RENZO FRANCABANDERA | Compagnia fondata da Karim Galici nel 2002 come iniziativa culturale dell’Università degli Studi di Roma Tre, Impatto Teatro, sin dall’inizio, realizza spettacoli in cui vengono annullate le divisioni tra palco e platea, tra attori e spettatori, che si mescolano per arrivare a creazioni collettive in cui si è tutti partecipanti. Come in un rituale, una festa o un gioco.
A distanza di quasi vent’anni, pur essendo cambiati diversi componenti – e avendo spostato la sede da Roma a Cagliari – Impatto Teatro continua la sua ricerca, approfondendo il lavoro con lo spettatore attraverso i cinque sensi. Negli ultimi anni, Impatto Teatro ha collaborato con le più importanti istituzioni culturali a livello regionale e nazionale in spettacoli multidisciplinari site specific, che hanno coinvolto artisti internazionali e abitanti delle comunità ospitanti. Inoltre, sempre con le stesse metodologie di lavoro, il regista e performer dirige progetti artistici di inclusione sociale: abbiamo dunque incontrato Karim Galici, che sarà a breve impegnato nell’avvio di nuovi progetti.
Dopo la performance site specific a Sa Manifattura Cagliari, uno spettacolo a Corviale a Roma a settembre e ora nuove geografie all’orizzonte. Da dove nasce questa attenzione per gli spazi e la riqualificazione? Quali storie vivono dentro questi luoghi?
L’attenzione per gli spazi non convenzionali nasce dall’esigenza di uscire dai luoghi tradizionali con palco e platea, fuori da quelle scatole di cemento con l’insegna “Teatro”. Poi gli spazi delle città hanno iniziato a parlarmi attraverso le voci dei loro abitanti, le mura, gli odori e i sapori, conquistandomi con storie uniche che non aspettavano altro che essere raccontate. I lavori che ne sono derivati hanno spesso valorizzato i luoghi (a volte emarginati, poco conosciuti o dimenticati). Sarebbe, però, troppo semplice e azzardato pensare che il teatro – o in generale l’arte – possa creare un processo di riqualificazione urbana, che passa anche e soprattutto tramite interventi di recupero a livello di infrastrutture e servizi.
Gli eventi site specific che ho realizzato recentemente, come lo spettacolo Cosa rimane? all’ex Manifattura Tabacchi di Cagliari e la performance L’autarchica al Corviale Urban Lab di Roma, dimostrano che i luoghi hanno bisogno innanzitutto di essere vissuti. Sembra una banalità, ma il rischio delle cattedrali nel deserto è sempre dietro l’angolo.
La Manifattura, in nome della futura fabbrica della creatività, era stata sventrata di tutta la sua memoria con un restauro che ha tenuto in piedi solo le sue mura, mentre le storie di chi lì dentro ha lavorato per oltre un secolo devono essere lo stimolo per chi ci creerà cultura d’ora in avanti.
Corviale è un sogno incompiuto, un progetto che sembrava utopistico e che invece sta decollando anche grazie alle tante iniziative di questi anni. Un quartiere che con tutti i servizi di base – dall’asilo sino ai teatri – doveva essere autosufficiente o addirittura autarchico (per usare un termine caro allo spettacolo che abbiamo portato lì da poco) e invece si era trasformato in un ghetto dove, nella migliore delle ipotesi, era possibile solo dormire.
Le ultime creazioni del tuo progetto culturale, mettono comunque al centro la pratica dell’incontro con il pubblico in una dimensione non separata. Anche questa forse discende dalla tua formazione con Vargas, forse?
Il mio pubblico non è mai stato separato dalla messa in scena già prima dell’incontro con Vargas. Nel vedere gli spettacoli del Teatro de los Sentidos ho solo avuto la conferma che la strada fosse giusta. La mia formazione, oltre agli anni “accademici”, come nel caso della Laurea in DAMS, si è sviluppata attraverso tante esperienze in compagnie teatrali. Alcune di calibro internazionale come negli anni in cui sono stato vicino al The Living Theatre, e altre con gruppi giovani in cui sperimentare nuove forme teatrali; ma sempre dentro la poetica del coinvolgimento degli spettatori.
Dagli incontri con il Los Sentidos a oggi, la società si è digitalizzata, e avete pensato anche a lavori a interazione digitale e audiopercorsi come quello importante a Cagliari di qualche anno fa? Quali esigenze tecniche ha quel tipo di percorsi? Perché non restano strutturali sul territorio o non vengono riproposti?
