RENZO FRANCABANDERA | Per i quarantenni (e oltre) di oggi, sicuramente Luca Persico è un’icona. Forse più facile ricordarlo con il nome con cui si faceva chiamare da frontman dei 99 Posse: ‘O Zulù. Un musicista che ha segnato, con il suo rap, nel tempo dei centri sociali di fine anni Ottanta e degli ultimi grandi sussulti dei movimenti giovanili ideologici, un’epoca ma anche uno stile, una possibilità di vita oltre gli schemi.
Dopo quegli anni folgoranti è seguito un percorso di vita complesso, come d’altronde nell’indole della persona, senza vie di mezzo.
Provando durante il tempo della pandemia a rileggere il suo vissuto, Persico è così entrato a diretto contatto con il linguaggio teatrale e ha affidato al regista Pino Carbone il compito di portare in scena una sua scrittura originale.
Il regista napoletano, classe ’78 e diplomatosi all’Accademia del Teatro Bellini di Napoli, ha lavorato negli anni ad allestimenti di drammaturgie che hanno spaziato dal classico al contemporaneo ed è stato tra i registi-guide del progetto Arrevuoto a cura di Marco Martinelli e Maurizio Braucci, collaborando poi anche a diversi progetti di teatro per le case di detenzione.
Nel 2014 ha vinto il Premio Landieri per il valore civile, con lo spettacolo Il contratto di Eduardo De Filippo e il Premio By-Pas con lo spettacolo Luci della città/Stefano Cucchi. In queste ultime stagioni ha curato le regie di Muhammad Alì (spettacolo di Pino Carbone e Francesco Di Leva; drammaturgia Linda Dalisi in tournée 2019\20) e Assunta Spina da Salvatore Di Giacomo. È stato uno dei registi cui Antonio Latella ha dedicato una monografia all’interno del programma delle Biennale 2019, a tema Drammaturgie.
E arriviamo quindi al 2021, l’anno di Ridire, spettacolo in cui rinsalda la collaborazione con quello che è stato l’universo 99Posse, iniziata alcuni anni fa con Marco Messina.
Ridire è un viaggio autobiografico, la storia di un artista, ‘O Zulù ma, attraverso la sua vicenda personale, diventa un racconto generazionale, sociale e politico degli ultimi trent’anni di storia italiana.
In scena nello spettacolo, dal 15 gennaio al Laura Betti di Casalecchio (BO), con Zulù il violinista Edo Notarloberti e l’attrice Francesca De Nicolais.
Abbiamo messo assieme, in un’intervista doppia, Persico e Carbone, per raccontarci di questo spettacolo ma anche di questi anni, del motivo per guardarsi indietro e del farlo a teatro.
Trent’anni di storia condensata in un’ora. Perché farlo?
LP: All’inizio avevamo provato a raccontarli in 3 ore e tre quarti, ma i tempi teatrali si dilatavano troppo e così alla fine abbiamo trovato più giusto condensarli in un’oretta e un quarto circa. Scherzi a parte, abbiamo ragionato sulla questione teatrale e la divisione in atti: tre per tre decenni, un violino e un’attrice.
PC: Perché è forte la percezione che il viaggio sia unico. Che abbia una trama, a volte casuale, a volte no, ma ha una struttura, una storia che può essere raccontata. Ripercorrendo il viaggio nei 3 decenni, dal 1991 al 2001, sia a livello personale, sia e soprattutto quello della scrittura di Luca Persico, diventa facilmente drammaturgia emotiva, sonora, poetica. Le questioni tornano, sembrano ancora importanti, ancora urgenti.
Immagino vi siate chiesti anche perché non farlo. Cosa vi siete risposti?
PC: in verità io non me lo sono chiesto, mi ci sono immerso molto istintivamente. Certo ci sono state mille difficoltà, che è normale che un progetto artistico incontri, ma la convinzione di continuare non claudicava.
LP: Erano già circa tre anni che io e Pino (che già aveva collaborato con Marco Messina in altre avventure teatrali) ci annusavamo reciprocamente i fondoschiena alla ricerca dello stimolo giusto. Quando abbiamo capito la visione che stavamo avendo ci siamo detti esattamente queste parole: Se non lo facciamo adesso non lo faremo mai più».
Trent’anni fa cosa era per voi il teatro? Che cosa è oggi nel complesso incastro delle vostre vite.
