RENZO FRANCABANDERA | Anche la psicologia cognitiva si interroga sui meccanismi che ci spingono ad assegnare significato e a legarci a un paesaggio. La gran parte delle ricerche si è sviluppata, tuttavia, intorno alla domanda se questa scala di significati e di percezioni rispetto all’ambiente sia originata da informazioni che provengono da stimoli esterni o da interpretazioni soggettive e personali. Un tema non banale per chi si occupa di arte, anche in considerazione del fatto che moltissimi sono gli esperimenti e gli artisti che, negli ultimi anni, si sono dedicati a narrare e sviluppare un rapporto creativo con il paesaggio.
Secondo alcune ricerche, per esempio, esisterebbero sistemi di conoscenza gerarchicamente strutturati come schemi ambientali che si vanno man mano a costituire e che la nostra memoria archivia in categorie: tutti i paesaggi boschivi, la vegetazione vicino alle coste mediterranee, ecc. E forse fra questi paesaggi codificati, in qualche forma, ci sono anche le periferie, aree urbane caratterizzate da aspetti di fragilità, ma anche dalla presenza di una rete sociale e culturale spesso in grado di sviluppare pratiche di solidarietà.
Le periferie hanno conosciuto in questi ultimi due anni grandi difficoltà e, con esse, gli esperimenti artistici radicati su territori connotabili sotto questa definizione che, se anni fa identificava aree lontane dal centro, nel tempo ha incluso anche aree spesso centrali ma finite per ragioni storiche in dinamiche di progressiva perdita di valore immobiliare e di lacerazione del tessuto connettivo di base, che vedono, accanto al peggioramento della povertà materiale e all’ampliamento della popolazione, l’inasprimento del malessere sociale.
Spesso le esperienze artistiche di prossimità sono state e sono cruciali nel favorire un dialogo, un punto di riallaccio di queste aree della città al resto del centro urbano. Ma la pandemia è stata rovinosa per questo delicato processo di ricucitura.
Lo Spazio Matta di Pescara, ad esempio, nato proprio dalla riqualificazione dell’ex Mattatoio, da circa un anno e mezzo non svolge più attività artistiche in presenza (rassegne di spettacoli, laboratori per minori) e la comunità di spettatori si è indebolita.
Per rispondere ai cambiamenti in atto nelle dinamiche socio-culturali a causa dell’emergenza causata dalla pandemia per il Coronavirus, gli astisti che hanno curato la programmazione estiva hanno inteso proprio ragionare sugli stimoli – per tornare alla questione iniziale – che ci fanno attribuire senso a un territorio.
Si è cercato, attraverso stimoli esterni, di far comprendere come dentro la categoria generale della periferia ci siano specificità concettuali che possono diventare spesso centrali per la vita di molti, ricostruendo insieme il senso del vivere la comunità, anche attraverso azioni di prossimità, rivolte a tutti e che stimolano una partecipazione di qualità. Per realizzare queste azioni di vicinanza alle persone, tutta la programmazione estiva è stata fatta in rete con altre realtà cittadine in particolare On The Road, Fondazione Caritas Pescara-Penne, Liceo Artistico Musicale e Coreutico Misticoni Bellisario, Fiab Pescarabici, Florian Metateatro e Radio StArt.
Ne abbiamo parlato con una delle figure che curano la direzione artistica dello Spazio Matta, Annamaria Talone.
Cosa significa per un operatore culturale programmare e riprogrammare in questo tempo? Quale strategia avete adottato da questo punto di vista per lo Spazio Matta?
In questo tempo abbiamo messo in discussione il nostro modo di ideare e produrre la cultura. Nel periodo di inattività abbiamo subito dei danni allo Spazio che è situato in una zona periferica e solo ora, dopo un anno e mezzo, stiamo riaprendo le porte. La risposta l’abbiamo cercata nella resilienza che non è solo una capacità di fronteggiare le situazioni secondo principi di sostenibilità economica, ma è un’attitudine più ampia, è la ricerca di una visione che si nutre di pensieri e pratiche artistiche. All’inizio del lockdown, la nostra matrice contemporanea ci ha stimolato a cercare nel digitale una possibile risposta. Andando avanti, il vuoto creato dalla mancanza di relazione ci ha imposto una riflessione personale e politica. Mi sono domandata cosa avremmo potuto fare per curare le ferite della distanza, per ri-connettere le persone. La risposta è stata: andiamo noi a “fare visita” ai nostri spettatori passati e futuri.
Cuore di questa ripresa sono le attività di prossimità. L’attività che si è appena conclusa, il walkabout, ha delle caratteristiche peculiari per il coinvolgimento della comunità locale. Quale senso attribuite a questa esperienza?