Sicuramente negli ultimi vent’anni la società è cambiata e di conseguenza anche il modo di fare teatro, soprattutto in relazione alle nuove tecnologie, ma in realtà non ho mai avvertito la problematica perché la multimedialità ha sempre fatto parte della mia poetica. Lo spettacolo in cui c’erano degli audio percorsi, Vita nella città – Cagliari aperta al mondo è stato un esperimento assoluto che poi ho visto ripreso, quantomeno nelle modalità, in tanti altri progetti e in diverse città. Abbiamo lavorato con le cuffie da silent disco e dei musicisti dj mandavano tracce vocali e musicali in diretta seguendo i percorsi e le scene che accadevano. Le cuffie erano le principali esigenze tecniche, ma anche uno strumento totalmente inserito nella drammaturgia. Per ragioni di costo è però rimasto un evento unico.
Sarai uno dei referenti per l’Italia di un progetto europeo che ha un po’ il sapore del Fringe ma forse ha anche qualche specifica peculiare. Ce ne vuoi parlare?
Il progetto si chiama MarteLive Europe ed è l’evoluzione di un festival multidisciplinare che nasce a Roma nel 2001 e si è sviluppato prima come contest per giovani talenti in tutta Italia e poi in Europa. Si rivolge ad artisti under 35 con 16 discipline in concorso. Dalle classiche sette arti sino a quelle più contemporanee. La particolarità del format è che tutti i finalisti si esibiranno nella stessa notte e nella stessa location. Questo inevitabilmente aiuterà le diverse discipline ad ibridarsi tra loro e consentirà al pubblico di partecipare a una grande festa artistica. La finale europea sarà a Roma ad ottobre 2022 e sono previsti 400 giovani artisti provenienti da tutto il continente.
Che idea hai tu circa il riuscire a fare spettacolo nel nostro tempo? Dove sta il confine di sostenibilità nella pratica della scena oggi per una compagnia indipendente? Sono davvero importanti gli spazi di residenza che erano stati il mito degli ultimi 20 anni o si va verso pratiche immateriali e non geolocalizzate?
Fare spettacolo nel nostro tempo per una compagnia indipendente è difficilissimo dal punto di vista economico. L’unico appiglio sembra riuscire ad accedere ai finanziamenti pubblici o vincere bandi specifici come possono essere alcuni delle fondazioni bancarie, ma questo vuole anche dire scontrarsi con burocrazia e rendicontazioni che spostano il problema sul fronte organizzativo. Non è semplice avere un team strutturato con tutti i ruoli coperti nelle diverse aree e spesso il carico della macchina amministrativa pesa su chi si dovrebbe occupare di aspetti puramente creativi. Le residenze in tal senso possono essere davvero importanti. Gli artisti dovrebbero avere tutto il sostegno per poter creare in spazi liberi e protetti. Inoltre, adesso, in quella che dovrebbe essere la rinascita post covid, assumono ancora più rilevanza nello scambio umano che si può (per me, si deve) generare tra la compagnia e la comunità ospitante.
Il luogo teatro resisterà? Esisterà?
Dipende da cosa intendiamo per ‘luogo teatro’. Sicuramente cambierà. Il processo in atto è già di trasformazione in spazi multidisciplinari in cui la programmazione puramente teatrale potrebbe assottigliarsi sempre più. Per il resto, quasi due anni di assenza dalle sale credo che ci abbiano anche fatto capire che in fondo non sia neanche così necessario. Siamo sopravvissuti lo stesso e il fatto che tanti teatranti incalliti si siano dovuti reinventare anche con forme nuove mi sembra positivo. In conclusione, direi che i teatri resisteranno per sempre, come resistono i musei.
Quali progetti futuri hai e cosa vedi all’orizzonte?
Dal 21 al 24 novembre sarò in residenza a Viterbo per il progetto Art in Progress con l’intento di raccontare il palazzo Doria Pamphilj e il territorio di San Martino al Cimino. Un lavoro di creazione multidisciplinare con un’interazione – nelle diverse sale – tra teatro, danza, musica, circo, pittura e video da mostrare poi al pubblico, che visiterà il palazzo scoprendo gli interventi d’arte.
Il 19 dicembre a Cagliari ci sarà la première del mio nuovo documentario La vita sopra ogni cosa. Storia di un Padre Ortodosso in Sardegna e sarà una serata evento in cui verrà proiettato anche il docu-film Dall’Est con amore che ho girato nel 2020, con il coinvolgimento di tutta la comunità russofona.
Pensando invece al 2022: vedrà finalmente la luce un percorso teatrale attraverso la realtà aumentata per Sa Manifattura, su cui con Impatto Teatro e Sardegna Ricerche stiamo lavorando da quasi tre anni; sto scrivendo un nuovo spettacolo sull’emarginazione che parte dal lavoro già avviato con L’autarchica per approfondire i margini della società e inoltre sto lavorando su un progetto di sensibilizzazione verso le disabilità.
L’anno prossimo ci sono anche da festeggiare i vent’anni di Impatto Teatro. Sarebbe bello rivisitare un grande classico trasformandolo con la nostra poetica, come accadde per l’Amleto nella prima produzione.
Tante possibilità in un percorso molto difficile, ma con la meraviglia di poterlo percorrere.