SUSANNA PIETROSANTI | “Metastasis è un urlo. Metastasis è l’istante prima dell’assassinio. Metastasis è la disperata speranza”. Così Gabriele Marangoni presenta il progetto che ha ideato e musicalmente concepito e che domani, 15 dicembre, debutterà sul palco della Sala Teatro del Lac di Lugano. Dopo aver conosciuto una diffusione digitale, adesso arriva alla prova della scena dal vivo.
Si tratta di una produzione internazionale in cui collaborano lo stesso Lac e Tempo Reale di Firenze (Centro di ricerca, produzione e didattica musicale, fondato nel 1987 da Luciano Berio per favorire le relazioni tra musica e nuove tecnologie) fornendo un luminoso esempio di cooperazione e di interdisciplinarità.
Del resto, la fase video ha costituito una tappa di Lingua Madre. Capsule per il futuro (Premio Speciale Ubu 2021), progetto titanico a molteplici voci varato in tempi di pandemia con l’intento di creare un legame sempre più saldo tra arte e cultura, capace di virare dai classici al presente, e dall’attuazione alla creazione di un teatro innovativo che si nutre di un equilibrio tra domande e risposte.
La ricerca di Metastasis si muove all’interno di una visione assoluta del suono, area di tutte le possibilità, materia con la quale tutto è possibile, anche il tentativo di dar voce alla Terra, di tradurne in suono l’urlo disperato. Abbiamo contattato Marangoni per porgergli alcune questioni che ci aiutino a fare luce nel labirinto complicato di un’opera stratificata, potente, e misteriosa.
Come è nato il progetto, e a quali scopi mira? Ci sono intenti ecologici, fondamenti filosofici che lo hanno ispirato?
Metastasis è nato da un’esigenza di affermare un ruolo sociale dell’arte. Siamo, è vero, in un periodo storico senza precedenti come sensibilizzazione nei riguardi del Pianeta. Se ne parla, ma non vediamo qualcosa di veramente efficace che ci porti a entrare in empatia con la rovina del Pianeta. Dunque, la sensibilizzazione va avanti per sfumature, ma l’arte ha il dovere di amplificare un messaggio, deve poter influenzare la coscienza delle persone laddove altri mezzi hanno fallito.
L’arte si fa carico del messaggio, di gettarlo in maniera dirompente tra le persone, e questo si lega all’estetica del progetto, che è dar vita all’urlo del Pianeta, urlo che diventa elemento artistico e sonoro. Su questo urlo (interpretato da Francesca della Monica) si costruisce: è un urlo disperato, primordiale.
Un nome misterioso e potente, quello del progetto. Perché Metastasis?
Attraverso il linguaggio artistico e sonoro si vuole andare a scuotere le coscienze, e questa è una necessità artistica e etica insieme. Metastasis è cancro, ma per me lo è prima di tutto gran parte dell’operato umano, non il Pianeta, che è ammalato, perché siamo noi la sua malattia.
Metastasis è un progetto sonoro incentrato sull’uso della voce e delle sue tecniche estese in dialogo con l’opera visiva. Con questo progetto ho deciso di dare voce alla Terra, trasformandola in protagonista come atto estremo di amore verso una madre insanguinata e, allo stesso tempo, come atto di rabbia e rivoluzione verso dei figli assassini; in tutto questo io sono il medium, il dispositivo.
Metastasis vuole essere un’esperienza forte a livello emotivo, sonoro e visuale che scuota coscienze e sensibilità.
Si discute nel teatro contemporaneo su quanto sia lecito che l’arte teatrale sia connessa fortemente con il reale. C’è chi sostiene che il documentario sarebbe maggiormente meritevole, perché fornirebbe uno sguardo imparziale e secco, non truccato da intenti estetici: c’è chi ha fatto dell’inserzione di parti documentaristiche una cifra di stile. Come vi ponete di fronte a questa linea critica ed estetica?
