ELENA D’ANGELO | Proporre uno spettacolo di Ettore Petrolini nel 2021? Nulla di mistico o trascendentale, nulla di magico. Solo duro lavoro di ricostruzione filologica e ricerca attoriale. Sì, perché essere autori non è sufficiente, quando si vuole mettere mano a un repertorio come quello petroliniano. Non è sufficiente conoscere, studiare, osservare, ricostruire. Quando ci si accosta al genio puro, occorre porsi una domanda o – meglio ancora – porsi in condizione di essere interrogato dalla materia stessa della nostra indagine: quanto siamo vicini alla verità? L’originale conserva in sé una matrice irriproducibile poiché indistintamente connessa al contesto storico, culturale, sociale dell’epoca che lo ha prodotto. Risalire alla matrice è quanto mai difficile e il caso Petrolini si fa ancora più complesso poiché sommerso da una quantità di fraintendimenti assai duri da scalfire. Petrolini la macchietta, Petrolini l’attore di varietà, Petrolini il comico di regime. Un garbuglio che condensa in sé non tanto la natura reale dell’oggetto che si vuole rappresentare quanto piuttosto una serie di stereotipi che si sono cristallizzati tutti intorno alla forma primaria, cambiandone profondamente la percezione.

Tocca a Enoch Marrella, classe 1980, tentare l’impresa. Senza alcun compiacimento nostalgico, senza alcun vittimismo storiografico, Enoch Marrella si mette a lavoro intorno alla sua idea: riportare in vita Ettore Petrolini. Non il suo repertorio, non i suoi personaggi, non il suo mito. Ettore Petrolini l’attore, l’artigiano della scena che costruisce la propria presenza con l’uso sapiente del corpo, che domina il gioco mimico del volto, che addomestica il pubblico con la voce. Lo studio preciso, l’osservazione metodica di Enoch Marrella, accompagnato al pianoforte dal  maestro Paolo Panfilo con il quale ha compiuto una vera e propria opera di restauro dei materiali musicali originali – non tutti trascritti, ahinoi, da Petrolini – lasciano sgomenti tanto è l’effetto che si produce. Un progetto che ha mosso i suoi primi passi nel gennaio 2020, con un primissimo studio sulla maschera di Fortunello, per poi abbracciare una visione multimediale e parateatrale nel corso delle successive trasformazioni (in una recente versione lo spettacolo ha previsto un momento laboratoriale col pubblico).

Una fila di luci sul proscenio – una serie di lampadine avvitate su una tavola di legno emanano una luce antica attraverso paralumi di latta ricavati da barattoli di conserva – illumina debolmente la scena vuota. Alla destra del palco la postazione del pianista, alla sinistra un tavolo che raccoglie alcuni oggetti: un giradischi, un quarantacinque giri dal titolo Melancolie Petroliniane, un cilindro, un bastone e un paio di guanti bianchi.

Il primo a entrare in scena è Fortunelloo: “Il più difficilmente analizzabile dei capolavori petroliniani, col suo ritmo meccanico e motoristico, col suo teuf-teuf martellante all’infinito, scava dentro il pubblico tunnels spiralici di stupore e di allegria illogica e inesplicabile” [F. T. Marinetti], leggiamo nel programma di sala. Una maschera in lattice, gli occhi bianchi realizzati con palline da ping pong, in testa il barattolo di latta penzolante. Come può divertirci un personaggio così? Cosa c’è di universale in quella matrice originaria che ancora oggi ci fa sorridere o addirittura ridere? C’è un meccanismo comico, un ritmo incarnato che è l’essenza stessa della performance petroliniana e che Marrella è riuscito a ricostruire, a rimontare, non lasciandosi sedurre dalla figurina mitica e nostalgica di Fortunello, ma risalendo alla fonte stessa del lavoro attoriale.

Tocca a Salamini: “La mia creazione più antica e più fresca, più spontanea e più elaborata, più sciocca e più geniale, più solida e più vuota, più buffa e più tragica, più inconcludente e più conclusiva” scriveva Petrolini. L’irresistibile lentezza con cui Marrella-Petrolini sfila dalle tasche dei pantaloni la fila di salamini e poi li fa roteare nell’aria è tutta una sinfonia di idiotissima leggerezza che si schianta come un macigno sull’assenza totale di pensiero critico che dominava la società italiana degli anni venti – del millenovecento così come del duemila. La critica aspra e astuta all’intelligenza italica vuota e corrotta è tanto attuale che ci fa ridere amaro.

Ecco ancora Gastone: “Eccezionale personaggio che indovinava perfettamente la maledizione del proprio tempo, stranamente amato da tutti, e che tutti lo ricantavano, e non si sapeva bene se era una satira o una celebrazione” [Mario Tobino]. Forse il più conosciuto tra i pezzi del repertorio di Petrolini, Gastone prende di mira una certa categoria d’attore e d’uomo, descrivendone i vizi e compiendone al tempo stesso una mirabile parodia. La nota parodistica è forse la più difficile da intercettare, se pensiamo alle pericolose implicazioni che il discorso satirico poteva comportare negli anni in cui Petrolini scrive i suoi capolavori. Il lavoro di Enoch Marrella è qui ancor più delicato e importante perché mirato ad affinare quella tecnica del dire e del tacere, che ha consentito a Petrolini di inventare un personaggio come Nerone, che altri non è che una schietta parodia di Benito Mussolini.

Proprio Nerone conclude la carrellata dei personaggi scelti da Marrella per guidarci in questo breve viaggio – un’ora e un quarto di spettacolo circa – nel mondo di Petrolini attore. Un viaggio reso ancora più significativo dall’inserimento di alcuni passaggi tratti dalle memorie di Petrolini, in cui si rintraccia il senso ultimo di questo lavoro: arrivare alla verità. Restituire al pubblico un’immagine fedele di Petrolini artista e non esclusivamente attore; di Petrolini artigiano della scena e stratega della parola e non folklorica macchietta da varietà. Di Petrolini infinito: mai titolo fu più sensato.

 

PETROLINI INFINITO

testo e regia Enoch Marrella
musiche Paolo Panfilo
costumi Laura Verza
grafica Suzana Todorovic
foto Valerio Faccini

Sala Paolo Poli – Ostia
4-5 dicembre