LAURA NOVELLI | Il palcoscenico è vuoto. Ben visibili sono solo alcune grandi bandiere francesi dai colori sbiaditi che ne contornano il perimetro. Lo spazio stesso dell’azione lascia, dunque, intuire che a riempirlo di senso saranno essenzialmente gli interpreti: i loro corpi e, ancor più, le loro parole. Per paradosso, però, essi entrano in scena e tacciono. Tacciono a lungo. Abbigliamento optical ed espressione vagamente interrogativa sui volti, Elvira Frosini e Daniele Timpano dilatano questo silenzio iniziale guardando il pubblico, come se si aspettassero qualcosa da qui, dalla platea. Ma da qui, a parte qualche risatina imbarazzata e qualche sguardo confuso, non giunge nulla.
L’attesa si prolunga per qualche minuto. Fin quando una voce maschile si alza proprio dietro le nostre spalle: «Allora?». È quella di Marco Cavalcoli, attore che della voce ha fatto un suo strumento privilegiato (basti ricordarlo in prove egregie quali Him e Discorso Grigio, firmati da Fanny & Alexander) e che in questo encomiabile Ottantanove del duo romano, visto al Teatro India di Roma per REF 2021 (stasera a Ravenna per Ravenna Festival), porta un linguaggio espressivo capace di armonizzarsi perfettamente con il meccanismo funambolico e “neo-dadaista” della ricca drammaturgia. Ne deriva una perfetta triangolazione interpretativa grazie alla quale la piéce, dedicata alla rivoluzione francese e alla caduta del muro di Berlino (almeno nell’allusione “numerica” del titolo), risulta quanto mai vitale.
Vitale già nel suo incipit silenzioso visto che, tacendo, Frosini e Timpano anticipano ciò che qui, con straordinaria analisi storica e altrettanto straordinaria varietà di toni e registri, inversioni e commistioni, vogliono raccontare. Ovverosia: quanto siamo diventati silenti, tramortiti, inabili a qualsiasi rivolta sociale, a qualsiasi cambiamento individuale. Siamo l’archelogia di noi stessi. Fotografie antiche. Siamo già passati. Già morti. Invecchiati. Privi di colori, di passioni, di ideali. Appesi solo al nostro fagocitante bisogno di consumare, comprare, telefonare, chattare, postare. Nostalgici dell’infanzia perduta e – forse – di quella Storia con la S maiuscola che sembra non poterci insegnare più nulla.
Tuttavia, proprio dalla Storia prende avvio il percorso di questo comizio-lezione-cabaret in cui il 1789 non è solo l’anno della presa della Bastiglia. E’ anche l’anno in cui inizia la moderità, in cui l’Illuminismo si incarna finalmente in una rivoluzione “contro lo Stato”, in cui il mondo moderno e l’idea stessa di democrazia emettono i loro primi vagiti: Egalitè, Fraternitè, Libertè. Tra sussulti sarcastici e proclami altisonanti ecco sfilare lo scoppiettante materiale assemblato in questo meccanismo drammaturgico quanto mai originale (lo firmano gli stessi due atto-autori, in collaborazione con David Lescot), che sceglie una sintassi mai piana, mai scontata. Sulla quale si appendono poi i guizzi stralunati di Timpano, la levità materica di Frosini, la baldanza (auto)ironica di Cavalcoli.
Quanta energia nel raccontare altre rivoluzioni (quella protestante, quella russa, il ’68); nel richiamare alla nostra mente un altro Ottantanove (quello appunto che sancisce la fine del comunismo, la morte di un’utopia e, in fondo, l’avvio della contemporaneità); nello sdoganare certi falsi storici sui cui vale la pena sorridere (partono le note della Marsigliese da un cellulare e apprendiamo che si tratta di un vergognoso plagio: la musica era stata composta dal vercellese Giovambattista Viotti nel 1781 e copiata di sana pianta dai nostri cugini d’oltralpe); nel far riemergere dall’oblio il ricordo del dimenticato “teatro giacobino” o quello dell’opera satirica Il Misogallo di Vittorio Alfieri (edita nel 1799). Ancora: con quanto ardore autobiografico Timpano confonde storiografia e divulgazione recitando alcune vignette de La storia d’Italia a fumetti di Enzo Biagi letta da bambino; con quanta ironia danzante Frosini inanella la sua carrellata di francesismi che infaciscono la nostra lingua; con quanta vis fabulatoria Cavalcoli sciorina il calendario rivoluzionario (Vendemmiaio, Brumaio, Firmaio, Nevoso, etc.) dall’inizio alla fine. Ma non è semplice gusto di elencazione ciò che sorregge questi intarsi istrionici degni di Raymond Queneau. Piuttosto, l’idea che il passato precipita sempre nel presente. Si trasforma e lo trasforma. Che storia personale e Storia collettiva non sono mai sganciate. E se Marat, Danton, Robespierre non possono ovviamente che essere citati, uguale evocazione meritano le tante “fobie” dei nostri tempi bui (omofobia, xenofobia), le barzellette antifrancesi, i dettami arguti di una pedagogia odierna scevra di ogni retorica, prosopopea o populismo.
