RENZO FRANCABANDERA | «La mia esperienza è stata opposta. […] In quegli anni, semmai, avrei riformulato le parole di Adorno: dopo Auschwitz non si può più fare poesia se non su Auschwitz». Con queste parole, Primo Levi rispondeva alla famosa affermazione del filosofo tedesco Theodor Adorno sull’impossibilità della poesia, e quindi della letteratura, dopo Auschwitz.
Negli anni successivi alla fine della Seconda Guerra mondiale, fallito il tentativo dei nazisti di distruggere “la razza parassita”, si sviluppò un ampio e nuovo corpus letterario, costituito principalmente da memorie uscite dalla penna di superstiti che proponevano una prospettiva personale sulla vita nei campi di concentramento, con l’intenzione, vorremmo dire la consapevolezza della necessità di testimoniare.
L’obiettivo era tramandare alle generazioni future la tragedia di quella esperienza che trascendeva, allora come ora, la comprensione umana.
L’opera prima del chimico torinese Primo Levi, imprigionato ad Auschwitz nel 1944 a 24 anni e miracolosamente sopravvissuto, fu fra i rari scritti che, oltre che per la grande qualità documentaria, si contraddistinsero anche per l’eccezionale qualità letteraria. È questa una delle ragioni che ha favorito negli ultimi anni, anche in concomitanza con le celebrazioni del centanario della nascita dello scrittore, diverse e anche fortunate trasposizioni di parti del corpus letterario dello scrittore. Lo spettacolo di cui parliamo oggi è una di queste.
Se questo è un uomo è uno dei pannelli del progetto Me, mi conoscete. Primo Levi a teatro, ideato da Valter Malosti per TPE – Teatro Piemonte Europa con la collaborazione del Centro Internazionale di Studi Primo Levi e Comitato Nazionale per le celebrazioni del centenario della nascita di Primo Levi e il Polo del ‘900.
L’allora direttore di TPE, ora alla guida di Emilia Romagna Teatro, firmò la regia e si volle interprete di questa produzione, che porta per la prima volta in scena direttamente il romanzo, senza alcuna altra mediazione.
Il libro di avventure più atroce e più bello del ventesimo secolo: così Malosti lo definisce nel foglio di sala.
Nelle quasi due ore di spettacolo l’attore è solo, con la parola. Ovviamente sarebbe stato impossibile recitare in questo lasso di tempo tutto il libro, e si è optato per una accurata selezione del testo originario, curata da Domenico Scarpa e dallo stesso Malosti, cercando di mantenere la ricchezza di registri espressivi, narrativi, percettivi e di pensiero che connotano l’opera di Levi. Il problema, per Levi come per altri grandi scrittori che affrontarono la tragedia della memoria dei campi di concentramento, come Wiesel, risiedeva infatti proprio nel vincere l’indicibilità della propria esperienza per renderla invece nota e accessibile il più possibile, e a questo scopo sviluppa nel suo libro una serie di tecniche narrative assai moderne, tipiche potremmo dire della fiction televisiva e della drammaturgia di narrazione contemporanea: trasforma il succedersi fattuale in una storia coerente ed esteticamente curata, cui Malosti si è approcciato con grande rispetto.
Un rispetto che traspare tutto nella fatica delle quasi due ore di recitato, di monologo a memoria. Poche pause per un sorso d’acqua fra i tragici fotogrammi del pensiero di Levi, che sono un motore narrativo straordinario.
Ma forse è improprio dire che Malosti sia solo in scena, perché compaiono, in taluni brevi intermezzi, le figure mimiche e di nesso concettuale di Camilla Sandri Bellezza e Giacomo Zandonà. Alcune azioni, che sembrano voler richiamare ora la vicenda stessa, ora l’intenzione di generalizzare il tema della crudeltà dell’uomo sull’uomo, rimandando alle moderne tragedie di masse dimenticate, emarginate, del cui sterminio chi non agisce è in qualche modo complice.
Ed è infatti quello che la regia ha voluto, collaborando con Margherita Palli ad una scenografia che fosse richiamo della memoria del lager ma anche delle «nostre tiepide case».
Malosti recita per tutto il tempo fermo in due metri quadri, in piedi su quella che sembra un acciottolato con le pietre d’inciampo, ma che diventa via via una sorta di pianta tridimensionale del lager di cui l’uomo è prigioniero.
Sul fondo, uno spoglio interno domestico il cui unico attributo, oltre la lampada è, non a caso, proprio un piccolo termosifone.
