LORENZO CERVINI | La vicenda De Filippo emerge dalla storia dello spettacolo italiano nella sua unicità prima partenopea e poi nazionale.
Il teatro dialettale di Scarpetta e le successive avventure sperimentali del trio di Eduardo, Titina e Peppino indicano un punto di fusione critico: è il graduale scivolamento dell’inchiostro del reale nella scena.
Il teatro napoletano di inizio Novecento è un pentolone in cui marinano le carni di un nuovo canovaccio popolare. Ancorate ai limiti del possibile, le farse si alimentano rubando dalla vita tutte le assurdità, le strane coincidenze e gli angoli bui. Eduardo De Filippo sintetizza tradizione e avanguardia in un linguaggio che ispirerà il cinema neorealista negli anni a seguire.
Negli intermezzi del cinematografo, il trio teatrale inscena i primi lavori di successo e nelle sale ritorna a quasi un centennio di distanza con i lavori di Mario Martone e Sergio Rubini.
I due film, Qui rido io e I fratelli De Filippo, si appropriano del racconto della vita degli Scarpetta e dei fratelli marcando la comunione di esibizione e autenticità in questo microcosmo in cui il teatro è impresa a gestione familiare.
Riscatto è la parola che può sintetizzare l’intenzione narrativa e progettuale dei due lavori di Martone e Rubini: riscatto legislativo e di nome per Scarpetta e riscatto familiare e di orgoglio per i tre fratelli.

Frammenti cinematografici introducono le due storie, per fornire contesto e comparazione.
1897: il Vesuvio intravisto dal porto, carrozze e bambini corrono davanti all’occhio della camera. In Qui rido io le immagini sono dei Lumière. Nei primi cinque anni del nuovo secolo le inedite tecnologie fotografiche si diffondono nelle maggiori città europee raggiungendo anche Napoli.
Scarpetta, uno dei più conosciuti commediografi partenopei, prontamente assimila nel suo repertorio i nuovi influssi delle arti e porta in scena, nel 1904, una parodia de La figlia di Iorio di Gabriele D’Annunzio.

1931: uno dei primi cinematografi trasmette le grandi pellicole hollywoodiane. Due giovani Clark Gable e Carole Lombard si riuniscono in un abbraccio dopo il ritorno di “Babe” (Gable) dal carcere. Al Teatro Kursaal, il 25 dicembre, il trio De Filippo esordisce nella prima di Natale in Casa Cupiello e dietro lo schermo si prepara la tavola prima dell’apertura del sipario.
L’apertura del sipario è il motivo visivo che scaglia la storia dei De Filippo indietro di trent’anni. Il lungo flashback raggiunge il finale, ripercorrendo l’infanzia, i primi fallimenti e le controversie familiari del trio. Ne I fratelli De Filippo, l’occhio balza da viso a viso, scrutando le espressioni, spiando nelle case. Anche quando l’inquadratura prende spazio, le scene sono di quotidianità, di esplorazione sentimentale. Il punto di vista è quello di uno spettatore in platea e la camera ne mima i movimenti.

Toni Servillo in Qui Rido Io. Fotografia di Mario Spada.

Un primo piano non può contenere l’ingombrante ombra di Scarpetta. Istrionico, eccessivo, magnifico, Scarpetta è visto in cima all’orizzonte della costa napoletana, a capotavola dei banchetti della villa, direttore d’orchestra in una sala piena di persone venute solo per lui.
Sua eccellenza, donsignore, padrone, questi i titoli che gli sono attributi dai suoi familiari, dagli attori della sua compagnia, dai concittadini. Perfino i suoi figli, i De Filippo, concepiti al di fuori del matrimonio ufficiale, lo chiamano zio.
Nei momenti in cui si chiude lo sguardo emergono tutte le contraddizioni della figura dell’impresario: il suo ristretto circolo lo guarda dal basso, è una forma di rispetto che lui esige come moneta di appartenenza alla casata Scarpetta.
Un rispetto che non gli viene concesso nell’ambiente artistico italiano.

Questo scontro con il panorama nazionale è la scintilla d’azione delle due vicende.
“In nome di quella concordia artistica che ci vede tutti quanti affratellati” la società degli autori denuncia Scarpetta di plagio. Ma non è la copia la matrice dell’accusa, bensì l’abbassamento derisorio della sublime tragedia del sacro D’Annunzio che infastidisce gli intellettuali. Bonario, privo di violenza, il teatro dialettale delle maschere è valutato come soffio vano rispetto all’impegno sociale.
“Si fanno chiamare teatro d’arte come se io non fossi un’artista”, risponde Scarpetta che privato di qualsiasi merito, riesce a ottenere giustizia in sede di Corte con l’eco di una sala di tribunale che lo asseconda ridendo.

