RENZO FRANCABANDERA e MICHELA MASTROIANNI | Per Lola Arias, così come per alcune delle figure di maggior rilievo della scena internazionale contemporanea, dai Rimini Protokoll a Milo Rau, l’elemento centrale nella creazione artistica è la questione della partecipazione. Lo spettacolo/performance non può nascere per intuizione fantastica, né intorno ad una drammaturgia compiuta o da riscrivere e neppure da una scrittura di scena che rielabori l’improvvisazione a tema e l’esperienza delle prove. Per l’artista argentina lo spettacolo stesso nasce dal lavoro con un gruppo di persone, tipicamente microcomunità appositamente selezionate, dentro le quali la Arias scava percorsi di indagine e conoscenza, sviluppando forme di arte documentaria. Si tratta di veri e propri progetti interdisciplinari che utilizzano il teatro, il cinema, le arti visive e la musica in un mélange che di volta in volta si costruisce sulle esperienze di vita della comunità che ha partecipato al processo creativo.
Era qualcosa di cui avevamo già discusso con la regista alcuni anni fa (in calce a questo articolo la video intervista) in occasione della presentazione nel 2018 a Zona K a Milano del suo progetto Veterans del 2014, in cui indagava la questione di cosa significhi essere un veterano di guerra.
Nel caso di Lingua madre, andato in scena in prima assoluta all’Arena del Sole di Bologna, l’artista indaga e problematizza il tema della procreazione nella società contemporanea occidentale. Il percorso scenico è una esposizione quasi museale di testimonianze sulla scoperta del sesso e l’esperienza della riproduzione (ma anche del suo rifiuto) da parte delle persone che hanno partecipato al percorso biennale di ricerca artistica e sociale. Le persone si raccontano, documentando la propria esperienza, ciascuna a suo modo straordinaria, e diventano in scena in qualche modo dei personaggi archetipici che, in bilico tra estetica e politica, cercano di levigare le asperità del confine in cui legge e morale ancora maldestramente si toccano.
La società cambia prima delle regole ed è questo cambiamento che spinge verso nuovi dispositivi normativi che portano ad acquisire o perdere diritti. Lo stesso cambiamento implica l’apertura di un confronto per vederne riconosciuti alcuni e per tenere parti di popolazione dentro o fuori le forme di tutela. È quello che è già successo ormai mezzo secolo fa sulle questioni dell’aborto o del divorzio in un’Italia che, negli ultimi anni, torna a confrontarsi con i temi etici chiamati in causa dal dibattito sulla genitorialità in tutte le sue forme. Alla fine della replica del 12 ottobre, qualcuno dalla sala durante gli applausi grida “Grazie!” agli interpreti, come a rimarcare una sorta di bisogno di rappresentazione di istanze sociali vive e pulsanti o forse di autorappresentazione, come se il teatro fosse tornato al tempo de I Persiani, e la polis attenda il drammaturgo per fare i conti con le sue ferite, con le battaglie vinte, perse o in corso. In realtà lo spettatore non dibatte con l’artista, ma assiste in filigrana, attraverso una resa scenica curata in ogni dettaglio e dal ritmo incalzante, al dibattito (comunque orientato ed ideologico) che l’artista ha avuto con il gruppo di persone con cui ha scelto di lavorare.
Proprio per rispettare questo bisogno di rappresentazione aderente al contesto socio-culturale in cui il progetto abita, Lingua Madre si realizzerà ora in diversi paesi del mondo, con comunità diverse, come un laboratorio mobile. Quello a cui abbiamo assistito, Lingua Madre, edizione Bologna, è la prima performance di una serie di creazioni che avrà luogo anche a Madrid, Berlino e altre città. La formula è ormai consolidata: come il Remote X di Rimini Protokoll diventava di volta in volta Remote Milano, Remote Berlin, ecc, l’artista di teatro partecipato contemporaneo propone ai grandi teatri internazionali un format creativo, la cui produzione prevede in questo caso il supporto nella costruzione di microcomunità adatte. I partecipanti mettono a fattor comune un pezzo del loro vissuto e si rendono disponibili ad indagarlo. La fase di co-creazione si sviluppa attraverso incontri, laboratori, sessioni di studio e composizione collettiva di uno spettacolo che rappresenta il consolidamento di questo percorso.