L’idea di documentario ha riguardato solo la prima fase del progetto, quella in digitale, per poi essere distillata e sublimata nella versione dal vivo che verrà presentata al LAC di Lugano domani. A ogni modo, questa visione documentaristica è sempre stata filtrata da una visione artistica, sia nella parte video, sia nella serie di testimonianze e interviste a vari attivisti ambientali e ospiti che hanno donato le loro riflessioni, dalla situazione disastrosa del Brasile all’abuso edilizio e alla cementificazione nelle aeree della ex Jugoslavia dopo l’ultima guerra.
Il processo di evoluzione dalla versione digitale a quella live ha portato a una creazione sonora e visuale che, attraverso un processo creativo e compositivo di suoni, rumori, visioni aeree di paesaggi naturali e aree abbandonate e inquinanti, testimonia la rovina del legame con la natura, il bisogno di ricercare un silenzio possibile e la necessità di abbandono di un consumismo di massa.
Ci sono testi base, suggerimenti letterari e filosofici, che vi hanno offerto suggestioni?
L’esigenza creativa è nata da una mia presa di coscienza, sia dal punto di vista del ruolo che deve avere l’arte in determinati momenti storici, sia rispetto al nostro essere presenti – qui e ora – all’inizio del conto alla rovescia per la sopravvivenza del Pianeta. Nonostante l’ecologia sia diventata un vettore economico – basti notare le campagne pubblicitarie di qualsiasi prodotto – e, almeno in apparenza, ci sia una maggiore sensibilizzazione riguardo alla tematica, occorre fare di più.
In questo momento, per me, il ruolo dell’arte dovrebbe essere fare esplodere questo messaggio. Credo sia necessario passare da una sensibilizzazione superficiale a un qualcosa di deflagrante che tocchi le coscienze – e l’arte ha questo potere. Più che dire qualcosa circa ciò che sta accadendo, bisogna essere strumenti di amplificazione di qualcosa che c’è già: l’urlo della Terra.
Siamo diventati la metastasi del nostro stesso organismo vivente. A ogni spostamento ampliamo il cancro, soffochiamo il respiro, distruggiamo, passo dopo passo, l’epidermide che ci protegge, bruciamo ogni mano che ci nutre, affondiamo nel ventre di nostra madre la lama assassina dell’arroganza.
Come siete arrivati quindi all’impasto sonoro di Metastasis?
Vi è stato un lungo periodo di lavorazione sui materiali sonori in collaborazione con il Centro di Ricerca Tempo Reale di Firenze, abbiamo intrecciato linguaggi diversi per restituire una cacofonia di suoni, rumori, voci e immagini, simile a quella nella quale siamo costantemente immersi e che, spesso, sfugge alla nostra comprensione e non ci aiuta a conquistare la piena consapevolezza di ciò che sta accadendo.
Le opere video, in particolare, tessevano connessioni perturbanti tra la denuncia degli attivisti per l’ambiente e spunti di riflessione introspettiva.
Le riprese aeree mozzafiato rappresentano la magnificenza di una natura incontaminata e la distruzione operata dall’uomo attraverso conflitti e fonti d’inquinamento, con, in sottofondo, un suono primitivo che sembrava sgorgare dalle viscere del pianeta, l’urlo della Terra che chiede rispetto e la preghiera laica per quel silenzio – bene comune, come l’acqua e l’aria – che può aprire finalmente le nostre menti, rendendoci consapevoli di come occorra abbandonare il consumismo di massa per tornare ai nostri veri bisogni.
Il 15 dicembre tutto questo sarà trasformato in un’opera interdisciplinare dal vivo, in grado di fondere linguaggi e media diversi in un connubio che risveglierà i nostri sensi e le nostre coscienze attraverso una fusione tra la voce, come detto, di Della Monica, il live electronics di Damiano Meacci e il light design di Luigi De Angelis, il tutto coordinato dall’operato di Micol Riva.
Il tuo rapporto con la tecnologia, come si declina? E come si è svolta e si svolge la collaborazione con Tempo Reale?
