MATTEO BRIGHENTI | Esplorare il corpo attraverso il corpo. La danza per Testimonianze ricerca azioni di Teatro Akropolis è l’espressione manifesta dell’indagine su una materia in continua metamorfosi. Tornato in presenza a Genova dal 4 al 14 novembre scorsi dopo l’edizione 2020 totalmente online (per cui ha ricevuto il Premio Hystrio 2021 – digital stage), il festival con la direzione artistica di Clemente Tafuri e di David Beronio per questa dodicesima edizione ha inteso scandagliare come non mai gli stati, i momenti di una bellezza in divenire. Quindi, incompiuta, sofferta, profondamente terrena, umana.
Nel tempo effimero della scena, il passato, il presente e il futuro, la generazione dei maestri e quella degli allievi, sono state un tutt’uno, sperimentando equilibri sempre nuovi tra azioni e visioni differenti. Ne siamo stati testimoni nella giornata di sabato 13 a Palazzo Ducale, dedicata al butō e inaugurata dall’incontro Fondazioni e filiazioni. La trasmissione del butō tra le pratiche e gli studi a cura di Samantha Marenzi, e in quella di domenica 14 novembre a Villa Durazzo Bombrini, abitata dal progetto Oscillazioni a cura di Roberta Nicolai, direttrice del festival Teatri di Vetro di Roma.
L’attesa di tre quarti, in punta sulla sedia, le gambe accavallate, lo sguardo che va oltre: prima ancora che nella Sala del Maggior Consiglio inizi Nucleo – Da Francis Bacon, Alessandra Cristiani dà già mostra di sé, delle sue angolature e delle sue spigolature. La condizione è un controllo assoluto. Dalla sedia, infatti, scende come colando via. Sono movimenti infinitesimi che richiedono una qualità di attenzione diversa dal solito perché ci parlino. E lo fanno, eccome se lo fanno.
Con uno scatto fulmineo si stacca da quella forma non forma, da quella sembianza liquida. Tre gradini, poi altri tre. Non c’è in lei simmetria di posture o di atteggiamenti. C’è, piuttosto, una sorta di scomposizione furiosa, animalesca, quasi che abbia più corpi dentro il suo e che voglia stanarli tutti quanti.
Cristiani è piccola, minuta, eppure risuona gigantesca, da pari a pari con la monumentalità del luogo.
Il rapporto con l’architettura, le statue, il marmo, è fisico, urticante. Quel corpo adesso denudato, spoglio, diafano, si fa strumento per entrare dentro le cose. Le sente, le tocca, come fa con una spolverata di Polaroid su un bancale, e le attraversa, alla stregua del vento di tempesta che infuria all’esterno.
La danzatrice si spinge dunque contro la gravità, contro l’alfabeto e la grammatica del gesto, del movimento. Lo scontro con la realtà la ferisce a un ginocchio, ma è proprio da lì che riparte. Quella ferita diventa il suo punto di appoggio: conoscere è rovesciare la sofferenza nello slancio necessario per abbandonare ciò che siamo e incontrare ciò che saremo.
The False David è il ritratto dell’incessante tentativo di affrancarsi, di liberarsi dai giudizi e dalle aspettative degli altri su sé stessi. Ogni cenno di Imre Thormann è il lento contorcersi di un desiderio di rinascita nel dolore, nello stupore e nell’abbandono di una figura insaccata e gravata da un cammino di affanni. Si trascina come un’ombra per la porta d’ingresso della Sala del Minor Consiglio. Dentro il clarinettista Pierre Lassailly lo aspetta composto.
La testa rasata, il corpo bianco, Thormann si spoglia del suo saio – la sua prigione – slegando la corda che lo cinge in vita. È l’inizio e l’estremità dell’esistenza, il suo cordone ombelicale e il suo flagello. Fermo, ripiegato sul posto, sembra ogni volta sul punto di piangere o di urlare. Il volto è una maschera che esprime o, meglio, stilizza un dialogo tutto interiore fra amore e odio, fra attrazione e repulsione dell’ignoto.
L’andare avanti si alterna all’andare indietro. Quel sacco ora informe senza di lui resta comunque il perno attorno a cui ruota la sua realtà. È l’emblema di ciò che non è più e, allo stesso tempo, di ciò che non è ancora. Per questo, comincia a mangiare il filo: per capire dove è arrivato e fino a dove può spingersi ancora.
Tutto, però, in bocca non entra, non ci sta. Il tanto che resta fuori gli si stringe in faccia e intorno al collo alla stregua di un cappio. Così sfigurato, piegato e piagato, si tira dietro il suo fardello. Se lo carica addosso. E se ne va come è arrivato, ma più indifeso. Forse, più solo.
Alle “oscillazioni” del volere e del potere Roberta Nicolai dedica da quattro anni a questa parte una sezione apposita di Teatri di Vetro, confermata dal 2020 anche per Testimonianze ricerca azioni a Villa Durazzo Bombrini.
Si tratta di uno spazio di condivisione tra l’artista e il curatore che permette all’opera di non esaurirsi nella creazione del prodotto finito, ma di oscillare, appunto, tra le zone sommerse del processo creativo. È qui che al pubblico si svela il cuore dell’arte, la sua vitalità minuta, la sua vibrazione sottile.