Sulla destra una sorta di invalicabile muro che nasce quasi come un’onda di metallo dal pavimento, e che si erge a dividere questo mondo da un nulla insondabile.
Malosti affida a Gup Alcaro un progetto sonoro ricco, che fa dello spettacolo anche un’opera acustica, che unisce le musiche di Alcaro a tre pregevoli madrigali originali, creati da Carlo Boccadoro a partire dalle poesie che Levi ha scritto nel 1945-46, immediatamente dopo il ritorno dal campo di annientamento.
Pur nella centralità dell’operazione monologo-testimonianza di cui Malosti si fa generoso interprete, risultano importanti sempre nella logica intervallare e di rimando al pensiero di Levi, tanto il disegno luminoso di Cesare Accetta (che a tratti richiama e rielabora le poesie di cui si diceva), tanto i contributi video di Luca Brinchi e Daniele Spanò, che vogliono alludere in alcuni casi proprio al tema dei sommersi e salvati, sia al rapporto con l’istinto animale e fragile di cui ognuno di noi è interprete e portatore.
L’operazione è quindi, pur nel comprensibile via-vai della concentrazione fruitiva durante due ore di spettacolo, un’operazione a suo modo coraggiosa, proprio per la volontà faticosa e intensa dell’interprete di una memoria così lunga e di una recitazione impegnativa sia emotivamente che scenicamente: Malosti regista costringe Malosti attore ad una drammatica fissità, ad una menomazione mimica e di movimento, provando forse, in qualche modo, a replicare, anche per l’interprete teatrale, le privazioni della prigionia, la libertà del poter recitare.
Tale scelta, meglio, l’intenzione di incarnare la fatica di un tributo così intenso, unita alla innegabile e modernissima potenza del testo, rende lo spettacolo comunque un’operazione meritoria, e che vale la pena vedere. Anche per tornare sul formidabile testo, e sulle atrocità che racconta, e di cui è bene fare memoria.
E mentre scrivo questo rigo, capisco che questo è proprio quello che ha fatto Malosti.
Ha voluto fare e ha fatto prima di tutto memoria.
E il fare è importante.
SE QUESTO È UN UOMO
dall’opera di Primo Levi (pubblicata da Giulio Einaudi editore)
condensazione scenica a cura di Domenico Scarpa e Valter Malosti
uno spettacolo di Valter Malosti
scene Margherita Palli
luci Cesare Accetta
costumi Gianluca Sbicca
progetto sonoro Gup Alcaro
tre madrigali (dall’opera poetica di Primo Levi) Carlo Boccadoro
video Luca Brinchi, Daniele Spanò
assistente alla regia e suggeritrice Noemi Grasso
in scena Valter Malosti
e Camilla Sandri Bellezza, Giacomo Zandonà
cura del movimento Alessio Maria Romano
assistente alle scene Eleonora Peronetti
assistente al suono Alessio Foglia
scelte musicali Valter Malosti
musiche di Oren Ambarchi, Johann Sebastian Bach, Ludwig Van Beethoven, Cracow Kletzmer Band, Morton Feldman, Alexander Knaifel, Witold Lutoslawski, Oy Division, Arvo Pärt, Franz Schubert, John Zorn
madrigali eseguiti e registrati dai solisti dell’Erato Choir: soprani Karin Selva e Caterina Iora, contralto Giulia Beatini, tenori Massimo Lombardi e Stefano Gambarino, bassi Cristian Chiggiato e Renato Cadel, direzione musicale Massimo Lombardi e Dario Ribechi
direttore tecnico Massimo Gianaroli
responsabile allestimenti Gioacchino Gramolini
direttore di scena Lorenzo Martinelli
capo macchinista Riccardo Betti
capo elettricista Umberto Camporeschi
fonico Fabio Cinicola
sarta Eleonora Terzi
costruzioni sceniche Santinelli Scenografie
foto di scena Tommaso Le Pera
immagine di copertina Pietro Scarnera
produzione ERT / Teatro Nazionale, TPE – Teatro Piemonte Europa, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Teatro di Roma – Teatro Nazionale
Progetto realizzato in collaborazione con Centro Internazionale di Studi Primo Levi, Comitato Nazionale per le celebrazioni del centenario della nascita di Primo Levi, Polo del ‘900 e Giulio Einaudi editore in occasione del 100° anniversario dalla nascita di Primo Levi (1919 – 1987).