RENZO FRANCABANDERA | Performer e coreografa genovese, classe 1986, Chiara Ameglio è una delle figure che più ha frequentato i festival estivi sulla giovane danza d’autore. Cofondatrice della compagnia Fattoria Vittadini, dopo il diploma alla Paolo Grassi ha lavorato, tra gli altri, con Ariella Vidach, Virgilio Sieni, Daniel Abreu e presentato suoi lavori in teatri come l’Elfo Puccini di Milano, il CTB, il Teatro della Tosse, e il PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano.
Dal 2018 sviluppa la sua ricerca coreografica multidisciplinare che si articola tra spettacoli e performance, interrogando l’interazione e la prossimità con lo spettatore, insieme all’esplorazione dei luoghi del non visibile e dell’ombra, anche attraverso la pratica della maschera.
Ha creato negli ultimi anni gli spettacoli TRIEB_L’Indagine e Ave Monstrum (all’interno del progetto Indagini sulla mostruosità) e le performance TRIEB_L’estratto e Lingua.

Abbiamo intervistato l’artista.

Chiara, sei una interprete del codice danzato con una formazione molto composita e piena di incontri. A cosa serve davvero studiare nella danza, e come serve studiare?

Il corpo è un contenitore di funzionalità, cassa di risonanza di emozioni e traduttore di pensieri. Studiare danza significa raccogliere tutti gli strumenti possibili per avere coscienza delle le sue molteplici possibilità, dinamiche ed espressive. I concetti che regolano il movimento sono spesso metafora di processi interiori con i quali ci confrontiamo nella vita, come persone. Credo che il più grande insegnamento che la danza contemporanea possa dare è che ogni corpo è unico perché contiene una storia, ti dà l’opportunità di accogliere il limite e “raggirarlo” applicando principi fisici universali e interpretabili, non regole a cui aderire in senso assoluto. Incanalare e reinterpretare, prediligere la scoperta di una personale strada che conduce alla forma e non il contrario, sono queste per me le cose più importanti da imparare. Il come si determina nella scelta di luoghi e persone che educhino al rigore tanto quanto alla libertà.

Lingua – Festival Danza In Rete PH Fabio Mattiolo
Ti alleni tutti i giorni? In che modo? Quando lo fai pensi sempre a una direzione progettuale?
Non mi alleno tutti i giorni in modo metodico. Pensare a un obiettivo a volte è utile, ma non indispensabile. Mi premuro che il mio corpo sia sintonizzato alle cose più semplici: che il mio respiro sia ampio e profondo, i miei pensieri distesi per poter “stare nel corpo”, visualizzare i blocchi e tentare di scioglierli. È sempre un dialogo, aperto e mutevole. Osservare, accogliere, indicare una direzione, sono le parole che mi ripeto nei miei training personali.
Ci racconti le tue ultime creazioni? Con quale spirito sono venute fuori? Da quali motivazioni profonde?
Le mie ultime creazioni sono nate perché mi ponevo delle domande, alle quali si è affiancato un archivio di immagini, azioni, ambienti, sensazioni. Mi guida lo spirito della scoperta, non sapere razionalmente dove andare ma creare spazio vuoto per fare emergere “modalità”. Il mio compito è domandare al corpo, saper cogliere quel che c’è anche se non si vede. La composizione coreografica è un patto che sta tra la scoperta e la ripetibilità. Mi attrae pensare che ci sia un tragico equilibrio tra queste due cose. Poi c’è il pubblico, che è detonatore di imprevisti interni ed esterni. Alla fine si è sempre in tantissimi a fare uno spettacolo. Mi piace mettere in crisi questi elementi, mescolarli tra loro. Con Lingua, che ha debuttato in coproduzione al Festival Danza in Rete di Vicenza, ho voluto creare una performance che ribaltasse i ruoli tra performer e spettatore, una relazione quasi contraria. Non esiste Lingua senza un pubblico che agisce su di me. Con Ave Monstrum, che ha debuttato in coproduzione al Festival MilanOltre, ho portato in scena un assolo con la maschera, uno strumento che spersonalizza il corpo, un medium da cui mi faccio guidare, che restituisce e amplifica nel corpo il concetto di unicità. Essere altro da me mi permette di conquistare stupore e imprevedibilità. L’idea è traghettare lo spettatore in un viaggio tra magia e straordinario, dove il teatro assume il compito di sospendere la realtà e le sue regole. 
TRIEB L’Indagine-Teatro Elfo Puccini PH.Marcella Foccardi

E la prossima come sarà?

È stato un periodo molto esposto. Le creazioni rimaste sospese nei mesi di pandemia hanno incontrato il pubblico nel giro di pochissimo tempo e io mi sento un po’ svuotata. Ma sì, ho nuovi progetti in cantiere. Sento che la mia ricerca con la maschera non è ancora esaurita così come al tema della mostruosità che porto avanti dal 2018 manca un tassello.

Caligola di Camus “in danza” è l’avventura più prossima: immagino uno spettacolo in cui sperimentare in modo personale il binomio danza-narrazione, che si apre ai temi di antieroe, nemico, crudeltà e libertà, anarchia e potere, indagando i limiti che ossessionano l’animo umano. Come questo si deposita nei corpi?


Che vita c’è oltre la danza? Di cosa altro si compone il tuo vissuto, il tuo sistema di interessi? Hai progetti in piedi con altri artisti?

Vivo tutto in relazione al mio lavoro, anche il tempo libero. Vado moltissimo a teatro e frequento molti artisti, persone che si occupano di “realizzare” da tutti i punti vista. L’arte è un pretesto, è fatta di persone e scambio, non solo di idee. Con Santi Crispo, collaboratore di Lingua, discutiamo ore sul tempo presente e il sistema culturale nel quale operiamo. La parola e la regia mi interessano molto, faccio esperimenti con il gruppo di lavoro La variante umana. Ho il privilegio di fare parte di Fattoria Vittadini, la mia compagnia storica in cui investo molte energie. Leggo troppi saggi, e troppa poca poesia. Mi piacciono le biografie perché mi interessano le storie e le persone. Leggo libri sulle tecniche di meditazione, ma medito troppo poco. Prego moltissimo, qualsiasi cosa voglia dire.
 
Traccie di sè-PAC Padiglione d’arte contemporanea PH Sara Meliti

Cosa sogna la te ambiziosa? Una cosa che vorresti proprio che succedesse nella tua vita, anche se apparentemente impossibile o complicata

La me più ambiziosa vorrebbe avere una sola risposta. Aiuterebbe? Sono sempre più cosciente che in un percorso ogni passo è essenziale per quello successivo, e la direzione viene da sé. Sono abbastanza fatalista e ho troppi sogni per una vita sola. Vorrei recitare in uno spettacolo di prosa e danzare per Enzo Cosimi, il coreografo italiano più attraente di sempre. Vorrei poter fare un mio lavoro con più mezzi, sentire meno precarie le condizioni in cui creare. Vorrei poter incontrare il pubblico molto più spesso e, forse, vorrei anche vincere un premio (del riconoscimento non frega mai a nessuno, ma secondo me è un po’ una bugia…).