RENZO FRANCABANDERA e MICHELA MASTROIANNI | La luce che riempie la bocca dei danzatori è il segno coreografico che appare e scompare dall’inizio alla fine di questa singolare e nuova creazione di Michele di Stefano/Mk, che ha debuttato in prima assoluta al Festival Aperto di Reggio Emilia domenica 17 ottobre prima di arrivare a Torino Danza nelle date del 22 e 23 ottobre.
Si intitola Maqam (parola araba che significa tra le altre cose luogo, posizione, scala). Maquam è anche il nome con cui si è sviluppata l’organizzazione melodica della musica araba tradizionale, una tecnica di improvvisazione largamente praticata in tutto il Medio Oriente e ancora viva in moltissime nazioni.
Di Stefano incontra questa tradizione filtrata da Amir ElSaffar, jazzista quarantenne nato a Chicago da padre iraqeno e madre americana, uno dei protagonisti più promettenti del jazz contemporaneo ma anche profondo conoscitore della tradizione del maqam, di cui oltre che con la voce si fa interprete nella creazione con la tromba, da cui riesce ad ottenere le variazioni microtonali tipiche del genere, e il santur.
La parte musicale dello spettacolo non si ferma tuttavia all’intreccio fra jazz e tradizione, ma arriva fino alla sua scomposizione e ricomposizione digitale melodica e ritmica ad opera di Lorenzo Bianchi-Hoesch.
È un incontro nuovo questo fra i due musicisti? In realtà no, perchè entrambi nel 2016 avevano preso parte alla creazione di Marc Nammour, allora artista in residenza a Royaumont, per un esito musicale che, pur distante da quello che anima le profondità di Maqam, comunque ne fa respirare una intenzione armonica primigenia, se così si può dire.
È possibile, nel video che favoriamo qui di seguito ascoltare, un brano di quell’esperienza (con Rishab Prasanna, flautista bansuri, Lorenzo Bianchi-Hoesch, alla sperimentazione elettronica e in improvvisazione, Jérôme Boivin, contrabbassista, bassista e tastierista, e appunto Amir ElSaffar alla tromba).
Che fa Di Stefano su queste suggestioni mediorientali? Che idea si compie in questo dialogo e incontro? Per quello che allo spettatore appare della drammaturgia non verbale e mettendo insieme i segni scenici, Maqam vuole essere una sorta di racconto del faticoso percorso che porta dalla suggestione creativa primaria all’esito artistico finale, passando per il filtro della drammaturgia anche coreografica che nasce dalla scrittura di scena attraverso l’improvvisazione. Il risultato del processo creativo è il frutto di una sfiancante ed inesausta esperienza di autonarrazione e del suo dono nel percorso di ricerca. Insomma Maqam è un po’ il racconto di come si arriva dall’improvvisazione allo spettacolo. E di questo fa spettacolo, come nella tecnica canora araba.
Nello spazio scenico ci sono i due musicisti in fondo a sinistra che emergono dal buio dopo una epifania iniziale in cui Biagio Caravano travalica l’umano confondendosi con lo sfondo rosso e rivelando al pubblico il suo segreto luminoso, schiudendo le labbra.
Arrivano i musicisti e Amir ElSaffar inizia a cantare e percuotere con le apposite bacchette ricurve di metallo (mezrab), le corde del santur, strumento antichissimo a corde percosse, progenitore del cembalo e del pianoforte.
Dal buio emergono per brevi assoli alcuni dei danzatori cui Di Stefano ha affidato la coreografia e che sono, oltre a Caravano, Andrea Dionisi, Sebastiano Geronimo, Laura Scarpini, Loredana Tarnovschi, Francesca Ugolini.
Il coreografo è evidentemente in un periodo di grazia, con il suo collettivo mk che dopo 20 anni di sperimentazione è considerato uno dei più vivaci ensemble di ricerca della scena europea.
Notevoli sono i segni artistici cui ha dato vita nell’ultimo biennio con Bermudas (Premio Danza&Danza 2017-18 come miglior produzione italiana e Premio UBU 2019 – ne abbiamo parlato qui) sistema coreografico per un numero variabile e intercambiabile di performer ad interpretare l’idea del moto perpetuo governato da un ordine organico; poi la geniale creazione EDEN, commissionata da Bolzano Danza con coreografie di Carolyn Carlson, Michele Di Stefano e Rachid Ouramdane per uno spettatore solo (ne abbiamo parlato qui) e di cui Reggio Emilia ospiterà a novembre un sequel, Eden # uno stato eternamente nascente coreografia site specific intorno all’opera scultorea di Eva Jospin Côté cour / côté jardin, realizzata dall’artista francese per la Sala Ottagonale del Teatro Municipale Valli. Ma Di Stefano ha firmato coreografie anche per altre compagnie: ricordiamo Upper East Side per Aterballetto, Line Rangers per la Korean National Contemporary Dance Company di Seoul (autunno 2014, stesso anno in cui è stato premiato con il Leone d’Argento per l’innovazione nella danza alla IX Biennale Danza) e Bayadere-Il regno delle ombre per Nuovo Balletto di Toscana.
