ELENA ZETA GRIMALDI | Si usa dire che nessuna lotta possa esentarsi da quella femminista perché la lotta contro l’oppressione del patriarcato racchiude in sé i connotati di ogni lotta contro ogni oppressione. Un po’ dappertutto sentiamo parlare di questione femminile, trattata spesso con un certo distorto estremismo che tende a isolare la violenza sulle donne da altre oppressioni che ricalcano comunque lo stesso schema di pregiudizio, sfruttamento e sopraffazione, finendo, di fatto, con il depotenziarne la carica politica.
Per fortuna, il Teatro può ancora venirci in aiuto – potentemente, inaspettatamente – e riallacciare quelle connessioni apparentemente tranciate tra piani della realtà (e della società, in questo caso) e che possono darci spunti di riflessione per rimettere continuamente in discussione il presente.
Antigone screaming, ultimo spettacolo della compagnia palermitana Suttascupa guidata da Giuseppe Massa che ne firma la regia e, in coppia artistica ormai consolidata con la scrittrice Ubah Cristina Ali Farah, anche la drammaturgia, riesce a tirarsi fuori dal trito e ritrito che spesso annebbia le dissertazioni sul tema, utilizzando la prospettiva femminile per aprire un varco molto più ampio.
Nella sala dello Spazio Franco ai Cantieri della Zisa si entra nella bolla di una storia già iniziata, ci si sente quasi invasori di un’intimità altrui, viene da muoversi in punta di piedi, intravedendo quelle donne-soldato che si muovono strisciando sulle ginocchia e producendo un rumore avvilito, oppresso, abituato, che ci accompagna nel prendere posto. Le loro divise post-apocalittiche – rosa shocking con anfibi, elmo, e ginocchiere ormai consumate – squarciano il nero dello spazio, mentre orbitano – chissà da quanto tempo – intorno a due piedistalli dove si ergono statuari i corpi di Eteocle e Polinice, ricoprendo il primo di creta e fiori, il secondo di sputi e insulti.
Un breve prologo ci informa che il loro compito è vegliare il corpo del traditore Polinice che, per ordine di Creonte, deve restare senza sepoltura, mentre introduce e fa detonare al contempo il cliché femminile: «‘u figghiu è comu l’amante o è l’amante ‘u figghiu chiù prezioso…? E chi ni sàcciu iu?» (il figlio è come l’amante o è l’amante il figlio più prezioso…? E che ne so io?).
Le donne stanno compatte, si muovono in gruppo con il cadavere del traditore sulle spalle, ma di volta in volta, di battuta in battuta, ogni singolarità si stacca con la sua carica di personalità, gestualità, lingua. Il cast è infatti formato da donne e ragazze di diversa etnia, ognuna con la sua espressività, con la sua lingua madre che diventa essa stessa segno che, seppure non sempre compreso letteralmente, non inceppa la cognizione del dialogo collettivo ma, al contrario, la amplifica.
Hanno molto da dire e da ridire, su Polinice che ha tradito, su Creonte che vuole comandare anche la luna, su Tiresia, «chidda… chiddu… chidd* cu l’asterisco, chidd_ cû trattino» che impunemente può spogliarti con i suoi occhi ciechi, ma anche sull’eroe della patria Eteocle: in fondo sono tutti colpevoli di arrogarsi il diritto di essere eroi, santi e comandanti sulle spalle degli altri, che finiscono inevitabilmente per subire le conseguenze della loro sete di potere, sia in guerra sia nella pace sociale ristabilita a suon di ordinanze.
In questo battagliare a colpi di parole ci si muove in equilibrio sul filo del pop: a tratti le donne sembrano quasi macchiette degne del più frenetico cartone animato, con i contorni disegnati a pennarello dalle luci nette che le lanciano fuori dal buio; poi tutto sfuma nel chiaroscuro della notte e si aprono parentesi di intima riflessione lanciando sfide alla luna mentre la coriacea cadenza del palermitano ci àncora al terreno e le lingue straniere aprono i confini al discorso, creando contrappunti di ritmi, emozioni, atmosfere.
Nella foga dei dialoghi appesantiti dal caldo dell’estate, la verità del popolo dipinge la banalità del potere in tutte le sue sfumature, senza che mai si abbia la sensazione che solo di condizione femminile si parli: anche quando si raccontano, fuor di metafora, le violenze fisiche e psicologiche subìte dal marito, la sensazione è che quel marito sia solo l’incarnazione del potere, un oppressore come un altro, un marito come un re, un re come un sistema.
E il sistema dell’oppressione ti stritola, ti deforma, la sofferenza ti rende animale e, alla fine finisci per ricalcare quello contro cui combatti, svilendo il corpo del traditore già abbondantemente oltraggiato con grottesche foto di gruppo che ricordano le inumane immagini dei militari in Afghanistan che posavano con le vittime delle loro torture.
Sebbene il titolo dello spettacolo si riferisca a lei, Antigone appare solo quando il serpente si è ormai morso la coda, in un finale che trancia di netto l’illusione di un’inversione di rotta, tanto distopico quanto amaramente ricalcante la realtà, che non ascolta che per qualche istante le sue urla di dolore per l’umanità.
Antigone screaming riesce a innescare quella «acronia» che Christa Wolf premette alla sua Medea, rende «le pareti dei tempi […] molto vicine tra loro». Partendo dai tratti universali del mito, lo carica di cronaca e di riferimenti al presente, lo specializza, riuscendo però a manipolarlo con tale delicatezza da renderlo un nuovo punto di partenza dell’universale, qualcosa che ha ancora molto da dire anche quando ha finito di parlare.
ANTIGONE SCREAMING
compagnia Suttascupa
di Cristina Ubah Ali Farah e Giuseppe Massa
regia Giuseppe Massa
costumi Giulia Santoro
suono Giuseppe Rizzo
luci Michele Ambrose
con Chadli Aloui, Rim Amar, Giada Baiamonte, Daria Castellini, Ilenia Di Simone, Fatoumatta Drammeh, Tawoos Idrees Hasan, Marco Leone, Valeria Sara Lo Bue, Ylenia Modica, Caterina Terry, Happiness Ugiagde
realizzazione costumi Gabriella Magrì
realizzazione scenografia Athnasuos Abdalla
assistente alla regia Giovanni Fardella
assistente alla produzione Paolo Di Piazza
dramaturg laboratorio di scrittura Vincenza Di Vita
con la partecipazione di Antonio Alaimo, Chadli Aloui, Leslie Assie, Veronica Bonaceto, Francesca Castellino, Silvia Di Blasi, Elisabetta Errante, Alessandra Leone, Max Modeste Mondow, Vera Mormino, Alessandra Puccio, Rosellina Segreto, Happiness Ugiagde, Vincenzo Viscardi
Spazio Franco, Palermo | 26 novembre 2021