DANIELA FRANCO | Colpi di martello incalzano nel buio silente della sala, poi un taglio di luce fredda palesa la scena e lumeggia un uomo seduto alla sua scrivania, alla sinistra del proscenio: siamo nella Napoli del secondo dopoguerra e quell’uomo è il maestoso Eduardo De Filippo.
Scritto e interpretato dal premio Ubu 2019 Lino Musella,Tavola tavola, chiodo chiodo… è lo spettacolo che restituisce un affresco inedito della vita del drammaturgo partenopeo, con avvolgenti scorci sul suo impegno sociale e politico. «Se un’idea non ha significato e utilità sociale non m’interessa lavorarci sopra. Voglio dire che tutto ha inizio, sempre, da uno stimolo emotivo».

Il  racconto è il frutto di un capillare lavoro di ricerca realizzato attingendo a fonti come  articoli, carteggi, appunti e soprattutto alla sua fitta corrispondenza, che svela retroscena e aneddoti della vita dell’artista, minata da innumerevoli difficoltà che trovarono terreno soprattutto nelle battaglie combattute per il San Ferdinando, il teatro napoletano ridotto in macerie da un bombardamento nel ’43 e in seguito acquistato dallo stesso Eduardo, che lo fece ricostruire con i risparmi di una vita, per donare un teatro accessibile al popolo partenopeo.
Rappresentato sul palco attraverso una ricostruzione in miniatura messa su una tavola di legno, sospesa al centro della scena, il San Ferdinando diventa grande protagonista delle sequenze narrative che ripercorrono i momenti salienti della direzione di De Filippo, come  l’inaugurazione snobbata dalle autorità e le lettere inviate al Banco di Napoli che rivelano le grandi difficoltà economiche in cui versava il drammaturgo per la copertura delle spese di manutenzione del teatro e la mancanza di sovvenzioni da parte dello Stato.

«Io ho dovuto pagare un prezzo molto alto durante la mia vita, ho dovuto pagare sempre, sempre. E a furia di pagare, certe cose, oggi non mi riescono più. Per esempio non mi riesce più di avere molta fiducia nella gente, non mi riesce di farmi degli amici veri, talvolta non mi riesce neppure di credere negli affetti. Io non sono una vittima, beninteso: anzi, mi sono sempre difeso bene. Ma l’unica cosa in cui credo davvero, oggi, e in cui sono riuscito a essere forte, sempre, è il mio lavoro d’attore e di commediografo».

Ci sono le parole accorate delle lettere ai familiari durante i periodi di lontananza, i ricordi  del Berretto a sonagli di Pirandello e le poesie, che si vestono di luce con l’espediente scenico di un riflettore nel cappello diretto verso il volto dell’attore. E poi la perla dei preziosi consigli a Vittorio, come quello che racchiude l’essenza del suo fare teatro, che si affacciava a finestre spalancate sul mondo, per scrutare a fondo la realtà e farla vivere sul palco.
«Devi osservare la vita. Cerca la vita e troverai la forma, cerca la forma e troverai la morte». 

Accompagnato dalle musiche originali del chitarrista Marco Vidino, Musella racconta  Eduardo attraverso una performance suggestiva e arguta, dove la parola e l’azione si abbracciano continuamente per elargire una crasi di particolare efficacia; la costante attività durante la recitazione lo condurrà alla realizzazione di importanti elementi scenici, intrisi di significati simbolici, come i paletti di acciaio montati dall’attore in proscenio, che diventeranno prima candelabri accesi poi la ringhiera di un balcone, per omaggiare il celebre monologo di Questi fantasmi, e infine saranno le sbarre di una cella, metafora  dell’impegno sociale di Eduardo, che dedicò le sue energie fino all’ultimo per il recupero dei  giovani detenuti del carcere Filangeri, che lo chiamavano zio. 

Nell’ultimo frammento del racconto c’è la lettera che Eduardo scrisse al Ministro della Cultura sulla situazione del Teatro in Italia: l’interprete ne divide la lettura in due momenti, distinti solo dalla sua posizione alla scrivania; pur essendo un tassello decisivo della narrazione, sarebbe stato più godibile se asciugato nella sua copiosità. Sul finale della lettera, le parole dolenti si infiammano e affrontano nodi così attuali che sembrano essere urlate oggi; ci sono le accuse all’insufficienza dei fondi, agli imbrogli e alla condizione paradossale in cui è tenuto in Italia l’autore drammatico.

«Che cosa è stato fatto per aiutare il teatro a vivere? In tutta coscienza non solo si deve rispondere che non è stato fatto nulla, ma bisogna affrettarsi ad aggiungere che è stato fatto tutto il possibile e persino l’impossibile per aiutarlo a morire

Il titolo, Tavola tavola, chiodo chiodo…, riporta le ultime parole della toccante dedica che Eduardo scrisse in onore di Peppino Mercurio, suo storico collaboratore, che lavorò senza sosta per costruire il palcoscenico del San Ferdinando. Parole che diventano eco di un pezzo di Eduardo messo in luce da questa viva e coinvolgente pièce, che ha restituito con lucidità e senza pretese didascaliche alcune tracce della vita de O’ Direttore, un uomo che non hai mai smesso di essere instancabile lavoratore, visionario e artigiano del teatro di impasto realista ma senza esagerare però, perché «il teatro non deve essere verità ma verosimile, perché la verità nuda e cruda è noiosa»


TAVOLA TAVOLA, CHIODO CHIODO…

un progetto di Lino Musella e Tommaso De Filippo
tratto da appunti, articoli, corrispondenze e carteggi di Eduardo De Filippo
uno spettacolo di e con Lino Musella
musiche dal vivo Marco Vidino
scene Paola Castrignanò
disegno luci Pietro Sperduti
suono Marco D’Ambrosio
ricerca storica Maria Procino
collaborazione alla drammaturgia Antonio Piccolo
assistente alla regia Melissa Di Genova
costumi Sara Marino
fotografie Mario Spada
produzione Elledieffe, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale

Piccolo Teatro Grassi
07 novembre 2021