STEFANIA CARVISIGLIA | The voice this time. Questa volta la voce. Il festival Short Theatre, con sede a Roma e giunto quest’anno alla sua sedicesima edizione, pone l’attenzione alla voce.
Dando luce a un oggetto, dopo l’attimo di un sospiro, ci si relaziona necessariamente con i suoi spazi in ombra. La voce accade se ci si pone in ascolto. Un ascolto vibrante che allarga l’orizzonte dello sguardo e fa vacillare i confini del noto. La voce amplifica la sua gamma di suoni e tenta di esplorare quelle zone d’ombra da sempre soverchiate dalla voce dei più forti.
Luce. Il pubblico attraversa gli spazi del WEGIL, ex GIL, ex Casa della Gioventù Italiana di Trastevere, dove da tre anni ha luogo il primo weekend del festival. Si salgono le scale e ci siede in semicerchio su cuscini trasparenti di plastica e piccoli materassini da mare in una sala in cui le colonne bianche, marmoree, creano l’unica definizione (forse non voluta) dello spazio.
Buio. Un corpo, François Chaignaud, vestito con un indumento di sofisticata architettura, monumentale quasi, con colori sgargianti e chiome che ne rivestono la struttura fa il suo ingresso seguito da una luce portata a braccio da un altro corpo che segue il movimento del performer, avanzando lentamente. È una luce che arriva, che viene portata, che non acceca, che dà modo all’occhio di entrare gradualmente. Un piccolo pas de deux tra mondi non sempre in dialogo.
Chaignaud avanza a pochi centimetri dalle/gli spettatrici/ori, perimetrando il semicerchio formato. È solo quando il suo corpo si avvicina che ci si accorge della presenza di un serpente tra le mani, un piccolo serpente bianco che viene deposto in una scatola di cartone alla fine della definizione del perimetro.
Il corpo fin dalla sua entrata è sonoro, è abitato da canti lontani, da melodie ucraine, filippine, sefardite, voci che spaziano da toni profondi a vibrazioni squillanti. La voce prende campo e comincia a muovere. Muove il corpo del danzatore in ritmi e qualità continuamente cangianti. Prendono vita danze carnali, terrene che si trasformano in piroette aeree e leggere. Il corpo attraversa gli stati della materia, è fuoco annacquato da una sonorità fluida, è acqua che viene vaporizzata dalla leggerezza di un movimento della mano. La voce muove la luce che diventa più ampia e cambia sorgente, non è più trasportata manualmente ma proveniente da un treppiedi, diventa una luce più diffusa, più ampia che porta lo sguardo ad ampliare la visione. La luce bagna il volto truccato con lunghe ciglia favolose e un rossetto che circonda il confine delle labbra mosse dal canto. Dal fuoco sul corpo l’occhio va a toccare lo spazio che lo circonda.
Emerge una sorta di contrappunto, una nota contro l’altra, uno spazio, quello del WEGIL, lineare, disciplinante, coloniale, rigido e un corpo che diventa un mezzo in cui vivono insieme voci e ritmi lontani e vicini, un corpo duttile che senza compiacenza entra in uno spazio di dialogo tra il sé e un fuori senza confini. Un corpo abitato. Un corpo che evoca immagini e contemporaneamente le fa fluire e defluire una dentro l’altra, creando la bellezza della scategorizzazione.
Dalle danze rituali che invocano la divinità del Kerala, si approda in Ucraina con le note di Dumy Moyi, da cui prende il titolo dello spettacolo. Con un port de bras si spalancano le porte del balletto, poi fa la sua entrata l’opera che svanisce e si ritrova dietro l’angolo. Si susseguono spettacoli drag a intonazioni epiche di brevi poemi lirici. C’è un cogliere o raccogliere frammenti di storie e culture altre senza prenderle, possederle, giocando sempre al limite di quel territorio. Appena sembra che ciò avvenga, sfuma e si trasforma in altro.
Nel momento in cui il pensiero si appoggia nel riconoscimento di un’immagine nota o sull’immaginario di essa, ecco che un’altra immagine fa la sua entrata e la confonde, la amplifica, la riduce, la disconosce.
Leggo che Dumy Moyi, di cui non ho trovato una traduzione adeguata, potrebbe essere tradotto con I miei pensieri o Le mie melodie. Un monologo interiore che non fissa e non mette punti o colonne marmoree ma lascia scorrere e scivolare via negli interstizi gli approdi della parola.
DUMY MOYI
di e con François Chaignaud
3 settembre 2021 – WEGIL-Roma
Short Theatre 2021