Con matta#aperto stiamo realizzando una programmazione all’esterno con incursioni teatrali nei cortili, laboratori nel parco, passeggiate urbane.
Il walkabout (cammina in giro e a tema) è un format ideato da Carlo Infante che coniuga l’arte antica della conversazione peripatetica con il performing media storytelling. La realtà aumentata permette di coinvolgere i cittadini in passeggiate “sensienti” in cui diventano protagonisti di azioni ludico-partecipative, una sorta di “palestre di cittadinanza attiva” che rinnovano la conoscenza ed il legame con il quartiere.
Nell’esperienza pescarese, appena conclusa, Infante ha scelto il titolo Paesaggi Umani, proprio per sottolineare la ricerca di storie inscritte nelle geografie non in una prospettiva nostalgica bensì rivolta al cambiamento. Come Spazio Matta, inoltre, il walkabout ci ha permesso di individuare un metodo culturale per alimentare una rete di prossimità con le realtà sociali presenti nell’area urbana.
Spazio Matta è la compresenza anche di diverse anime curatoriali. Come vi dividete il lavoro? Come si recupera l’unità di intenzione programmatica?
All’inizio non avevamo un’idea precisa di come impostare la direzione artistica ma sapevamo di volere un’apertura ai diversi linguaggi artistici e alla sperimentazione. Essendo una rete di operatori con esperienza, in prima istanza, la cosa più semplice è stata quella di indirizzare alcune delle proprie attività nello Spazio. Subito però è nata l’esigenza di una programmazione dello Spazio con una linea artistica propria, senza rinunciare alla natura plurale. Ognuno di noi ha scelto di occuparsi dell’ambito più rispondente alle proprie competenze: come curatori o come operatori in attività didattiche e sociali.
Io che nasco come curatrice teatrale (tra altri, ho curato un festival di donne nel teatro in rete con il network internazionale The Magdalena Project) mi dedico alla rassegna di teatro contemporaneo in co-direzione con la danza. Non è difficile convergere sulle scelte artistiche perché abbiamo matrici stilistiche affini. Contestualmente ci si è domandati a quali bisogni culturali della città rispondere, su quali questioni etiche prendere parola. La convergenza sui temi è la risultante di un processo collettivo a cui tutti prendono parte insieme ai curatori.
La scelta di un impegno periferico in una città con significative problematiche di integrazione nei circuiti di maggior robustezza dell’arte richiede sicuramente uno sforzo ancora più ampio. Quali sono i desideri che in un mondo un po’ più giusto vorrebbe per la sua città e per la vostra realtà artistica?
Possiamo dire di essere doppiamente in periferia, perché il Matta si trova al confine della periferia in una città anch’essa periferica rispetto ai sistemi dell’arte. Sin dall’inizio, questo impegno nasce dal desiderio di creare un distretto per le arti, seguendo esempi virtuosi di altre città italiane ed europee. La visione comune è stata quella di portare la “bellezza” in periferia, ovvero fare una proposta artistica di qualità accompagnandola con un’azione didattica per favorire la partecipazione. Lo sforzo è stato dunque duplice: da un lato entrare in relazione con i circuiti nazionali, non avendo un sostegno pubblico costante; dall’altro volersi rivolgere a tutte le persone, in particolare a quelle mai raggiunte da questo tipo di proposte. Come sempre, accanto alla fragilità, c’è l’opportunità. Nel nostro caso, l’essere periferia ci ha consentito la libertà della “ricerca” nel fare proposte che non ripetono modelli consolidati ma provano a raccontare “la differenza”.
Quali sono gli ingredienti per rimanere fiduciosi e portare tenacemente avanti un progetto come Spazio Matta oggi? A quale futuro prossimo state pensando da agosto in poi?
Nell’ultimo anno abbiamo utilizzato il tempo di “inattività” per fare un punto sul progetto, questa immersione ci ha permesso di ricollegarci ai desideri iniziali, acquisendo maggiore consapevolezza della nostra identità in quanto spazio rigenerato. Questa maturazione arriva in una fase di definizione istituzionale per l’avvio del programma della Presidenza Consiglio dei Ministri per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie che ci vede tra i soggetti attuatori per la città di Pescara. Entrambi gli aspetti, sostanziale e formale, ci stimolano a ri-orientare in modo più puntuale le attività. Stiamo mirando a dei circuiti in linea con la nostra realtà, siamo da poco entrati nella rete nazionale degli spazi rigenerati Lo stato dei luoghi. A livello progettuale, stiamo incrementando l’attività di coinvolgimento del quartiere, fornendo più strumenti culturali ai cittadini per interagire con le proposte dello Spazio e diventare loro stessi produttori di cultura.