RENZO FRANCABANDERA | Il racconto di un festival è forse prima di tutto il racconto di un’atmosfera generale che si è potuta respirare, perchè questo distingue il calibro di un evento di questo genere da una semplice programmazione ravvicinata nel tempo. Un festival d’arte, oltre gli eventi di cui è composto, è una geografia specifica dentro la quale hanno luogo incontri, discussioni e confronti, alternanze di vuoti e pieni.
In quasi quarant’anni di vita, Bolzano Danza ha accolto davvero la storia del linguaggio coreutico mondiale. Sono passati praticamente tutti, e molti dei più grandi, stranieri o italiani, hanno potuto anche strutturare parti della proposta artistica, come è capitato di recente a Michele Di Stefano, esperienza conclusasi nel 2020 con l’inimmaginabile (fino a due anni fa) e tragicamente meravigliosa esperienza di EDEN, progetto premiato per originalità dalla critica italiana, di cui abbiamo dettagliatamente raccontato.
Dopo quel progetto così fuori dal pensabile e intimamente legato al senso del momento storico, Bolzano Danza 2021 cerca una dimensione di normalità e torna con questa edizione a scorrere in un alveo strutturale più tradizionale, ripartendo dalla dimensione archetipica della danza degli ultimi 300 anni. Non è casuale il titolo scelto per la rassegna, Swan, chiaro rimando a uno dei simboli per antonomasia del balletto, il Cigno che dalle musiche di Čajkovskij, e dalla prima rappresentazione del Lago dei Cigni che ebbe luogo al Teatro Bol’šoj di Mosca il 20 febbraio 1877, ha segnato l’immaginario di questa arte per tutto il secolo passato.
In quello che il Direttore Artistico Emanuele Masi ha definito ‘un festival di riletture e di ridefinizioni’, in svolgimento fino al 30 luglio nelle sale del Teatro Comunale di Bolzano e in diversi luoghi della città e nei dintorni, molti dei 29 appuntamenti (di cui 5 prime assolute, 10 prime nazionali e 4 coproduzioni del Festival) hanno come oggetto riletture de Il Lago dei cigni, La Morte del cigno, Giselle, La Sagra della primavera, il Requiem mozartiano, affidate sia a coreografi della scena internazionale sia a giovani artisti italiani.
Uno degli eventi chiave di questa edizione, nel primo weekend di festival, è stata la proposta della ‘compagnia associata’ Gauthier Dance di Stoccarda, che ha portato nel vivo temi messi in campo quest’anno tramite una serie di riscritture contemporanee del grande classico in apertura del festival, il 16 luglio con la prima nazionale di Swan Lakes, ovvero quattro diverse riletture in chiave contemporanea del balletto, partendo dall’archetipo di Petipa-Čajkovskij per affidarsi alle riletture firmate dell’israeliano Hofesh Shechter (Swan Cake), della canadese Marie Chouinard (Le chant du cygne: le Lac), dello spagnolo Cayetano Soto (titolo in definizione) e del tedesco Marco Goecke (Shara Nu).
La sera successiva il tema della riscrittura ha assunto una forma da live show con Eric Gauthier a fare da presentatore mattatore in The Dying Swans Project: 16 diversi assoli, live e digital, di danzatori della compagnia Gauthier Dance presentanti in parte in Teatro nella serata denominata The Dying Swnas Live Experience e in parte sui monitor allestiti nel quartiere Don Bosco di Bolzano per U-Game/Dying Swans (installazioni disponibili fino al 31 luglio).
In particolare The Dying Swans Live Experience è un vero e proprio show ideato dal coreografo, nato dal progetto digitale sulla Morte del cigno pensato da Eric Gauthier durante la pandemia per i suoi sedici danzatori. Partendo dall’omaggio al leggendario assolo di Mikhail Fokin per Anna Pavlova, Gauthier cerca una chiave contemporanea di quel momento creativo per ripensare al ruolo fragile dell’interprete oggi, vero e proprio cigno ingabbiato nelle stanze dell’identità artistica negata.