Negli ultimi anni la tecnologia è diventata una parte vitale della mia produzione, per me è come avere un’estensione della capacità creativa. Questo continuo uso e sviluppo tecnologico che contraddistingue le mie ultime produzioni è reso possibile grazie all’importante collaborazione con Tempo Reale.
Metastasis è l’ultimo di una serie di lavori che attraverso questa collaborazione hanno potuto espandersi e indagare molti confini, come il Progetto Silent, con il quale si è utilizzata la tecnologia per poter lavorare con ensemble di sordi, o i progetti Mater e Flucsus, che utilizzano frequenze sonore al di sotto della soglia di udibilità dell’uomo, oppure il progetto Utera, con il quale abbiamo lavorato sulla possibilità di gestire in tempo reale e modificare i parametri sonori attraverso dei sensori biodinamici e acellerometrici che si interfacciavano con il corpo umano.
Con Tempo Reale in tutti questi anni di collaborazione ho sempre cercato di fare un uso della tecnologia che non è mai fine a se stessa e non diviene mai autoreferenziale, bensì dispositivo di ampliamento della mente e delle potenzialità umane.
Inoltre, cosa importantissima, Tempo Reale rappresenta per me uno dei pochi luoghi a livello europeo dove ci sia veramente la possibilità di sperimentare liberamente e senza nessun preconcetto o limite.
In tutti questi anni ho sempre potuto esporre le mie idee, anche le più rischiose e visionarie, al direttore Francesco Giomi, che non ha mai pensato ad anteporre la ricerca e la sperimentazione artistica a logiche di amministrazione. Anzi, si è rivelato sempre pronto al confronto e alla collaborazione, e questo è un altro valore inestimabile non solo per la mia produzione, ma per l’arte di ricerca in assoluto.
Puoi fornirci un’analisi di Metastasis? Una specie di mappa, delle linee guida che rendano l’opera più fruibile, più accessibile?
In Metastasis c’è una sorta di polifonia, di linee, di linguaggi che si intrecciano, il principale, più strutturale ed emotivo è quello sonoro, che viene elaborato elettronicamente: si parte dai suoni al limite della riproducibilità della voce umana (con Della Monica), elaborata in live electronics (con Meacci e Tempo Reale). Minimale è l’apparato scenico: non ci sono oggetti di scena, non vengono portati altri materiali al di fuori della dotazione del teatro stesso: l’apparato scenico è il teatro stesso, la sua struttura, le quinte, i tiri, le luci.
Con il suono a un grado così elevato di organicità e di precisa drammaturgia, in una visione di teatro dell’ascolto, è stato naturale pensare a una linea emotiva che creasse una sorta di pelle all’intero lavoro, così è stato aggiunto un dispositivo video con proiezioni zenitali sul palcoscenico, gigantesche: immagini che assumono un ruolo onirico.
La linea estetica delle luci è stata ideata con grande precisione e cura da De Angelis con il quale abbiamo lavorato nella direzione di creare una linea poetica perennemente in dialogo con il suono e le immagini: luci non funzionali, bensì esperienza estetica e poetica fusa con il suono.
Dove sono stati girati i video? Rappresentano immagini di assoluta bellezza, di armonia ineffabile.
I video sono stati girati in Sardegna e sono la trama, quella pelle in cui vediamo stratificata la bellezza incontaminata in dialogo stridente con l’intervento dell’uomo, che devasta, che inquina. Musica e aspetto visivo sono parti di un elemento strutturale unico, un’unica grande a partitura.
Metastasis
Ideazione e composizione Gabriele Marangoni
Vocal performer Francesca Della Monica
Sound Design e Regia del Suono Damiano Meacci, Tempo Reale
Light Design e Spazio Scenico Luigi De Angelis
Project Manager ed executive producer Micol Riva
Produzione Lac Lugano Tempo Reale Firenze
Sostegno di Fondazione Nestlé pour l’Art, Fondazione UBS per la cultura