Mario Martone ne I fratelli De Filippo.

Un altro nome d’intellettuale si intreccia, a distanza di diciassette anni, con la famiglia Scarpetta: Eduardo De Filippo assiste a Sei personaggi in cerca d’autore e ne rimane fulminato. Stanco delle vecchie commedie di suo padre abbandona la casa per Milano.
In queste breve viaggio comprende la via per restituire al popolo una versione della drammaturgia iniziata da Pirandello. Di fronte agli eccessi stravaganti della grande città Eduardo rivaluta la vitalità dello scenario della sua patria natale: “un teatro antico, sempre aperto”.
Questa via gli fornisce l’iniziativa necessaria per tagliare la connessione soffocante con la vecchia casata, trasportando i suoi due fratelli prima in Sicilia poi di nuovo a Napoli, dove stabilisce il nome dei De Filippo.

Nazione e paese, parentela e connessione fraterna, su questi due binari di grandezza diversa la risonanza dei due film. È una storia privata che involontariamente si ripercuote sull’ambiente in cui agisce. Martone e Rubini restituiscono un’atmosfera che avvolge perfettamente l’espansione di queste due storie, consecutive e uniche.
Martone offre un paesaggio vasto, composto da un popolo intero. Musiche della tradizione partenopea con testi antichi e moderni, cantate a corda, vistosi costumi, apparizioni di personaggi storici (prima D’Annunzio, poi Benedetto Croce), luci di candela e calde serate stellate.
Rubini estrapola dalle testimonianze un racconto privato, casalingo. Attori esordienti e grandi nomi del cinema italiano, un guardaroba verosimile, illuminazione naturale dalle finestre, il sole riflesso sul pavimento brulicante del borgo di paese. Nicola Piovani costruisce una colonna sonora minimale, che richiama il suono storico popolare, suscitando un forte coinvolgimento emotivo .

Fotografie dei fratelli coronano i due finali. L’interruzione a metà della biografia dei quattro teatranti suggerisce una continuazione nel presente.
Documenti di ricordo: Qui Rido Io e I fratelli De Filippo imprimono, su pellicola, gli inizi dell’eredità artistica e la prima migrazione del lavoro Scarpetta/De Filippo al di fuori delle restrizioni geografiche e ideologiche in cui era recluso il teatro napoletano.
È il riconoscimento di una battaglia contro le istituzioni culturali che simpatizzano con i poteri, una conquista di posizione legittima della rappresentazione sociale a teatro.
Luisa De Filippo, prima amante e poi madre, riguarda al palco con coraggio. La sua figura non protagonista risulta paragone importante nella descrizione della rivincita. Solo dopo anni le verrà riconosciuto un ruolo all’interno della famiglia Scarpetta, allo stesso modo in cui l’influenza della drammaturgia dei De Filippo nelle arti verrà riconosciuta nel dopoguerra.
Il richiamo nostalgico di questo passato vuole essere ispirazione attuale per la scena, augurando che si riproponga una materia viva come quella neorealista.

QUI RIDO IO
un film di Mario Martone
con Toni Servillo, Maria Nazionale, Cristiana dell’Anna, Antonia Truppo, Roberto De Francesco, Lino Musella, Paolo Pierobon
con Gianfelice Imparato
e con Iaia Forte
uan coproduzione Italia – Spagna prodotta da INDIGO FILM
con RAI CINEMA
in coproduzione con TORNASOL

I FRATELLI DE FILIPPO
un film di Sergio Rubini
con Mario Autore, Domenico Pinelli, Anna Ferraioli Ravel, Biagio Izzo, Susy Del Giudice
con la partecipazione di Marisa Laurito, Marianna Fontana
e con Maurizio Casagrande, Giovanni Esposito, Nicola Di Pinto, Augusto Zucchi, Lucianna De Falco
e con la partecipazione di Maurizio Micheli, Vincenzo Salemme, Giancarlo Giannini
prodotto da Maria Grazia Saccà, Agostino Saccà, Marco Balsamo, Pietro Peligra
una produzione di Pepito Produzioni, Nuovo Teatro, RS Productions, RAI CINEMA