia in quelli emotivamente più difficili e delicati, senza cadere mai in facili cliché. Il risultato è un continuum narrativo e performativo che fa da cornice alle diverse situazioni e che riesce a mantenere sempre teso il filo dell’attenzione.
La vicenda è molto semplice. Lui (Giorgio Boccassi) e lei (Donata Boggio Sola), trascorrono e affrontano insieme la giornata, dalla mattina alla sera. “Affrontano” perché c’è una vera dialettica, nello spettacolo, fra dentro e fuori. Dentro è la casa, la coppia. Dentro è la routine in cui le loro diverse velocità hanno trovato un ritmo comune. Fuori è il mondo esterno, è l’imprevisto: il vicino, il nipotino, un improvviso malore che irrompono nella vita-dentro. In questa dialettica, le azioni che vengono esplorate e sviluppate fino in fondo – grazie all’uso del corpo – funzionano perfettamente e il pubblico si gode momenti di grande invenzione teatrale o di grande poesia. Convincono un po’ meno le azioni solo abbozzate, quasi da sketch o l’uso della voce-off per le incursioni dal fuori.
Molto riuscito sicuramente il finale da dj set che affronta il momento della morte in modo originale e ludico, accessibile anche al giovane pubblico, senza essere però banale.
Oltre agli attori-autori già citati e a Valerio Bongiorno che ha curato la regia, tutti bravissimi, vanno ricordati Alessandro Aresu e Mirella Salvischiani che hanno realizzato una scenografia e dei costumi semplici ma efficaci, in cui la pulizia e la simbologia della linea e del colore ricalcano formalmente il sottile equilibrio che struttura questo lavoro.
Diversissimo dal punto di vista della costruzione drammaturgica e dei linguaggi utilizzati è lo spettacolo di Antonio Panzuto e Alessandro Tognon, Omero Iliade: il gioco della forza. Qui la parola, trattandosi di poesia epica, ha un peso fondamentale, sia quando viene recitata – nella sua valenza fonetica ed evocativa – sia quando viene scritta e diventa segno. Alla parola si aggiungono poi la scenografia e gli oggetti di scena, vere e proprie creazioni scultoree, che fanno lo spettacolo.
Il titolo fa esplicito riferimento al Poema della forza dove Simone Weil offre una lettura lucida e attuale del testo omerico. «Il vero eroe – scrive – il vero soggetto, il vero centro dell’Iliade è la forza». La forza che assoggetta sia chi la esercita sia chi la subisce e che lascia sul campo di battaglia sia i vincitori che i vinti. «Dove sono i buoni? Dove sono i cattivi? Non ci sono che uomini in pena.». Ecco allora che il “gioco della forza” diventa sia l’asse lungo cui corre l’analisi dell’opera sia la costruzione ludica dello spettacolo.
Il poema inizia a essere raccontato dalle voci fuori campo dei bambini di una scuola elementare, mentre Panzuto appende lungo i lati della scena i loro disegni. Il loro eloquio, a tratti stentato, e la brevità dei versi spezzano decisamente la narrazione ma questo, invece di impoverire il testo omerico, da un lato ne esalta la qualità sonora – richiamando le radici orali dell’opera – dall’altro costringe a riflettere sul senso di ciascun segmento di testo. Questa operazione di segmentazione è poi rafforzata dalla composizione finale dei disegni che sono la trasposizione grafica dei versi. Ancora di più quando, in un secondo momento, la parola diventa segno. Sul fondale illuminato prende forma un’altra composizione del poema: parole cariche di bellezza, di guerra, di eroi, di luoghi.
Su questo suggestivo tappeto visivo e sonoro, calano per prime le bellissime scenografie di Panzuto, costruzioni mobili e sospese che come unità aristoteliche condensano la dimensione temporale e spaziale del poema. Successivamente il campo di battaglia si anima di sculture mobili: Achei contro Troiani. La vicenda è nota. Qui però lo spettacolo è meno efficace: Panzuto crea sì macchine sceniche molto affascinanti che muove e trafigge, immergendosi fino in fondo nel “gioco”, ma rimane un dialogo tra lui e gli oggetti scenici, in cui il pubblico non riesce veramente a entrare. Frutto di un laboratorio con i ragazzi e inclusivo nel suo farsi, il lavoro non sempre è accessibile al giovane pubblico e a chi lo fruisce solo dalla platea.
La cosa sorprendente è che, nonostante questi due difetti, Omero Iliade è uno di quei lavori che, calato il sipario, continua a sollecitare chi l’ha visto, perché è teatro che sconfina in altri luoghi della creazione – nelle arti plastiche, nell’artigianato, nella letteratura, nella poesia, nella linguistica – e porta con sé sicuramente una visione.
La sera scende, il sole è ormai calato: Vimercate va a dormire, in attesa della seconda giornata di spettacolo che comincerà una manciata di ore più tardi, con lo spettacolo di una delle compagnie padrone di casa: Teatro Invito con Pesche miracolose.
Teatro Bandito – Fritòle & Ciacòle
Principio Attivo Teatro – Mio Nonno E Il Mulo
Karakorum Teatro/Centro Teatrale Mamimò – Idedalo
Coltelleria Einstein – Nonnetti
Antonio Panzuto/Tam Teatro Musica – Omero Iliade: Il Gioco Della Forza
Vimercate, venerdì 9 luglio