Non ci sono canoni, modelli, schemi prestabiliti: l’azzardo è la cura della relazione per osservare e interrogare la scena da punti di vista tanto differenti quanto complementari.
In Other Otherness Barbara Carulli danza una richiesta di aiuto e di ascolto, prima di tutto a sé stessa, per la sua fragilità ribelle. È un animale ferito che non si arrende, che cerca un volo anche senza ali, un piacere troppo a lungo negato.
Costruito sullo spazio furente e instabile de La zattera della Medusa di Théodore Géricault, il solo nasce dalla trasmissione via audio da parte di Paola Bianchi delle descrizioni di alcune posture presenti nel suo O_N, parte del progetto ELP | altre memorie, anch’esso in cartellone al Festival.
Perciò, la costruzione del lavoro ha escluso la presenza in sala prove della coreografa come modello da seguire e imitare. L’obiettivo di una simile trasmissione è trovare il modo di essere in scena, più che fare, o peggio rifare. È la stessa Bianchi a rimarcarlo con forza nel notevole film documentario su di lei e con lei appartenente al ciclo La parte maledetta. Viaggio ai confini del teatro diretto da Tafuri e Beronio e prodotto da Teatro Akropolis e AkropolisLibri (gli altri due realizzati finora sono dedicati a Massimiliano Civica e a Carlo Sini).
Una gonna di tulle, due ginocchiere, una striscia di nastro sui capezzoli, Carulli si rivela un taglio di luce gettato su un viaggio distorto, elettrificato. Ci guarda di traverso e poi si ascolta guardarci, mentre risuona l’incombere come di elicottero sulla sua testa e sulle nostre.
Other Otherness è un raccoglimento a scavarsi dentro, un rannicchiamento che cova una rivolta. E quando esplode, niente si salva dal fuoco liberatorio dello scontro.
Diario performativo: pratiche della Trilogia è una finestra aperta sul non detto, sul sommerso dello scavo di Alessandra Cristiani sul tema del corpo della donna in Egon Schiele, quel Corpus delicti presentato a Genova nel 2019, in Francis Bacon, di cui abbiamo parlato sopra, e in August Rodin, in fase di studio. Alla danza, che disarticola il corpo, si accompagna qui l’intervento live di Samantha Marenzi, che ne disarticola a sua volta l’immagine, facendo fotografie con una macchina Polaroid. Il tutto ripreso da un terzo occhio ancora, onnicomprensivo, totale: quello del fotografo Alberto Canu.
La nudità di Cristiani è il corpo-corpo, cioè al quadrato, all’ennesima potenza. È carne viva, presente, pulsante. Il corpo-immagine fissato da Marenzi è la fascinazione di un istante, di una prospettiva, di un’inquadratura: quando scatti, è già finita, è già passata, è diventata altro. La Polaroid è la rappresentazione immediata di un’assenza, sviluppata in una camera oscura portatile.
La vita, l’arte, il ricordo, si toccano, si rispecchiano. Essere e (è) diventare. Lo stesso si prova davanti a Ludi, espressione cinematografica di alcuni passaggi del lavoro di ricerca e composizione di Pragma. Studio su mito di Demetra, l’ultima produzione di Akropolis.
La perdita, lo scarto, in definitiva, sono il passo inevitabile della trasformazione. Senza, non esiste inizio, né futuro possibile, ma solo e soltanto immobilità e declino.
NUCLEO – DA FRANCIS BACON
Progetto e performance Alessandra Cristiani
Musica e suono Claudio Moneta, Iva Bittovà
Progetto luce Gianni Staropoli
Tecnico luci Omar Scala
Progetto visivo De figura
Fotografia digitale di Alberto Canu
Polaroid di Samantha Marenzi
Produzione PinDoc
Coproduzione Teatro Akropolis
Con il sostegno di Armunia Festival Inequilibrio
In collaborazione con Lios e Alfabeto performativo
Con il contributo di MiC, Regione Siciliana
Prima assoluta
THE FALSE DAVID
Butō Imre Thormann
Clarinetto Pierre Lassailly
Prima nazionale
OTHER OTHERNESS
Coreografia Paola Bianchi
Creato e danzato da Barbara Carulli
Musica Fabrizio M. Palumbo
Luci Pollo Rodighiero
Tutor Roberta Nicolai
Realizzato con il contributo di ResiDance XL
Residenze Centro di Residenza della Toscana (Armunia), CID di Rovereto
Produzione PinDoc
Coproduzione Teatri di Vetro
Con il contributo di MiC, Regione Siciliana
Prima nazionale
DIARIO PERFORMATIVO: PRATICHE DELLA TRILOGIA
Di e con Alessandra Cristiani, Samantha Marenzi, Alberto Canu
LUDI
Ideazione, composizione, montaggio Clemente Tafuri, David Beronio, Luca Donatiello, Alessandro Romi
Produzione Teatro Akropolis
Testimonianze ricerca azioni
13 – 14 novembre
Genova
L’immagine in evidenza è stata scattata da Lorenzo Crovetto e ritrae Alessandra Cristiani in “Nucleo – Da Francis Bacon”.