Nel caso di Lingua madre, edizione Bologna ad essere raccolti sono frammenti di esperienze intime: foto del parto in casa, della transizione sessuale, dell’infanzia in un’altra nazione, o del certificato di genitorialità omosessuale dopo l’esperienza della gravidanza affidata ad un’altra donna negli Stati Uniti da cui sono nati due gemelli, biologicamente, ma non legalmente, fratelli per lo stato italiano; il video in cui la loro “portatrice” spiega i motivi che l’hanno spinta ad affrontare una gravidanza e un parto per altri e quindi senza la prospettiva della maternità; il canto così toccante e doloroso di chi dopo la transizione sta ancora cercando la parte più intima e vera dell’espressione del sé, la voce. Insieme a tutto questo troviamo anche la città, Bologna. Le sue chiese e gli affreschi raccontano di Vergini madri celesti; le cere anatomiche del museo di Palazzo Poggi testimoniano gli studi sulla maternità e la fisiologia della donna e del feto durante la gestazione; le foto e i video delle manifestazioni femministe ricordano le lotte per i diritti delle donne e la parità; la rievocazione del confronto sull’aborto davanti alle porte del reparto maternità dell’ospedale Sant’Orsola di poche decenni fa tra donne armate di rosario e donne con i cartelli forse fa sorridere, ma parla di un dialogo sempre aperto tra l’anima conservatrice/religiosa della città e il suo spirito laico/progressista. La città (e la sua gente) è chiamata a rielaborare il passato, conoscere il presente e immaginare un futuro, che nella rappresentazione della scena finale di Lingua madre può sembrare favoloso o distopico. Incubo fantascientifico o slancio utopico.
La scenografia dello spettacolo ci riporta fin dall’inizio alla wunderkammer, rimandando all’allestimento de Il sarcofago di Spitzmaus e altri tesori, il progetto espositivo concepito da Wes Anderson e Juman Malouf ospitato in Italia da Fondazione Prada a Milano e organizzata in collaborazione con il Kunsthistorisches Museum di Vienna. Il titolo della mostra rendeva omaggio a una delle opere esposte, il sarcofago di Spitzmaus, una scatola di legno egiziana, sarcofago di un toporagno del IV secolo a.C., e rispondeva al bisogno dei curatori di riflettere sulle motivazioni che guidano l’atto di collezionare e sulle modalità con le quali una raccolta è custodita, presentata e vissuta. In fondo anche lo spettacolo della Arias ha a che fare con tutto questo, in quanto documenta come il tema della maternità sia custodito, presentato e vissuto nella società che cambia.
Ed anche in questo caso il titolo dello spettacolo, Lingua madre, è uno stimolo a riflettere. La struttura e il contenuto dell’opera avrebbero legittimato una scelta simile a quella già fatta dalla Arias per una produzione del Maxim Gorki Theater, Atlas des Kommunismus, vista all’Arena del Sole nel 2018. Lo spirito del collezionista e dell’espositore animano anche in questo caso la poetica creativa della regista argentina e la innervano di una tensione documentarista. Nonostante molti elementi scenografici rimandino al mondo dei libri e la biblioteca dell’Archiginnasio faccia da sfondo a parte del primo capitolo dello spettacolo, la lingua è solo un pretesto. Ci sono le parole (alcune nuove nella forma o rinnovate nel significato come transizionare, portatrice, donatrice), ma la loro sintassi è ancora slabbrata, incerta, da costruire. Perciò Lingua madre è in realtà un Atlas of reproduction, in cui l’atto procreativo viene coraggiosamente sganciato dalla idea di maternità. La Arias mostra, mettendo una dopo l’altra le tessere del suo mosaico, che riproduzione e maternità non sono necessariamente e reciprocamente implicate.
La procreazione, come fatto biologico, ha una sua storia, che non necessariamente coincide con l’esperienza della genitorialità, paternità o maternità, e in un futuro neanche troppo lontano la riproduzione potrebbe anche avvenire in macchine utero esterne al corpo della donna, ci viene detto alla fine dello spettacolo. In questo senso i video che riprendono l’esperienza di gioco dei bambini ci riportano alla verità più profonda della faccenda: comunque e dovunque siano nati, i bambini hanno bisogno di cura.
Essere genitori vuol dire avere cura, anche se questo non sempre allontana dall’orizzonte il profilo della mater dolorosa, che riecheggia nelle note di uno splendido Stabat mater cantato a cappella.