Insomma, dietro e sotto questo apprezzabile spettacolo, si nascondono un profondo lavoro di ricerca e di studio (come attestano anche i video rintracciabili qui), una grande attenzione per la partitura fisica, per l’incastro a tre degli interpreti (davvero bravissimi), per l’impianto registico nel suo insieme, firmato anch’esso da Frosini-Timpano con l’assitenza di Francesca Blancato. Motivi per cui la compagnia capitolina giunge, secondo noi, ad una decisa maturità artistica, ad uno snodo proficuamente cruciale del suo percorso. Tanto più che questo Ottantanove, frutto di una lunga gestazione causa pandemia, sembra accogliere in sé scelte, idee e convinzioni già messe in campo in piéce di repertorio quali, ad esempio, Acqua di colonia, Aldo Morto, Zombitudine, Gli sposi – Romanian tragedy.
Passato, presente, futuro sono, infatti, le traittorie sui cui la coppia si interroga da sempre. Traiettorie qui declinate su toni grotteschi, disincantati e disillusi. Anche se, alla fine, arriva “forse” una flebile speranza di riscatto. Allora? La domanda risuona come un fil-rouge muto. Un sottofondo che accompagna i pensieri del pubblico. Allora? Davvero “l’albero della libertà” si è ridotto a una piantina grassa alta neanche mezzo metro? Allora? Davvero l’individualismo imperante ci ha trasformati nelle immagini sbiadite di noi stessi? Allora? Davvero l’egocentrico Marchese De Sade ha vinto su Marat? (ricordo, questo di un memorabile spettacolo di Peter Brook). Davvero abbiamo messo i remi in barca? Ci siamo irrimediabilmente illanguiditi negli anni così complessi che stiamo vivendo? (rimandiamo a tal riguardo al bellissimo articolo di Annamaria Testa pubblicato qualche giorno fa sulla rivista Internazionale).
Frosini-Timpano-Cavalcoli, in fondo e quasi inaspettatamente, aprono uno spiraglio di luce e rispondono un timido, allusivo, no. Perché “forse..piano..piano” qualcosa ci smuoverà ancora. Qualcosa ci indurrà ancora a guardarci indietro per meglio sentire palpitare il futuro che ci attende. La vestizione in abiti settecentechi che fa da preludio all’epilogo risulta emblematica in tal senso, e l’ultima bellissima immagine (un plauso va al disegno luci di Omar Scala) è un quadro a colori dove il rosa accesso, il celeste, il verde prendono “piano piano” il posto del bianco e nero. Sebbene, come all’inzio, tutto avvenga immersi in un lungo – pensoso – silenzio.
Ottantanove
drammaturgia e regia Elvira Frosini e Daniele Timpano
con la collaborazione artistica di David Lescot
con Marco Cavalcoli, Elvira Frosini, Daniele Timpano
disegno luci Omar Scala
assistenza alla regia e collaborazione artistica Francesca Blancato
scene e costumi Marta Montevecchi
musiche originali e progetto sonoro di Lorenzo Danesin
organizzazione Laura Belloni
elettricista Marco Guarrera
fonico Lorenzo Danesin
coordinamento tecnico dell’allestimento Marco Serafino Cecchi
assistente all’allestimento Giulia Giardi
cura della produzione Francesca Bettalli e Camilla Borraccino
ufficio stampa Cristina Roncucci
foto Ilaria Scarpa
video documentazione Lorenzo Letizia e Emiliano Martina
immagine del manifesto di Valentina Pastorino
produzione Teatro Metastasio di Prato
in collaborazione con Kataklisma teatro e Teatro di Roma – Teatro Nazionale
residenze artistiche Istituto Italiano di Cultura Parigi, Città delle 100 Scale Festival
un ringraziamento a Compagnie du Kaïros – France
vincitore della Menzione Speciale Franco Quadri nell’ambito del Premio Riccione 2019
corealizzazione Teatro di Roma – Teatro Nazionale e Romaeuropa Festival 2021
Teatro India, 16-21 novembre 2021