LEONARDO DELFANTI | Un celebre giornalista sale in scena, presenta il suo reportage con foto e video frutto di giornate di lavoro. Una volta finito, un altro dei dodici reporter di Live Magazine esporrà il suo lavoro a una platea impaziente di conoscere storie incredibili.
Per questo si paga il biglietto.
Nell’idea di giornale vivente, format diventato celebre nel cartellone di Bozar, la sede delle Belle Arti di Bruxelles, da pezzo di giornale a pezzo di teatro il passo è più breve di quanto si pensi.
I live magazine sono assai diffusi nei paesi francofoni e, siccome quello che abbiamo visto la settimana scorsa è protetto dai diritti di pubblicazione, abbiamo deciso di analizzare un format che nella sua semplicità potrebbe essere una chiave al problema del giornalismo oggi.
Il fenomeno è noto in America come Pop-Up Magazine: un giornale che “appare e scompare” nel giro di una notte. In Francia sono ormai cinque anni che i Live Magazine riscuoto un enorme successo di pubblico e c’è chi, come Caterine Adams, parla di news on stage come la via da percorrere per superare la crisi del giornalismo all’annuale conferenza per il futuro del giornalismo di Cardiff.
L’idea è semplice: si va a teatro a vedere “un giornale che vive”, senza conoscerne i contenuti in anticipo. Attori non ce ne sono, un copione men che meno: solamente i giornalisti e le loro storie.
Per tutta la serata il pubblico è dunque invitato a seguire lo svolgersi degli articoli che vanno dall’attualità, al cinema, al pezzo d’opinione senza ovviamente dimenticare la cultura. La redazione, anch’essa a sorpresa, è composta da giornalisti di punta che si danno il cambio di spettacolo in spettacolo a seconda del materiale da loro prodotto. È dunque la stessa esperienza che si ha quando si legge un magazine, solo che ciò avviene in scena.
Eppure, pochi sanno che il giornale vivente non è affatto un fenomeno recente. È negli anni Venti che, tra Italia e Russia, si cominciano a sperimentare nuove forme di narrazione slegate dal cosiddetto teatro borghese di fine Ottocento. Il primo è Marinetti, giornalista di lungo corso, che nel Manifesto del teatro sintetico annuncia l’avvento di un nuovo genere «dinamico, simultaneo cioè nato all’improvvisazione, dalla fulminea intuizione, dall’attualità suggestionante e rivelatrice». Negando dunque l’importanza del “lavoro a tavolino” i futuristi spingevano per un teatro verista, più vicino all’attualità e, di conseguenza, legato al momento storico condiviso da pubblico e attori.
La potenziale apertura a quella che Habermas teorizzerà come la sfera pubblica, il luogo deputato all’incontro e al dibattito dei temi comuni della società, non è sfuggita agli intellettuali del primo Novecento.
In Russia, per esempio, Eisenstein e Majakovskij non esitarono a richiamarsi espressamente a Marinetti mentre creavano opere che, nelle parole di Robert Leach autore di Teatro rivoluzionario, potessero «rendere le notizie più accessibili tramite la loro drammatizzazione». È il periodo d’oro dell’agitprop, il teatro impegnato e propagandista che mette la massa e la sua educazione al centro della scena.
Non è un caso che la principale compagnia dedita al giornale vivente, la Blue Blouse, avesse base all’istituto di giornalismo di Mosca. Così come è facile comprendere come il clima di sperimentazione sia stato favorito e accettato fino all’arrivo di Stalin, che ne impose la chiusura nel 1928.
Ulteriore prova delle potenzialità politiche del leaving newspaer è la sua diffusione. In Cina lo huobaoju, traslazione letterale dal russo zhivaya gazeta, ossia giornale vivente, fu strumento assai utilizzato dal partito comunista cinese per celebrare le proprie gesta di resistenza così come l’innovazione sociale. A Vienna, Jacob Levy Moreno, inventore dello psicodramma, colse le potenzialità terapeutiche del mettere il trauma subito della società in scena e fondò il Teatro della spontaneità. Durante un’intervista rilasciata a John Casson, studioso di punta dello psicodramma, la moglie di Moreno dichiarò che agli attori era espressamente richiesto di diventare giornalisti «erano mandati per le vie di Vienna a recuperare informazioni sugli incidenti avvenuti, così come era loro richiesto di andare sul luogo delle catastrofi nazionali e internazionali».
Nonostante il forte legame con il mondo dell’informazione il giornale vivente è stata per tutto il Novecento una forma teatrale raramente coltivata dai giornalisti in prima persona. Solo negli ultimi vent’anni il living newspaper ha cominciato a interessare i professionisti del mondo della comunicazione.
Indagando sulle ragioni di questo mutamento Caterine Adams ha messo in luce come il fenomeno coincida principalmente con l’avvento di Internet. È infatti noto che il giornalismo attraversa un periodo di crisi strutturale: se da una parte le notizie arrivano potenzialmente a tutti in pochissimo tempo, raramente il pubblico percepisce l’informazione come un bene vitale per una democrazia sana o un prodotto portatore di un valore economico frutto di professionalità. Mai come oggi il giornalista soffre dello stigma di “pennivendolo” usando un’espressione di Oriana Fallaci.
Fu il celeberrimo giornalista americano Joseph Pulitzer a dire che «una stampa cinica e mercenaria, prima o poi, creerà un pubblico ignobile». Eppure, i dati fino ad ora raccolti dimostrano che il pubblico che va a vedere il giornale vivente non solo dimostra partecipazione attiva durante e dopo lo spettacolo, ma tende anche ad impegnarsi economicamente nel supportare gli editori presenti in scena.
lo dimostra l’enorme successo che il Financial Times week festival ha raggiunto negli ultimi anni, suggellato dal premio come best use of an event to build a news brand.
È dunque in quest’ottica di riappropriazione del pubblico che un’esperienza come quella del giornale vivente è stata reinserita prima nel discorso democratico francese, americano e ora anche in Italia.
Certo, non mancano dubbi sulla legittimità dell’operazione: i giornalisti che vanno in scena non sono assolutamente formati come attori e ciò che rende l’incontro uno spettacolo è la sua irripetibilità. Se dunque gli attori non sono più chiamati a giocare un ruolo nel format odierno del giornale vivente, il teatro come edificio deputato alla promozione di idee ha molto da guadagnare.
LIVE MAGAZINE: FALL EDITION
Co-production Bozar, Live Magazine
Partners ENGIE
Bozar, Bruxelles
26 ottobre 2021