Nel tempo del lockdown sono stati creati sedici diversi assoli, in dialogo spesso anche da remoto fra i ballerini della Gauthier Dance e coreografi di tutto il mondo. I loro assoli sono introdotti in una serata di luci, danza e proiezioni video, da una reinterpretazione della versione originale interpretata in punta da una ballerina della Gauthier Dance e da saluti e dichiarazioni di due étoiles del calibro di Polina Semionova e Diana Vishneva in video.
Il coreografo, qui nei panni di maestro di cerimonie, cuce le esperienze, proposte al pubblico presente in parte dal vivo e in parte a video, per poi arrivare, al termine della carrellata, a coinvolgere inaspettatamente il pubblico in un’operazione di sintesi coreografica di gruppo.
Ci si è trovati così a far parte di una divertente e solo in apparenza sgangherata esperienza di coreografia collettiva, interpretata da tutti gli spettatori in sala.
Da ciascuna delle riscritture coreografiche presentate durante la serata è stato estrapolato un gesto simbolico che unito e legato al successivo ha permesso ai circa 200 spettatori di realizzare quello che per molti forse era il sordido sogno di una vita: danzare in un teatro, guidati da un grande coreografo, e interpretando il ruolo del cigno.
Un’operazione che, se dapprima ha generato evidente ilarità e ritrosia fra i più insicuri dopo qualche minuto ha lasciato il posto a un anelito collettivo di liberazione in cui, chi ha avuto modo di godersi quel momento senza pensare a cosa potesse aver da dire il vicino (distanziato) di sedia della grazia dei suoi pochi gesti, ha potuto vivere un atto a suo modo leggero e liberatorio, un dialogo con le creazioni proposte, di rilettura di pensiero del gesto coreutico, e in fondo di sintesi soggettivamente “indimenticabile” dell’operazione tutta. Non è detto che per arrivare al Sè, il passaggio per il la porticina sempre un po’ aperta dell’Ego narciso non sia poi una possibilità. E Gauthier ci dimostra che in fondo questa via la abbiamo sempre a portata di mano.
È una lezione, quella dell’azione rigorosa che parte da ciò che abbiamo sotto gli occhi e che possiamo trasformare in ogni momento in pretesto creativo per dialogare con l’assoluto, che collega questa esperienza a quella che la aveva preceduta nel pomeriggio, il Dialogo terzo: In a landscape firmato da Alessandro Sciarroni per CollettivO CineticO, uno dei gruppi più rappresentativi dell’avanguardia italiana. Spesso Sciarroni, partendo da pratiche anche tradizionali ginnico-coreutiche ha plasmato creazioni di solenne levità. In questa creazione, di cui avevamo raccontato al debutto nazionale, i cinque performer utilizzando un semplice hula hop cercano lente vorticosità asintotiche sulle note dell’omonima composizione giovanile di John Cage (1948 per pianoforte solo o arpa). Qualcosa arriva a ricordare quasi la meditazione dei dervisci, che d’altronde era stata oggetto tempo addietro di un solo interpretato dallo stesso Sciarroni sulla rotazione individuale. E davvero a Caldaro, nel meraviglioso paesaggio collinare sulla valle che ospita la Cantina Kettmeir, quasi si arriva alla ‘sparizione volontaria del soggetto’ di cui parla il coreografo come anelito spirituale del lavoro. I performer vestiti in colori dimessi, quasi mimetici, senza genere né attributo, pian piano si dissolvono, fra note e movimenti, in una sorta di dialogo fra ombre e geometrie, con le meccaniche profonde del paesaggio.
