ELENA SCOLARI | Quanta e quante vite si possono celare e intrecciare in un ufficio? Si passa un sacco di tempo in ufficio, una parte importante dell’esistenza di chi ci lavora; e poi si intessono rapporti, si covano invidie, si stringono alleanze, si creano relazioni che a volte hanno un prolungamento anche lontano dalla scrivania. Succede anche che in ufficio si mostri ai colleghi solo una delle proprie facce, lasciandoli così di stucco quando – accidentalmente – esce allo scoperto un lato che non era in luce. Magari un lato opaco.
Tutto questo (ma non solo) accade in Edificio 3 – storia di un intento assurdo del drammaturgo e regista argentino Claudio Tolcachir, fondatore della casa-teatro Timbre4 a Buenos Aires, in scena al Teatro Studio Melato fino al 7 novembre 2021 (lo spettacolo fu allestito in forma di installazione nello spazio antistante il Teatro Strehler di Milano durante il secondo lockdown e ora è finalmente sul palcoscenico).
Timbre è il campanello, in spagnolo, e 4 è il numero cui risponde e corrisponde la casa di Tolcachir, sì perché in Argentina molti piccoli gruppi indipendenti hanno fatto teatro nella propria casa, anzi: hanno fatto della propria casa un teatro, specialmente negli ultimi vent’anni, due decenni in cui tanti giovani (ora quasi cinquantenni) hanno sentito che il teatro sarebbe stato il giusto strumento per raccontare il proprio paese dopo la pesante crisi economica dei bond argentini (bond = obbligazioni spazzatura, in gergo finanziario) che nel 2001 ha messo in ginocchio la nazione e tanti malcapitati nel resto del mondo che in quei bond avevano investito.
Il campanello dell’ufficio situato nell’Edificio 3 non lo suona più nessuno, pare che l’attività sia sospesa, sembra anzi che gli impiegati non ricevano più “le carte” e quindi non abbiano più niente da fare, o quasi. Un luogo kafkiano, dunque. Non è chiaro, volutamente, quale fosse la natura del loro lavoro nemmeno prima, per la verità, è chiaro però che negli edifici 1 e 2 “le carte” ancora circolino. Che si siano dimenticati di licenziare i lavoratori del 3? Chi lo sa. Quello che vediamo è un luogo di lavoro qualsiasi, con scrivanie, scaffali, faldoni, librerie con raccoglitori, schedari, cassettiere. Piano luci semplice e naturale.
In fondo anche i tre impiegati sono abbastanza qualsiasi: Valentina Picello, scoppiettante e irresistibile nella sua isterica pedanteria mista a ingordigia di pettegolezzi, è Moni, giovane tanto sollecita quanto irritante, invadente perché troppo premurosa; Giorgia Senesi interpreta con capacità attoriale sicura e ferma il nervoso tremolio esistenziale di Sandra, una donna perennemente in ritardo, non solo sul lavoro ma anche nel costruirsi una vita personale e soprattutto una famiglia, vorrebbe tanto un figlio ma non ha con chi farlo e il desiderio è diventata un’urgenza anagrafica; c’è poi Ettore: Rosario Lisma incarna l’insicurezza di un uomo sui 45 anni, impacciato nelle avances, insicuro se mantenere il look con cui lo ha cresciuto mamma – fatto di timidi gilet a losanghe – oppure lanciarsi nel mondo (dopo la morte della suddetta mamma, Susi) con giubbetti di pelle bicolori da giocatore di baseball americano.
Fuori dall’ufficio c’è una giovane coppia – ma questi personaggi appaiono e “stanno” tra le scrivanie, nello stesso spazio che idealmente rappresenta anche la loro casa – formata da Sofia (Stella Piccioni) e Manuel (Emanuele Turetta), coppia dispari per le dosi d’amore versate nella relazione: lei è innamorata e fa tutti gli errori che non si dovrebbero fare quando l’amato è uno stronzo. Manuel e Sofia sono due ruoli che aleggiano, meno reali degli altri, rappresentano un intermezzo incentrato tutto sui sentimenti, una cerniera con i tre personaggi principali che sono invece disegnati per assomigliarci.
I dialoghi della coppia si alternano, con tempi perfetti, alle conversazioni (anche un po’ assurde) che si tengono tra Moni, Sandra ed Ettore in ufficio, l’effetto è quello di un fermo immagine che blocca chi non parla come fosse dietro un vetro mentre il secondo registro prosegue nello sviluppo. Naturalmente i due plot si incontreranno, come questo succede non è sostanziale e non è forse nemmeno l’aspetto più riuscito dello spettacolo, il nocciolo è piuttosto la ‘bipolarità’ di ogni personaggio (forse solo l’altruista e unidimensionale Sofia non ne è affetta), intesa come incapacità di esprimere esigenze e mancanze insieme ai propri punti forti. Le convenzioni sociali ne sono la principale ragione (e questa stessa causa è un tantino convenzionale) ma c’è qualcosa di più: per Moni c’è un’esplicita citazione da Bartleby, lo scrivano, il modernissimo racconto lungo del grande Herman Melville, non riveliamo il motivo; Sandra finge una situazione inesistente con la dottoressa che dovrebbe “metterla incinta”, e in una sola scena sentiamo l’eco di tanto cinema delle nevrosi da Woody Allen a Sam Mendes; Ettore è forse il più complesso dei doppi: intrattiene – insospettabilmente – una relazione personale che sorprenderà anche i colleghi.
ph. Masiar Pasquali
La direzione di Tolcachir è fluida, ben ritmata, muove gli attori in scena con sicurezza e il loro affiatamento è uno dei maggiori piaceri di questo spettacolo. Ci sono scene comicamente travolgenti come la stesura a sei mani del discorso che Ettore dovrà tenere alla messa in ricordo della madre scomparsa (cui era tanto tanto affezionato, tutti l’amavano soprattutto per i suoi panzerotti) e ci sono scene drammatiche come lo sfogo di Sandra contro l’insopportabile solerzia di Moni, maniaca dell’ordine ma che nasconde così il disordine della sua vita.
Edificio 3 racconta le difficoltà che tutti abbiamo nel convivere ciascuno con i propri guai e nel trovare il modo di condividerli con il prossimo senza apparire ridicoli. Il teatro di Tolcachir, anche autore del testo tradotto molto bene con una lingua viva e fiammeggiante da Rosaria Ruffini, sa costruire personaggi veri, archetipi di un’umanità che affronta gli stessi problemi da quando viviamo nell’epoca moderna, in una società diventata vieppiù complessa quanto a relazioni tra persone, tra classi. E forse “l’intento assurdo” del sottotitolo è proprio il tentativo di ri-trovare la chiave psicologica (persa in un cassetto della scrivania) per rapporti meno fasulli e più equilibrati.
EDIFICIO 3 – Storia di un intento assurdo
scritto e diretto da Claudio Tolcachir
traduzione Rosaria Ruffini
luci Claudio De Pace
costumi Giada Masi
con Rosario Lisma, Stella Piccioni, Valentina Picello, Giorgia Senesi, Emanuele Turetta
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Carnezzeria srls, Timbre4
in collaborazione con Aldo Miguel Grompone
Foto di scena Masiar Pasquali
Teatro Studio Melato, Milano
5 ottobre 2021