ELENA SCOLARI | I Motus hanno ormai trent’anni, eppure quando li si nomina si ha ancora l’impressione di parlare di enfants prodiges, di giovani un po’ maledetti e ribelli. Questo succede quando la prima impressione rimane la più forte e identificativa della cifra artistica di un gruppo, che, nel caso dei Motus, si è fatto conoscere per spettacoli e performance dal carattere aggressivo, sfacciato, scomodo. Enrico Casagrande e Daniela Nicolò hanno fondato la compagnia a Rimini, in Romagna, una terra morbida e accogliente, anche nella parlata soffice dalle vocali allungate e distese come sulla tiepida sabbia delle coste adriatiche; la stessa terra è però spesso origine di personaggi che amano le sfide: dagli spericolati motociclisti ai rocker italiani più significativi fino, appunto, ad alcune delle realtà teatrali più originali e coraggiose degli ultimi decenni.
I Motus hanno affrontato, nella loro ricchissima teatrografia, alcuni autori difficili e certo non accomodanti: Pasolini, Genet, Camus, Ballard, Fassbinder… Avevano già incontrato alcune figure classiche con Cassandra. Interrogazioni sulla necessità dello sguardo (1993), ispirato a Cassandra di Christa Wolf, con ben quattro lavori su Antigone, i tre contest #1 #2 #3 (2008/09) più Di quelle vaghe ombre_ prime indagini sulla ribellione di Antigone e con Alexis (2010).
Con Tutto bruciatornano a visitare la mitologia confrontandosi con alcuni archetipici personaggi femminili: ancora Cassandra, Ecuba, Elena di Troia, Andromaca, Polissena (figlia di Priamo ed Ecuba). Tutto brucia è una riscrittura delle Troiane di Euripide che passa attraverso le parole di Jean Paul Sartre, Judith Butler, Ernesto De Martino, Edoardo Viveiros de Castro, NoViolet Bulawayo, Donna Haraway. In questa ridda di riferimenti coltissimi ci sono antropologi, filosofe, scrittrici; una base teorica complessa e molto dotta, tradotta in uno spettacolo volutamente non più dirompente, ricco di immagini poetiche ed esteticamente curate in ogni gesto, che soffre un po’ l’affastellarsi dimostrativo dei suddetti rimandi letterari e accademici.
Silvia Calderoni e Stefania Tansini (entrambe mirabili per varietà, fluidità, precisione e fantasia dei movimenti) sono in scena con R.Y.F. (Francesca Morello) che, vestita di pelle nera, canta e suona i suoi brani con la chitarra elettrica in piedi sul lato destro del palco. Ci si aspetta che abbia un chopper parcheggiato fuori dalla Triennale ma la sua voce è vellutata e la presenza indispensabile e discreta delle sue note dona a tutto un’atmosfera più viva; è come una guida che osserva, un cantore che inscrive flautato le azioni delle due performer in un’atmosfera dimensionale distante.
C’è molta terra, sul paco di Tutto brucia, è la terra che ha sepolto tanti guerrieri, è la terra che non è mai stata deposta sopra tanti morti ad acquietarli, è la terra delle molte terre attraversate da persone spinte dal bisogno e da un anelito invincibile verso la vita. È terra che diventa cenere, ultimo rimasuglio di intere civiltà, traccia impalpabile e grigia del grande fuoco che ha arso Troia, bruciata dopo l’assedio, e lo “stato d’assedio” è quello di altre Troia dei giorni nostri, dalle quali si fugge, come e quando si può.
Terra come elemento primordiale, una materia che accomuna tutti perché tutti ci camminiamo sopra, chi con passo sicuro chi trascinando i piedi dopo una fatica.
Calderoni è ora madre, ora sorella, ora forza prima, ora magneticamente attirata da Tansini, espressione di gioventù spregiudicata e in cui la carica vitale è continuamente minacciata dai fantasmi dei dolori millenari passati da altre donne e altri uomini, che si riverberano nei lutti di oggi.
La cupezza generale di Tutto brucia è illuminata da barre al neon – usate come torce infuocate o come lance, come bastoni o come spade – e mitigata dalla freschezza dei corpi delle due attrici/danzatrici, tesi, magri e ingentiliti da gonne scozzesi, maglioni azzurro polvere o camicette “perbene”.
Nonostante le dichiarazioni su carta “il furore” non è più quello di una volta, ma non è affatto un male né una diminutio: lo strazio per le perdite e il vuoto sono più feroci se non sono gridati; non c’è bisogno di presentazioni armate di “straordinaria potenza”: i visi sofferenti, i gesti spauriti, la penombra cinerina che avvolge la scena bastano a richiamare tutto ciò che stiamo mandando in fumo, oggi.
Anzi: il fatto che non ci siano lezioni esplicite sul clima, sui migranti, sulle troppe guerre in corso senza che noi manco si sappia dove, sulla vulnerabilità umana che il Covid ha reso evidente (punti purtroppo invece elencati nel foglio di sala), è una nota di merito che aumenta il senso universale e slegato dalla contingenza di uno spettacolo non più protestatario e incendiario, forse dilatato nei tempi, ma elegante e adulto.
TUTTO BRUCIA
ideazione e regia Daniela Nicolò e Enrico Casagrande con Silvia Calderoni, Stefania Tansini e R.Y.F. (Francesca Morello) alle canzoni e musiche live
testi delle lyrics Ilenia Caleo e R.Y.F. (Francesca Morello)
ricerca drammaturgica Ilenia Caleo
cura dei testi e sottotitoli Daniela Nicolò
traduzioni Marta Lovato
direzione tecnica e luci Simona Gallo
ambienti sonori Demetrio Cecchitelli
design del suono live Enrico Casagrande
fonica Martina Ciavatta
assistenza tecnica Francesco Zanuccoli
props e sculture sceniche _vvxxii
video e grafica Vladimir Bertozzi
produzione Elisa Bartolucci con Francesca Raimondi
organizzazione e logistica Shaila Chenet
produzione Motus e Teatro di Roma – Teatro Nazionale con Kunstencentrum Vooruit vzw (BE)
Progetto di residenza condiviso da L’arboreto – Teatro Dimora | La Corte Ospitale ::: Centro di Residenza Emilia-Romagna e Santarcangelo dei Teatri
In collaborazione con AMAT e Comune di Fabriano nell’ambito di “MarcheinVita. Lo spettacolo dal vivo per la rinascita dal sisma”, progetto di Mibact e Regione Marche
Con il sostegno di MiC, Regione Emilia-Romagna.
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