Pensando a quel filo rosso emotivo cui si faceva cenno all’inizio, si arriva a pensare che proprio questo sia il senso profondo dell’atto danzato, che si ottiene quando quello che abbiamo davanti agli occhi ci sparisce dentro, trovando ragioni di sè nel nostro sguardo, senza cercare inutile clamore, se non quello della conversazione fra spiritualità, di cui il corpo è medium. Ci pensiamo il giorno dopo al Teatro Studio con riguardo alla pulizia essenziale di Eden (storico lavoro del 1986 qui ribattezzato Duo d’Eden), coreografia di una delle maggiori poetesse del movimento del corpo nell’ultimo mezzo secolo, Maguy Marin, Leone d’oro alla Carriera alla Biennale di Venezia, tornata a Bolzano Danza dopo diversi anni di assenza con questa coreografia di trentacinque anni fa, eccezionalmente affidato alla compagnia indipendente italiana MMContemporary Dance Company di Michele Merola.
Un paradiso terrestre, suoni atmosferici, buio da cui emergono i corpi nudi di un Adamo e una Eva, che si scoprono l’uno nelle costole dell’altro, si attorcigliano fra leggerezze e ponderazioni, cercando l’unicità nel duale, il restarsi attaccati, il divenire, per scelta e per destino, inseparabili. Le due corporeità mascherate per divenire neutre nelle espressioni facciali e offrire solo il corpo allo sguardo intimo dello spettatore, costretto a perdersi in questo avvinghiato silenzio di emozioni che con tenue luce calda emergono dal buio e nel buio tornano a dissolversi mentre lei, tenendosi ai piedi di lui, lo segue nel cammino, legata ormai a un percorso ineludibile
Il primo weekend è terminato con un ulteriore reenactment, quello di Giselle, affidato alla rilettura di Antonio de Rosa e Mattia Russo con la loro compagnia spagnola Kor’sia. Cosa resta oggi dell’afflato romantico della contadinella che muore per amore e poi perdona l’amante fedifrago, simbolo dell’amore puro che resiste nonostante tutto? Lo spettacolo si apre con le esequie di questo personaggio, in sembiante preraffaellita, dentro un catafalco verticale che accoglie lo spettatore. Dalla platea un performer arriverà a denudare questo corpo dalla lunga chioma rossa, lasciando che questo feretro sparisca nel buio per lasciare spazio a una lettura quasi post-umana del sistema delle relazioni affettive. In uno scenario desertico e proiettato in un immaginifico terzo millennio, i Kor’sia, con la collaborazione drammaturgica di Gaia Clotilde Chernetich, paiono tornare sul Bauman di Amore liquido, trattando quindi dell’uomo senza legami, Der Mann ohne Verwandtschaften, l’abitante della società liquido-moderna.
Le relazioni fluide, vorticose come il movimento degli interpreti di scena, impegnati un una partita a golf senza campo da gioco e in un green ricoperto non di florida erbetta ma di sabbia desertica, alimentano la rappresentazione dell’estrema e antiromantica fragilità nei rapporti umani.
Protagonista dell’opera è dunque una sorta di “degisellazione” di cui la società sarebbe vittima, società incapace di relazione umana vera, e schiacciata dalla leggerezza di quelli che non è più possibile chiamare legami ma a mala pena connessioni.
Il vortice è simbolicamente richiamato da un grande anello luminoso che sovrasta la scena e che pare ancestrale parente del monolite di Kubrick, simbolizzazione forse di una rete che irretisce, che dà l’idea di un legame dal quale è facile entrare e uscire.
Tutto si può rompere tranne lo stare dentro questo vortice: la relazione è oggi investita di una diffidenza, di una insicurezza strutturale e, per affrontarla, si pare attendere un intervento ultraterreno, quasi extraumano, a regolare le relazioni mediate dalla tecnologia delle infinite Giselle che siamo. Gli undici danzatori sono gli interpreti dell’incapacità del vero amore romantico. Siamo tutti dentro una sorta di finta meditazione collettiva, cui pare ironicamente instradarci una sinuosa voce off, che finisce in realtà per interrompere ogni emozione di questa Giselle che non arriva più a narrarsi, facendo piombare l’umanità dentro un extramondo spettrale e impalpabile.
