RENZO FRANCABANDERA | Sala grande dell’Arena del Sole a Bologna ma si entra in pochi. Chissà perchè. Posto in piedi dice il biglietto.
Entriamo in sala. Una decina di grandi schermi di tipo televisivo, ma verticali, occupa la prima parte della platea. I video testimoniano angoli di backstage. Alcuni attori provano. Produzione internazionale, come si capisce dal loro sembiante diverso, multietnico. Sono riprese di alta qualità, di prossimità, che vanno in loop ogni 2-3 minuti.
Ci si siede allora; confidenti in un Posto Unico, più che in un Posto in piedi, mi accomodo nella seconda parte della platea, quella più distante dal palcoscenico.
Ma poco dopo ai lati del grande palco della Sala Leo de Berardinis si aprono due passaggi per salire sul palco, cosa che siamo invitati a fare.
Era Posto in piedi, damn! Ed è colpa di Matías Umpierrez!

L’artista argentino è tra i nomi di spicco del panorama contemporaneo, selezionato da The Rolex Mentor and Protégé Arts Initiative, progetto che sceglie giovani talenti nel mondo e propone loro un periodo di collaborazione creativa con una figura di riferimento nella propria disciplina: in questo caso il mentore è stato il regista canadese Robert Lepage.
Arriva in Italia a Bologna – in questo strano 2021 in cui VIE Festival ha lasciato solo alcune tracce all’interno della stagione 21/22, in attesa della prossima edizione nell’autunno 2022 – la videoinstallazione performance Museo de la Ficción – I. IMPERIO ospitata sul palcoscenico del teatro al quale il pubblico accede, per entrare in una sorta di grande stanzona rettangolare.
A delimitarla quattro enormi superfici di proiezione che si attivano in contemporanea. Il pubblico, piccolo, in subitanea sensazione di spaesata inferiorità, comprende istantaneamente che la creazione vuole comunicare una generale sensazione di stress. Il motivo è semplice. L’azione si svolge in contemporanea su tutte e quattro le superfici ma la trama unica: in sostanza si vorrebbe guardare tutto, per capire. Ma non si può.

È questa una delle cifre della produzione artistica di Umpierrez, in cui si mescolano teatro e arti visive, con l’intento di creare una dinamica semiotica conflittuale, dialettica, tra spettatore, scena e geografica; i suoi lavori sono stati presentati sia in spazi non convenzionali che in importanti musei come il MALBA di Buenos Aires, il Reina Sofía di Madrid e il MoMA di New York.

Qui in teatro, partendo dalla platea, si arriva sul palco, la cui quarta parete è chiusa. Siamo in uno spazio chiuso. Quattro pareti, quattro superfici di proiezione. Una stanza con i muri fatti a cinematografo, e nel film e ci si trova in un grande ufficio di rappresentanza in cui si sta svolgendo un incontro fra uomini d’affari e politici. E come in un museo in cui lo spettatore sceglie in fondo cosa vedere, un vero e proprio Museo de la Ficción, Umpierrez ci favorisce quello che dopo pochissime scene si rivela un riadattamento del Macbeth di Shakespeare, ambientato nella Spagna post franchista, in cui la finzione diventa strumento di mediazione sociale e politico.
Emblematica la decisione di scegliere come interprete del ruolo maschile una diva della fiction iberoamericana, Ángela Molina, un Macbeth al femminile, che si troverà a diventare in poco tempo protagonista della lotta di potere all’interno della sua comunità, con una carriera politica tanto fulminea quanto sanguinaria.

A farle da spalla aizzante, mellifluo ed equivoco sotto ogni aspetto, Robert Lepage nella parte di un fintissimo Lady Macbeth al maschile.

IMPERIO – PH Studio Matias Umpierrez

La questione della finzione serpeggia in tutto l’allestimento, perché guardiamo non un film con una qualche pretesa di realismo. Anzi: è una sorta di stranissimo allestimento cine teatrale, che vibra sull’equivoco dello stare al bordo dei medium, giocando a costringere lo spettatore a girarsi di qua e di là, alla ricerca di un punto di vista che lo metta in condizione di comprendere qualcosa in forma piena. Senza riuscirci.
Personalmente, a un certo punto, mi sono arreso, scegliendo un posto a sedere per terra, sulle sacre tavole del palcoscenico. Ma mentre guardavo agli altri che un po’ seduti un po’ in piedi continuavano a girare la testa di qua e di là, mi concentravo via via non solo sul film ma sulla involontaria coreografia fruitiva cui dà vita il pubblico in un ambiente così drammatico e connotato.
È un quasi Macbeth ma sembra anche 1984. E un po’ Blade Runner, con gli umani schiacciati da ciò che loro stessi hanno creato.
E se il film è sicuramente un prodotto interessante, a suo modo fedele alla trama shakesperiana pur con inserti kitsch di varia natura ostentati senza pudore, di maggior interesse in questo spazio costretto, scomodo, è osservare il modo in cui la gente osserva, come sceglie l’informazione prioritaria, quale messaggio diventa gerarchicamente dominante quando si è nella condizione di dover decidere cosa vedere, quale verità seguire, pur sapendo che è tutto finto e incompleto.

