|ENRICO PASTORE
Per il quarto (e natalizio) appuntamento con Resistenze Artistiche andiamo al confine dell’impero, sull’isola dell’isola, a Carloforte in Sardegna per incontrare Susanna Mannelli che, insieme a Riziero Moretti, dirige l’Associazione Botti du Shcoggiu attiva non solo nella creazione di spettacoli, ma nel dirigere un piccolo festival, il Marballu’s Fest, e nell’attività di formazione ed educazione al teatro.
Il ciclo di interviste dal titolo Resistenze artistiche si prefigge l’obbiettivo di delineare, almeno parzialmente, quanto avvenuto nei due anni di pandemia in luoghi artistici situati nelle periferie delle grandi città o nelle piccole cittadine di provincia. Questi sono spazi di azione artistica in cui il rapporto con il territorio e la comunità è stretto e imprescindibile. Tale relazione nel biennio pandemico è stata più volte interrotta in maniera brusca, improvvisa e, per lo meno la prima volta, impensata. Tutti si sono trovati impreparati a quanto è successo in questo periodo e le incertezze sull’entità degli aiuti o nelle normative istituzionali di accesso e conduzione delle attività non hanno certo giovato a una serena laboriosità creativa. Nonostante il continuo richiamo a una normalità riconquistata, ciò che stiamo tutti vivendo, artisti, operatori e pubblico è quanto più distante dalla prassi pre-covid. È giusto quindi porsi una serie di questioni in cui, partendo dall’esperienza passata, provare ad affrontare e immaginare un futuro
Come si sopravvive al distanziamento e alle chiusure? Cosa è rimasto al netto di ciò che si è perduto? Quali strategie si sono attuate per poter tenere vivo il rapporto e la comunicazione con i propri fruitori? Come è stato possibile creare delle opere in queste condizioni? Come lo Stato e la politica hanno inciso, se lo hanno fatto, sulle chance di sopravvivenza? Quali esperienze si sono tratte da quest’esperienza? Queste sono le domande che abbiamo posto ad alcuni artisti ed operatori dedicati a svolgere la propria attività sul confine dell’impero, non al suo centro, al servizio di un pubblico distante dai grandi luoghi di cultura e per questo bisognoso perché abbandonato.
Puoi raccontarci brevemente come è stato abitato lo spazio (o attività artistica) che conduci in questi ultimi due anni a seguito del susseguirsi di lockdown, zone rosse e distanziamenti?
Dopo un primo periodo di stordimento, in cui un po’ tutti “nuotavamo a vista”, verso l’estate del 2020 era prevalente un pensiero dinamico: “Questa pandemia sarebbe stata la goccia che finalmente avrebbe fatto crollare un sistema che ormai era arrivato alla sua fine (sia nello specifico del contesto teatrale che di quello politico – economico in generale) e quindi la visione del “mai nulla sarà come prima”, ci faceva sentire l’urgenza di far crescere l’impegno creativo per un rinnovamento totale. Abbiamo portato avanti l’attività in luoghi aperti con progetti che mettessero in evidenza tale bisogno. Cassandra Venti venti è un testo che ho scritto e messo in scena stimolata da questa esigenza di ricapitolazione. Quando le restrizioni si sono fatte più opprimenti, le incongruenze amministrative palesi e la paura aveva creato nella comunità relazioni basate sul sospetto, abbiamo strategicamente scelto “l’illegalità” quella che poi è stata definita disobbedienza civile. Per cercare di dare continuità a quella scintilla creativa di rinnovamento, ci siamo assunti la responsabilità di proseguire con la nostra programmazione artistica per tutti, senza alcuna discriminazione. Abbiamo rischiato, ma la risposta da parte della comunità è stata favorevole. Anche in questo caso sentivamo di potercela fare. Gli ultimi avvenimenti, il fortificarsi del pensiero unico e il reiterato lavaggio delle menti già impaurite da parte del Gotha governativo ci ha fatto vacillare, ma non fermare. È inverno, i luoghi all’aperto non sono utilizzabili, ma abbiamo trovato comunque degli spazi alternativi, abbiamo trovato nuove collaborazioni, e questo dopo un po’ di anni che non programmavamo più la stagione invernale. Ancora non sappiamo a cosa andremo incontro ma siamo decisi a proseguire.