L’operazione artistica della Arias è di grande interesse, in primo luogo poiché costruisce un’ulteriore tappa del suo percorso, sempre in bilico fra realtà e finzione, in cui l’opera d’arte parte da (e in fondo arriva anche ad essere) un esperimento sociale. In secondo luogo Lingua madre ha il valore e l’utilità delle raccolte ragionate di documenti e testimonianze, che aprono alla conoscenza di dimensioni antropologiche e culturali che la micro-comunità riflessiva ha attraversato e proiettano nell’orizzonte delle possibilità sociali nuove ipotesi di futuro. Proprio per questo ne suggeriamo la visione.
ricerche e casting Piersandra Di Matteo, Cosetta Nicolini
collaborazione alle ricerche bibliografiche Marina Mariasch
traduttrice Teresa Vila
direttore tecnico Massimo Gianaroli
direttore tecnico in sede Vincenzo Bonaffini
direttrice di scena Paola Castrignanò
tecnico video Garlos Hamparzoumiàn
elettricista Tiziano Ruggia
fonico Andrea Melega
macchinisti Davide Capponcelli, Alfonso Pintabuono
sarta Elena Dal Pozzo
responsabile del Laboratorio e capo costruttore Gioacchino Gramolini
costruttori Sergio Puzzo, Marco Fieni (costruzioni in ferro), Jurgen Koci, Tiziano Barone, Riccardo Benecchi
scenografe realizzatrici Ludovica Sitti e Sarah Menichini, Benedetta Monetti, Rebecca Zavattoni, Martina Perrone (tirocinante)
assistenti alla produzione Francesco Vaira, Francesca Lombardi (tirocinante)
produzione ERT / Teatro Nazionale
nell’ambito del progetto Atlas of Transitions
riprese per la scenografia Per gentile concessione della Biblioteca dell’Archiginnasio e del Museo Poggi a Bologna
foto di scena e documentazione video Stefano Triggiani
Lingua Madre si è nutrita, nel suo percorso, del patrimonio di storie e vissuti generosamente condivisi da persone che vogliamo ringraziare una ad una:
Babs, Monica Bernardi, Francesca Bono, Caterina Bonori, Daniela Crocetti, Elisa Dal Molin, Francess Frank, Serena Lanza, Mazen Masoud, Marco Montevecchi, Irene Petris, Viviana Sernagiotto, Marcella Terrusi.
Lungo il processo di ricerca che ha preceduto l’inizio delle prove, sono numerose le persone che abbiamo incontrato e che hanno contribuito attraverso racconti, contatti, punti di vista, studi e ricerche. Un sincero ringraziamento a:
Luciana Apicella, Francesca Bambace, Milena Baschieri, Silvia Bertolini, Dott. Augusto Biasini, Alessia Bilato (Ass. Mondodonna Onlus), Anna Braca (Progetto Cicogna), Simona Brighetti, Dott. Patrizio Calderoni, Grazia Carboni, Cinzia Carlini, Fulvia Casagrande (Giuridico Cassero), Barbara Cassioli, Silvia Castaldini, Azzurra Celli, Giulia Del Cherico, Lucia Chinni, Paolo Ciotti (Movimento per la Vita), Valeria Contegno (Ass. Mondodonna onlus), Francesca Decimo, Paola Del Monte (Comunità Papa Giovanni XXIII), Daniele Del Pozzo (Gender Bender), Fatima Edhouabi (Ass. Sopra i Ponti/Marocco), Nsinba Eduardo (Ass. Donne Antico Regno del Congo), Pietro Floridia (Cantieri Meticci), Bruna Gambarelli (Laminarie DOM), Michele Giarratano (Famiglie Arcobaleno), Giada Gottardi (Ass. Mondodonna onlus), Luisa Granzotto (Centro Interculturale Zonarelli), Alessandra Gribaldo, Chiara Labanti (Centro per le famiglie di Bologna), Hường Lê Thị Bích (Ass. Italia Vietnam), Sergio Lo Giudice, Barbara Luccarini, Viola Malandra, Stefania Mangione, Nadia Maranini, Federica Mazzoni, Dott. Corrado Melega, Mauro Meneghelli (Gender Bender), Monica Mongiorgi, Claudia Papaveri, Maia Pedullà, Nadia Peres (Ass. A.PU.BO), Sara Rognoni, Maria Silvia Santi, Rossella Santosuosso, Lauriana Sapienza, Angela Sciavilla, Antonella Selva (Ass. Sopra i Ponti/Marocco), Annalisa Sereni, Giulia Sudano (Ass. Orlando), Dott. Sergio Tirelli, Francesca Tommasini (Progetto Cicogna), Alice Torriani, Jasmine Joelle Tsimi Abega (MigraBO Lgbti), Annaline Viejo Urian (Raggi di Sole Ass.ne Donne Filippine), Cinzia Venturi, Maria Elena Zacchia (SAV onlus)