Il composto scenico coreografico è fatto di immagini e gesti coerenti, anche se sul piano drammaturgico forse qualcosa di più era possibile nel rileggere in modo più nitido il rapporto fra gli assunti socio-filosofici alla base di questa Giselle e i grandi archetipi del classico, sepolti troppo velocemente con il funerale iniziale, rendendo un po’ monca la dialettica di alterità rispetto allo stato emotivo di cui questa Giselle vuole parlare. Insomma uno degli ingredienti centrali, il conflitto, qui ha per antagonista una pallida Giselle che scompare dopo cinque minuti, lasciando troppo orfani sia gli interpreti in scena, dal punto di vista drammaturgico, e sia parte degli spettatori in sala; ma il pubblico di Bolzano, ormai avvezzo alle letture più d’avanguardia, non si scompone, e accoglie l’operazione.
THE DYING SWANS LIVE EXPERIENCE
GAUTHIER DANCE//THEATERHAUS STUTTGART
Coreografia: Eric Gauthier da Mikhail Fokin
Progetto realizzato con “be a mover”, Daimler AG
Design Studio grafico con immagini in movimento
Coproduzione con Les Théâtres de la Ville de Luxembourg (L), Festival del Castello di Ludwigsburg, Festival Bolzano Danza | Tanz Bozen, Holland Dance Festival, Waiblingen Civic Center, ZDF / 3sat
Presentato da Bolzano Danza nell’ambito della rete “Swans never die”
DIALOGO TERZO: IN A LANDSCAPE
COLLETTIVO CINETICO
Coreografia, regia: Alessandro Sciarroni
Azione, creazione: Simone Arganini, Margherita Elliot, Carmine Parise, Angelo Pedroni, Francesca Pennini, Stefano Sardi
Lighting design: Alessandro Sciarroni
Musiche: John Cage, Stefano Sardi
Costumi: Ettore Lombardi
Tecnica: Stefano Baraldi
Co-produzione: CollettivO CineticO, Aperto Festival – Fondazione I Teatri di Reggio Emilia Teatro Comunale di Ferrara, Operaestate Festival Veneto/CSC, MARCHE TEATRO Teatro di Rilevante Interesse Culturale Centrale Fies / Art Work Space con il sostegno di MIBACT, Regione Emilia Romagna
DUO D’EDEN
MM CONTEMPORARY DANCE COMPANY
Coreografia e colonna sonora: Maguy Marin
Coreografia rimontata da: Cathy Polo ed Ennio Sammarco
Costumi: Montserrat Casanova
Luci: Pierre Colomer
Con il sostegno di La Francia in Scena e Institut Français.
Prima italiana e coproduzione
GISELLE
KOR’SIA
Coreografia: Mattia Russo, Antonio de Rosa e gli interpreti
Interpreti: Mattia Russo, Antonio de Rosa, Agnès Lopez-Rio, Giulia Russo, Astrid Bramming, Alejandro Moya, Christian Pace, Angela Dematté, Vlaudia Bosch, Gonzalo Alvarez, Jeronimo Ruiz
Musica: Adolphe-Charles Adam, PERMANENT DESTRUCTION/Naomi Velissariou & Joost Maaskant, Susana Hernandex Pulido
Drammaturgia: Gaia Clotilde Chernetich e Kor’sia
Assistente alla Drammaturgia: Giuseppe Dagostino
Artistic advisor: Agnès López-Río
Stage design: Amber Vandenhoeck
REHEARSAL Marina Jiménez Blasco
Luci: Marc Salicrú
Costumi: Adrian Bernal
Concezione e produzione tessile: Amedeo Piccione
Makeup: Vicent Guijarro
Acconciature: Elías Pedrosa per Oculto
Scenari creation: Mambo Decorados + Sfumato
Accessori di scena: Scnick Móvil
Immagine di locandina: Ernesto Artillo
Produzione: Gabriel Blanco et Paola Villegas (Spectare)
Direttore tecnico: Meritxell Cabanas
Produzione: Kor’sia
Coproduzione: Teatros del canal Madrid / Staatstheater Darmstadt / Festival Bolzano Danza