Maqam nasce anche e forse soprattutto dal dialogo fra il coreografo e Lorenzo Bianchi Hoesch (Milano, 1973) un compositore e sound artist che per Mk compone le musiche dal 2006, oltre che collaborare con altri grandi coreografi come Richard Siegal. I suoi interessi nel campo della musica vanno dall’elettronica pura alle composizioni per il teatro e la danza, dalle colonne sonore per immagini alle installazioni interattive. In questo spettacolo l’artista digitale lavora proprio a raccogliere segni sonori fra quelli prodotti dal musicista che invece opera dal vivo, e ad arrivare poi a improvvisare una creazione sonora autonoma, figlia della prima ma diversa e contemporanea, che trasporta il Maqam di derivazione secolare fino ad adagiarlo sui ritmi drum’n’bass. Una sfida magica che ha un fulmine preciso verso la fine dello spettacolo con un assolo digitale mozzafiato, e che rappresenta uno dei momenti senza dubbio più alti e intensi della creazione. L’amplificazione che sfuma di un respiro, un brandello di una frase musicale, la sua eco che si intreccia a un riverbero di tromba. E il tema dell’intreccio, improvvisato ma non casuale, anima anche le coreografie di gruppo di Di Stefano, dove laocoontiche si muovono le sue figure, a creare composizioni in continuo flusso e riflusso l’una dentro l’altra. Ci si fissano nella mente fotogrammi, istantanee di danzatori che a tratti sembrano avere non solo il compito di agire lo spazio ma anche di raccontarsi quasi come personaggi: il giovanetto indolente e fuori contesto, il maturo esperto che avvinghia le giovani in un tango che sparisce nell’istante stesso in cui appare, la sperduta, la determinata. E così via. Appaiono e scompaiono appena ci si rivelano. Come le frasi sonore di Bianchi Hoesch, in un dialogo connettivo che abbraccia davvero suono – gesto – spazio.
Serve molta esperienza, grande padronanza del gesto, conoscenza rigorosa e completa della tradizione e delle tecniche, per conferire all’improvvisazione l’incanto della maestria. Affascina la sapienza con cui il rimando alla dimensione popolare dell’arte si fonde con la ricerca espressiva ed estetica più contemporanea. E questo avviene non solo nel dialogo fecondo tra i musicisti, ma anche nella relazione tra i danzatori quando si abbandonano alla danza in tondo, con le sue infinite possibilità di variazioni e rotazioni e cambi di equilibri, interrompendo le lunghe sequenze di assoli virtuosistici e di scene in cui essi restano un insieme di individualità confliggenti. Il gruppo sembra cementarsi nell’esperienza del ballo che ritorna alla sua morfologia essenziale, di azione congiunta, ritmica, di movimenti coordinati.
Se questa armonia ci appaga, poiché la nostra mente può prevedere il movimento che seguirà ad un altro, ad incatenare la nostra attenzione è piuttosto la sequenza in cui il gruppo danza deviazioni dalla sincronia reciproca, con continui aggiustamenti e discrepanze, che impediscono anche il progetto di un obiettivo comune.
Si intuiscono abbozzi di intenzionalità coreografica che si dissolvono in altri tentativi di avvio e in nuovi fallimenti nel trovare la sintonia.
Il segreto luminoso che brilla tra i denti dei danzatori ci sussurra speranze e inquietudini sulla bellezza che custodiamo, sulla scintilla e sul fuoco di cui ciascuno è portatore.
MAQAM
di Michele Di Stefano e Lorenzo Bianchi Hoesch
con Biagio Caravano, Andrea Dionisi, Sebastiano Geronimo, Laura Scarpini, Loredana Tarnovschi, Francesca Ugolini
composizione e musica elettronica Lorenzo Bianchi Hoesch
canto, tromba e santur Amir ElSaffar
coreografia Michele Di Stefano
luce Giulia Broggi
management Carlotta Garlanda
distribuzione Jean François Mathieu
produzione mk/KLm 21-22
coprodotto nell’ambito del progetto RING da Festival Aperto – Fondazione I Teatri Reggio Emilia, Bolzano Danza – Fondazione Haydn, FOG Triennale Milano Performing Arts, Torinodanza Festival / Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale Festival Torinodanza Teatro Stabile di Torino, Fondazione I teatri di Reggio Emilia, Triennale di Milano, Bolzano Danza
partner associato Lavanderia a Vapore – Fondazione Piemonte dal Vivo
in collaborazione con Teatro di Roma – Teatro Nazionale
con il sostegno del MIC