In tutto questo è importante ricordare che i ristori, le contribuzioni che il ministro dei beni e delle attività culturali Franceschini ha stanziato, proprio per poter tener fronte alle mancate entrate per le limitazioni delle attività, ci hanno aiutato a resistere.
Verso quali direzioni si è puntata la tua ricerca e attività a seguito di questo lungo periodo pandemico che non accenna a scomparire dal nostro orizzonte?
Come ho già accennato, le problematicità portate da questa pessima gestione della pandemia, sono entrate come tematiche fondamentali nelle nuove produzioni e soprattutto nella progettazione dei laboratori per l’infanzia. In questi ultimi la proposta si è fondata sulla ricerca del pensiero tondo, per stimolare nei ragazzi una visione delle cose da più punti di vista, uno sguardo che si muove per poter cogliere l’intero.
Le istituzioni come sono intervenute nell’aiutare la vostra attività in questo stato di anormalità? Non parlo solo di fondi elargiti, anche se ovviamente le economie sono una parte fondamentale, ma anche di vicinanza, comprensione, soluzioni e compromessi che abbiano in qualche modo aiutato a passare la nottata.
Con le istituzioni locali abbiamo da subito cercato una relazione costruttiva e di dialogo che è sempre stata accolta con favore. In ogni occasione abbiamo trovato il modo di palesare le nostre difficoltà e quando è stato possibile siamo stati aiutati e sostenuti. Non è mai stato mandato un controllo come, ahimè, in altri comuni è stato fatto pesantemente. La loro fiducia nel nostro senso di responsabilità ci ha sempre permesso di realizzare i nostri progetti.
Quali sono le strategie messe in atto al fine di mantenere un legame con il tuo pubblico?
Le strategie non sono mai cambiate. La cura con cui scegliamo e realizziamo i vari progetti, la trasparenza del nostro operato e l’accoglienza con la quale invitiamo il pubblico alle nostre manifestazioni.
Quali sono le tue aspettative per il futuro anche a seguito della pubblicazione del nuovo decreto per il triennio 2022-2024 dove non si contemplano più stati di eccezionalità legate alla pandemia?
Noi come associazione non facciamo parte del FUS e non abbiamo contribuzione ministeriale. Non mi è chiara la visione di quel che sarà, ma come sappiamo ogni ombra ha la sua luce, luce che noi ci impegneremo a seguire.
Posto che il decreto è già uscito e quindi determinerà nel bene e nel male la vita della scena italiana per i prossimi anni, secondo la tua opinione, cosa non si è fatto, o non si è potuto fare, in questi due anni per mettere le basi per un futuro diverso per il teatro italiano?
Purtroppo questo è il vero punto dolente di questo lungo periodo. Si è caratterizzato come un tempo di divisioni e contrapposizioni. ed è venuta a mancare quasi completamente, fatta eccezioni di qualche piccolissima realtà, la capacità di incontrarsi e fortificarsi su istanze comuni. Quelle aspettative che sentivo possibili all’inizio, per ora non si sono realizzate, anzi forse si è evidenziato un ulteriore chiusura di ogni realtà in se stessa. I grandi teatri continuano ad accentrare su di sé i fondi e le attenzioni; i piccoli, sempre più piccoli, sono ancora più invisibili e per niente promossi. Credo che l’aspetto più agghiacciante di tutta questa storia, sia proprio la determinazione con cui si vogliono annichilire le diversità e la pluralità, di conseguenza la cultura. Il lessico si restringe, e quando mancano le parole per argomentare i propri pensieri, pigramente ci lasciamo guidare da quelli altrui, senza convinzione. Questo dal punto di vista del “mondo grande”. Nel microcosmo la visione è più positiva. È grande la coscienza del “giogo” che ci frena. È grande la coscienza del “gioco” che ci chiama, completamente nuovo, tutto da scoprire per rinnovare la nostra vita creativa.