Si comprende e si enfatizza infatti, in questo osservare chi guarda, il senso del progetto Museo de la Ficción che riunisce una serie di installazioni performative, il cui scopo è proprio indagare sullo spostamento che può provocare la finzione, o azione drammatica, in un sistema di museo-collezione-conservazione-esposizione-tempo, giocando e sviluppando un pensiero sullo spazio che vive il fruitore in queste geografie immaginifiche, pièce registrate per essere visualizzate su dispositivi audiovisivi in diversi luoghi del mondo.

In questo video-trailer della creazione, si possono apprezzare alcuni dei fotogrammi della creazione cinematografica, in modo da poterne cogliere il respiro creativo, ma ovviamente questa comoda visione televisiva non ha nulla a che fare con l’esperienza diretta.

Unico mitigante allo spaesamento, è la scelta registica che il testo parlato sia sovrascritto su tutte le pareti, come a voler dire che forse la salvezza, l’unica guida non è nelle immagini, ma nelle parole, nel testo.
Quella è l’unica verità, l’unica salvezza che permette allo spettatore non solo di non perdersi, ma anche – se non di trovare – almeno di scegliere una sua verità,  eleggendo con l’andare della fruizione una sola parete, un angolo parziale, la propria bolla concettuale, il punto di vista soggettivo sui crimini del mondo, su cui non sapremo mai tutto fino in fondo. Forse perché questa possibilità semplicemente non esiste.
Un museo è anche uno spazio in cui costruirsi una propria verità di comodo, all’interno di archeologie di pensiero di cui i vincitori hanno fatto accumulazione, per riscrivere la Storia semplificata dell’umanità, esattamente come semplificata e un po’ telenovelica è la cineinstallazione, il film: un riassunto di Macbeth, finto.
E dentro c’è il fruitore, ingabbiato, che non sa cosa guardare: in ogni modo è costretto a scegliere, ma sempre dentro un mondo creato da un algoritmo creativo altrui.
L’unica possibile scelta libera, in queste situazioni, come nelle stanze virtuali, negli spazi social-mediali, come pure in questa cineinstallazione, è uscirne.

 

MUSEO DE LA FICCIÓN – I. IMPERIO

idea e concept Matías Umpierrez
tour manager Alicia Calôt, Malena Schnitzer
coordinamento tecnico della Mostra Gustavo Valera / Ultra-Lab
distribuzione internazionale Iva Horvat & Elise Garriga / Art Republic

crediti del film
cast Ángela Molina, Robert Lepage, Elena Anaya, Chema Tena, Adolfo Fernández, Ana Torrent, Tessa Andonegui, Javier Pereira, Javier Tolosa, Astrid Jones, Boré Buika, Alfonso Bassave, Tony Lam, Ziyi Yan, Olalla Hernández, Noa Sanchez Jiménez, Ángeles Arenas Ruiz Acquista

Squadra cinematografica: Design visivo, sceneggiatura e regia Matías Umpierrez | Produttore esecutivo Mariano Piñeiro | Direttore di produzione Daniela Girod | Musica Rafael Sucheras | DoP Javier Cortes | Direttore post produzione Israel Almendro | Direttore dei costumi Anais Ibañez, Paola Barrachina Doñate | Primo AD Patricia Ordás | Art Director Matías Umpierrez | Coordinatore artistico Laura Lostalé | Ingegnere del suono José Perea | Post produzione suono Estudios La Panadería | Secondo AD Carolina Gonzalez | Assistente artistico Andrea Lasanta | Responsabile della proprietà Sara Virumbrales | Capo costruttore Elena C. Galindo, Amaya Cortaire Ciordia | Artisti del trucco e acconciature Felisa Ventas Cosano, María Perucho López, Xenia Tío, Ainhoa Rojo, Leyre Ballesteros, Lucía Juez | Making off Samuel Sánchez | Foto Studio Matías Umpierrez | Assistente fotografo e post-produzione foto Matías Tavolaro | Assistente sartoria Laura Sueiro García | Assistente di produzione Alejandro de Lucas, Irina Dancourt, Gemma Galán | 1st Assistente operatore camera Kike Muñoz | 2st 1st Assistente operatore camera Rodrigo Plácido | Assistente ingegnere del suono David Suarez | Caposquadra Oscar Alejano | Tour manager Alicia Calôt | Coordinamento tecnico della Mostra Gustavo Valera / Ultra-Lab | Distribuzione internazionale Iva Horvat & Elise Garriga / Art Republic

Co-produzione di dFERIA, San Telmo Museoa, Donostia Kultura, Studio Matías Umpierrez.

Uno speciale ringraziamento per il supporto alla Rolex Mentor & Protégé Arts Initiative.