LP: Trenta anni fa la mia vita era puro teatro e il teatro era uno di quei mondi che mi attraevano e al tempo stesso un po’ mi spaventavano. Non ci andavo quasi mai, e oggi mi ritrovo a muovermi in un teatro per raccontare il complesso incastro tra Luca, Zulù e Mr. Hide, la mia vita vera, le mie parole più importanti. Inoltre, questa nuova “formula teatrale” ci ha salvati tutto sommato e, personalmente, il fermo di questi anni di pandemia mi ha costretto a scrivere a ri\pensare, a RIDIRE anche la “costrizione” del pubblico seduto (siamo in teatro e non in una sala o in un club), lo obbliga\ci obbliga al “lavoro sulla Parola e basta”. Da fermo, ho avuto l’opportunità di aprirmi al linguaggio teatrale e a questa avventura. Il rap le mie parole che si riguardano nello specchio del teatro
PC: Trent’anni fa era una eccitazione, una voglia di farlo a tutti i costi, una continua sorpresa, uno strumento per ascoltare e dire cose che ritenevo importanti. Era la strada che avevo scelto e deciso, senza neanche immaginare un’alternativa. Oggi è un più maturo e consapevole e continuo tentativo di farlo essere quello che era trent’anni fa. Cambia la forma, cambiano le condizioni, le motivazioni, le urgenze, cambiano gli stimoli che arrivano nel bene e nel male dall’esterno, ma in sostanza la logica è la stessa.
Inutile non considerare la presenza di Luca come un tema anche iconico rispetto alla scena culturale italiana di allora e che, come parte di quel momento di grande esplosione del sentire collettivo, ha poi conosciuto anche un momento di crisi. Come si intreccia il personale all’artistico in questa storia?
LP: Cito una parte del testo dallo spettacolo: «… tengo na’ carta che dice che tendo a comportamento antisociale. Dicono che il personale è politico ed il mio politico è assai personale».
Per ulteriori delucidazioni temo vi tocchi venire a teatro, perché il tema è proprio questo intreccio.
PC: Li trovo più che intrecciati. “Il politico è personale” lo scrive lui stesso e lo dice. Nel teatro e nella drammaturgia riconosco questo tipo di approccio trasformato in atto artistico, solo nel personaggio di Cyrano.
In che modo e quanto siete il vostro passato? In che modo, oggi, per voi, la vostra storia, nel bene e nel male, si fa presente?
LP: Rivendico e rifarei ogni singolo passo, soprattutto quelli sbagliati, e oggi è proprio attraverso la mia testimonianza che questa storia nel bene e nel male si fa presente. «Non cambia mai niente di così rilevante in mezzo a tutto sto futuro che chiamate presente».
PC: Sono un accumulatore seriale. Tendo a non buttare nulla di quello che incontro, che trovo, che mi capita. Quindi somiglio molto al mio passato, che poi somiglia in maniera preoccupante al mio presente. Per fortuna.
È uno spettacolo con dentro un po’ di nostalgia? Come spiegare a un giovane della generazione tik tok cosa potrebbe vedere? Come questi trent’anni che vi siete caricati addosso dialogano con l’oggi, il presente giovane?
PC: Non mi pare ci sia nostalgia. Può anche darsi che qualcuno guardando e ascoltando lo spettacolo la senti, ma io no. È un lavoro questo che mette in contatto con la propria percezione, è un viaggio personale che innesca altri viaggi personali. Il rapporto con la nuova generazione, che non ha vissuto questi trent’anni, è per me una questione aperta. Da un lato so di aver assecondato e contribuito a non farlo essere un racconto datato, e dall’altro per capirlo meglio aspetto sempre le reazioni di una generazione che però fatica intanto ad andare proprio a teatro, per colpa più nostra che loro. Ma la questione esiste quando ricordiamo le date. In realtà è la storia di un giovane con la voglia di dire, e di come tra mille avventure non diventa mai vecchio. O se succede, comunque continua a cavarsela. Per me è una specie di favola.
LP: Sono tre domande travestite da una. Nostalgia? Zero. Credo che la nostalgia sia forse l’unica emozione assente in questo viaggio.
Al giovane tiktoker direi tipo…: «Ti porto nel passato so’ la macchina del tempo, ti porto nel futuro con un pezzo d’altri tempi, ti porto nel passato perché non mi costa niente, ti porto nel futuro perché ci so’ passato e so’ trent’anni che lo tengo presente».
Questi trent’anni oggi sono proprio il mio presente giovane!
D’altra parte, non sono altro che un giovanissimo autore e interprete teatrale agli esordi.
RIDIRE
Parole a fare male
di Luca Persico
spazio scenico e regia Pino Carbone
con Luca Persico (‘O Zulù), Edo Notarloberti, Francesca De Nicolais
musiche Edo Notarloberti
costumi Rita Russo
produzione Musica Posse Sas Di Diego Magnetta & C.
in collaborazione con Progetto Nichel