RENZO FRANCABANDERA | Tre sorelle di Čechov la storia di una casa e delle persone che la abitano narrata in una dimensione temporale che rende tutto contemporaneo, che confonde gli eventi passati con quelli presenti, la nostalgia con l’attesa. Allo Spazio Matta di Pescara questa sera Muta Imago presenterà Ashes – ceneri, libero tentativo di tradurre il mondo cechoviano in suono, nelle voci e nei corpi di cinque performer immersi in «una nebbia sonora fatta di frammenti dispersi».
Abbiamo dialogato con Riccardo Fazi, dramaturg di Muta Imago, di questa nuova produzione e di come la Compagnia ha vissuto questi ultimi anni.
Riccardo, come è stato il ritorno all’attività spettacolare dal vivo? In che modo avete sentito diverso il vostro creare negli ultimi tempi?
Tornare a incontrare il pubblico dal vivo significa ricordare le ragioni per cui facciamo il nostro lavoro. Abitare di nuovo il potentissimo effimero incontro, che dà senso al lavoro di mesi e rinnova di volta in volta le ragioni del cammino. Il creare non cambia, le regole sono sempre le stesse.
Siamo cambiati noi però, è cambiato il pubblico. Non si può ignorare questo dato di fatto, come in molti pretendono di fare. La necessità, il desiderio e l’urgenza devono essere più forti che mai.
Al di là della durezza dell’esperienza, come sono stati questi ultimi due anni? Quali suggestioni vi hanno proposto e che tipo di emotività vi hanno generato?
Premessa: siamo stati fortunate/i. In un periodo in cui tutto si è fermato abbiamo fatto parte di un progetto produttivo, Oceano Indiano al Teatro India di Roma, che si è occupato costantemente di trasformare le difficoltà in possibilità e questo è stato salvifico. Radio India ad esempio, senza pandemia, non sarebbe mai esistita.
Penso a un gesto di pulizia. Emotivamente, è stato questo un periodo di sparizione prima, di svelamento e di emersione poi. È un tempo che lavora per togliere il superfluo, c’è un lavorio lento e quotidiano volto a far brillare infine ciò che davvero conta.
Cosa pensi sia Muta Imago oggi vista da dentro? Cosa vedi anche guardandoti indietro?
Muta Imago è ciò che è sempre stata: un vascello costantemente orientato verso nuove scoperte. Costi quel che costi. Da dentro Muta Imago non vedo Muta Imago: vedo le stelle, i paesaggi, il mare a volte in tempesta a volte tranquillo, il vento a favore e il vento contrario. Vedo quello che desidero. Guardare indietro è per me uno dei gesti più creativi che possano esistere; ricordare è il primo gesto creativo, la nostalgia è uno dei motori principali di quello che faccio. E la nostalgia, come tutto ciò che conta, contiene due tensioni opposte e complementari: verso il passato e verso il futuro allo stesso tempo. Guardando indietro vedo ciò a cui aspiro e che da qualche parte mi aspetta lontano nel futuro.
Cosa pensi vi abbia fornito la pratica artistica a livello personale? In che modo vi sentite diversi dagli altri che non possono o scelgono altre strade di vita?
Ogni mattina e ogni sera, ogni volta che inizio un nuovo progetto e ogni volta che lo sguardo del pubblico si posa per la prima volta su un nuovo lavoro: continuo a pormi le domande del potere e della scelta. Posso davvero continuare a fare quello che faccio? Come posso continuare a farlo al meglio? Fino a quando continuerò a dire: posso? Ho mai davvero scelto questa strada? Ho scelto quella giusta? Devo desiderare una strada sola? Ognuno di noi è l’altro di qualcuno, ognuno di noi pensa di essere unico. Dovremmo forse tornare ad ascoltare di più; le domande sono le stesse per tutte/i.
Cosa state portando in scena e a che progetti state lavorando oggi? Cosa vi ispira nel creare?
Stiamo portando in scena Sonora Desert. Siamo appena stati a Torino, al Festival delle Colline e ora, finalmente, dopo pandemie, scioperi e chi più ne ha più ne metta, saremo nella stagione del Teatro di Roma, al Teatro India, dal 21 al 30 dicembre. Stasera al Matta presenteremo un’anteprima di un nuovissimo lavoro. Si chiama Ashes, e parla di tempo, di indiani d’america, di dinosauri, di padri, madri, fratelli e sorelle, di meteoriti e di mazzi di chiavi. Stiamo lavorando con un gruppo stupendo: Marco Cavalcoli, Ivan Graziano, Monica Piseddu, Arianna Pozzoli, Lorenzo Tomio. Sono molto grato.
Sia Ashes che Sonora Desert vengono dalla stessa matrice. Stiamo lavorando sulla vita e sul tempo; sulla paura della morte; sulla possibilità di non averne.
Il sistema dell’arte secondo molti esce indebolito fortemente da questi anni critici. Pensi che il problema sia solo sistemico o anche della stessa comunità che non riesce fondamentalmente a fare rete?
Il problema è sistemico. Le comunità non esistono, non possono esistere senza possibilità di spazi, tempi ed economie che permettano l’incontro e lo sviluppo. Troppo spesso si colpevolizza la fantomatica “comunità” di non riuscire ad agire comunitariamente, a strutturare discorsi, a fare rete appunto. Ma questa è una narrazione del potere. Mentre il problema è istituzionale e sistemico ed è lì, da lassù che bisogna lavorare: in dialogo e dall’interno, per tornare a dare senso a quelle che definiamo istituzioni.