RENZO FRANCABANDERA | Il tempo della musica e dei gesti è lento. Come quello necessario a una pianta per crescere. Lo spazio scenico è vuoto, oscuro, nebbioso. Da questa nebbia, che il pubblico trova già in sala al suo ingresso, parte Paradiso, coreografia firmata da Virgilio Sieni, che ha fatto tappa a Reggio Emilia per uno degli ultimi eventi della notevole edizione 2021 di Festival Aperto, frutto della illuminata direzione artistica di Paolo Cantù, prima dell’approdo i prossimi 1 e 2 Dicembre in Triennale a Milano.
Lo spettacolo fa parte degli eventi organizzati dal Comitato Nazionale per le celebrazioni dei 700 anni dalla nascita di Dante. Sieni in questa creazione non si rivolge, per l’ispirazione, alla parola dantesca in senso stretto, preferendo arrivare a immaginare uno spazio spirituale.
Da chi o cosa è abitato questo spazio?
Nulla, nell’ora di spettacolo, rimanda ad alcuna componente intelligibile del testo dantesco, o lo traduce in movimento.
Quello che vediamo avanzare dal buio nebbioso è un insieme di piante, un pezzo di giardino.
Più che la Divina Commedia viene in mente il Macbeth nel momento in cui appare, mimetizzata nel fogliame, la presenza umana. Come nel finale della celebre tragedia di Shakespeare le truppe di Malcolm si accampano nella foresta di Birnam, dove si mimetizzano con dei rami tagliati dagli alberi, e poi avanzano, comunicando l’idea della foresta che si muove, così da questo mondo vegetale che si avvicina, pare generarsi l’umano.
L’immaginario coreografico dunque, nel trasfigurare l’idea del Paradiso, non si spinge fino a far danzare simulacri di spiriti, anime, cerchie di luce inarrivabili, ma abbraccia una geografia corporea, fisica, che si relaziona con questo mondo, di cui trova rispondenza nell’idea di un giardino, enfatizzato in universo vegetale, che per un verso ci partorisce e per l’altro, alla fine, ci riaccoglie, e di cui l’essere umano, a fatica, comprende – quando lo comprende –l’inarrivabile e straordinaria potenza.
I cinque danzatori (Jari Boldrini, Nicola Cisternino, Maurizio Giunti, Andrea Palumbo, Giulio Petrucci) quando si liberano da questo groviglio verde, prima uno alla volta, poi in coppie ampliano la loro azione danzata su un palco molto largo, privo di orpelli su una partitura musicale ciclica, in cui una frase musicale semplice, si ripete lenta e incessante.
Quello che unisce la coreografia alla fonte ispiratrice letteraria è la costruzione per endecasillabi di movimenti dove i versi della danza ritrovano il risuonare della rima da una terzina all’altra, invero quasi impercettibile per il pubblico, che invece viene quasi cullato dalla lentezza del gesto e del sonoro, dagli avvicinamenti di corpi e piante, che continuano di tanto in tanto a riapparire.
La loro relazione con l’umano, se in una prima fase è germinale, quasi di creazione, nella seconda diventa di modello cui tendere, quasi a voler dire, Sieni, che le piante hanno una forma di equilibrio superiore, più vicino al divino.
Esemplare un frammento in cui un danzatore avvicina in proscenio una pianta dalle foglie sottili, a ombrello, e inizia a porcisi in relazione, quasi a volerne studiare le meccaniche profonde, l’essenza costitutiva.
Questo Eden di Virgilio Sieni, abitato da piante e umani di genere maschile è dunque dapprima una selva oscura, da cui l’uomo/danzatore emerge con lentezza circospetta, per poi tramutarsi in modello, ideale punto d’arrivo del viaggio di approssimazione alla perfezione.
Sembra quasi che il coreografo torni sulla lezione di Stefano Mancuso, quando ne La Nazione delle Piante, nel definirne la sconfinata estensione, ne menziona, quale postulato fondante, la capacità di favorire il mutuo appoggio fra le comunità naturali, vero e proprio strumento di convivenza.
Così anche in questa coreografia come nel regno vegetale, viene meno la gerarchia tipicamente animale, fondata su centri di comando e funzioni concentrate, mentre si anima una ipnotica democrazia coreografico-vegetale diffusa e decentralizzata.
In Paradiso, riflessione che da coreografica diventa socio-filosofica, il gesto diventa quindi l’elemento con cui si crea relazione fra le forme viventi che popolano la scena, fino al momento in cui, alla fine, i danzatori, nell’involucro sonoro lento e ripetitivo, nella melliflua nebbiolina che li ospita, iniziano a mimare il gesto della crescita plantiforme.
Si trasformano. Si fanno busti, rami.
Tendono verso una geometria essenziale e profonda, da cui gli umani, per distrazione e ignoranza, si sono progressivamente allontanati non solo per costituzione ma anche per struttura sociale, sempre più verticale e sperequata, sempre più divisa e inaccogliente per la diversità. Mentre è in quella immobile perfezione, accogliente, varia e reticolare che si può arrivare a cogliere la meccanica dell’universo e ciò che lo muove. La pianta, per sua natura immobile, diventa quindi mobile in questo Eden. Non motore dell’evoluzione ma stato ultimo del progredire.
È un po’ come ricordare quanto mirabilmente è possibile rintracciare nella lezione pittorica di Mondrian: partire dall’osservazione naturale per arrivare all’astrazione geometrica, alla perfezione della forma. Se dunque esiste una porta di accesso al divino, al perfetto, questa deve per forza essere di clorofilla, vuole dirci Sieni.
PARADISO
regia, coreografia e spazio Virgilio Sieni
musica originale Paolo Damiani
interpreti Jari Boldrini, Nicola Cisternino, Maurizio Giunti, Andrea Palumbo, Giulio Petrucci
costumi Silvia Salvaggio
luci Virgilio Sieni e Marco Cassini
allestimento Daniele Ferro
Produzione Comune di Firenze, Dante 2021 Comitato Nazionale per le celebrazioni dei 700 anni, Campania Teatro Festival
Collaborazione alla produzione Fondazione Teatro Amilcare Ponchielli – Cremona