RENZO FRANCABANDERA | Giulio meets Ramy/Ramy meets Giulio: qui si parla di un incontro. O almeno è quello che nel titolo, elemento cruciale di una creazione, prospettano allo spettatore Valeria Raimondi e Enrico Castellani, ovvero i componenti del sodalizio artistico e di vita che da oltre un decennio va sotto il nome di Babilonia Teatri.

foto Eleonora Cavallo

La produzione del Teatro Metastasio di Prato, istituzione fra le più sensibili in Italia per il sostegno al linguaggio contemporaneo e alla autoralità indipendente, ha avuto origine nella volontà degli artisti di comporre un ragionamento intorno alla scomparsa di Giulio Regeni, avvenuta al Cairo il 25 gennaio 2016.
Sono passati sei anni, la Storia nel frattempo ci ha messo di fronte a sfide e dilemmi che sono sotto gli occhi di tutti e che ancor più ci costringono a fare i conti con tematiche connesse alla libertà dell’individuo, alla libera espressione del pensiero nella società, alla struttura che le nazioni hanno scelto per governarsi, all’uso della forza da parte dei potenti per mantenere il potere, al conflitto per il cambiamento, fino ad arrivare, in profondo, al senso della presenza umana sul pianeta, al distruttivo equilibrio di coesistenza fra la nostra specie e l’intero ecosistema terrestre.
Affrontare questi dilemmi, che da sempre accompagnano le riflessioni dei pensatori e degli artisti, è un esercizio tanto ripetuto nei secoli da lasciar riflettere: da quando il consesso umano è diventato stanziale e ha dato vita alle più diverse forme di volta in volta scelte per la convivenza, le questioni legate all’esercizio della violenza per il potere da parte di chi lo detiene sono rimaste sostanzialmente identiche.
Sono passati imperi, forme feudali, sistemi di produzione che dall’agricoltura sono arrivati alla digitalità, ma la meravigliosa, e invero anche miserabile, natura umana fornisce spesso risposte identiche a quelle che portarono Socrate a bere la cicuta.

In questo spettacolo si riflette un po’ su tutte queste cose, attraverso il racconto della vita, in particolare degli ultimi dieci anni, di Ramy Essam, una delle voci più conosciute della primavera araba in Egitto, popolarissimo sui media per la sua attività come cantautore della protesta, ma costretto dal 2014 all’esilio perchè sulla sua testa, proprio per via di questa pericolosissima e letale attività canora, pende addirittura un mandato di cattura per terrorismo.

foto Eleonora Cavallo

È invero la dimostrazione di come a volte una canzone possa valere mille colpi di fucile, di quanto la libertà di espressione sia una delle questioni cruciali connesse al rapporto fra società e potere: da questo punto di vista, la vicenda dell’artista si connette, seppur in modo totalmente ideale nel tempo e nello spazio, a quella del ricercatore italiano, ucciso in Egitto da figure riconducibili all’entità statale, per le sue ricerche sulle aree del dissenso politico.

Cosa succede qui in scena? Di fatto, nell’ora e mezza circa di spettacolo, apparentemente assistiamo per larghissima parte a un recital canoro di Essam, che porge al pubblico, con accorata enfasi e dettaglio autobiografico, le canzoni da lui composte negli anni. Il percorso di vita dell’uomo, le cui qualità vocali sono invero rimarchevoli, si attorciglia alle questioni sottostanti gli interrogativi esistenziali legati al rapporto con la sua terra lontana, partendo dai video delle sue canzoni cantate da migliaia di persone durante i concerti tenuti quando, giovanissimo, era ancora nella sua terra, o le nuove, i cui video rimandano, in un ambiente emotivo più nostalgico, ai conflitti repressi nel sangue fra le giovani generazioni e i potenti al governo.
Raimondi e Castellani sono, volutamente, a margine di questa narrazione e intervengono solamente in un paio di circostanze: la prima volta è all’inizio, quando viene letto e videoproiettato un discorso sui motivi di questa creazione, sull’evocazione per assenza della vicenda del ricercatore italiano, mai chiamato in causa durante la messa in scena, se così si può chiamare l’evento live cui assistiamo; la seconda è nel presentare un video dedicato a un videomaker, collaboratore di Essam, tragicamente scomparso.
Sul palcoscenico non c’è nulla, tranne il telo a fondale su cui vengono proiettati i video delle canzoni dell’artista con i testi tradotti, e altre immagini riferibili sempre al vissuto autobiografico narrato.
Unici segni sono alcuni palloni da calcio che a un certo punto cadono dal soffitto, e alcune parole che Essam traccia col gesso illuminato da coni di luce che poi si spengono. Interrogativi riassorbiti dal buio.

Giulio meets Ramy per un verso emoziona lo spettatore, mettendolo di fronte a una complessa vicenda umana e politica, che non lascia indifferenti e in un certo qual modo commuove, perchè ci avvicina, nel percorso drammaturgico in cui le parole e le canzoni si succedono, anche alla solitudine di Essam, costretto all’esilio, come molti migranti esiliati dalla loro terra per i conflitti politici che si rivolgono alla terra di origine con un struggente nostalgia che plasma le loro identità. La nuova terra, anche quando ospitale, quasi mai li accoglie in modo organico e integrato, ammesso che sia possibile per un seme di papiro, vissuto per venti e più anni sulle rive del Nilo, rigermogliare con lo stesso vigore e dialogo con l’ecosistema circostante nella tundra scandinava.
Sul piano della costruzione artistica, però, Giulio meets Ramy ci mette a confronto anche con alcune questioni che Babilonia Teatri stava già indagando da alcuni spettacoli e che riguardano per un verso la funzione registica, per altro il ruolo dello spazio creativo e della rappresentazione di vicende umane, più o meno composite.

foto Eleonora Cavallo

Il percorso di Babilonia Teatri, iniziato alcuni anni fa in una formazione più ampia, dal momento in cui ha visto il compattamento del sodalizio attorno alla coppia Raimondi-Castellani, ha iniziato a dare una lenta ma inesorabile accoglienza a presenze, vite, storie, “ospitate” a vario titolo durante il momento spettacolare.
I due performer e registi in molti di questi lavori erano in scena, apparivano per piccoli tratti, facevano comunque parte del gruppo che lo spettatore vedeva agire, ma nelle ultime creazioni questo ruolo si è modificato e anche ridotto in modo significativo.
Pensiamo alla ponderazione di questi elementi in creazioni come Calcinculo fino ad arrivare all’assenza fisica in Natura morta presentato a Bassano nel 2020, e agli ultimi Romeo e Giulietta, interpretato dal duo Gassman-Pagliai, Mulino Bianco, affidato a bambini, fino a Giulio meets Ramy.
Per anni i due sono stati protagonisti anche in scena delle loro creazioni, ma negli ultimi la presenza di Castellani e Raimondi si è via via diradata, per assumere più le caratteristiche di una presenza registica, kantoriana, lì a muovere dall’interno, a vista, la meccanica teatrale, come accade in Giulio meets Ramy.
Sul palco, invece, sempre più spazio viene lasciato a umanità altre, ritenute di volta in volta emblematiche per il proprio tratto biografico (era il caso degli allevatori di cani in Calcinculo, o dei body builder di Natura Morta) o autobiografico, come nel Romeo e Giulietta e in quest’ultimo.
Significativo come, sia in Romeo e Giulietta che in Giulio, si sia rivolto lo sguardo all’esperienza e al vissuto di altri artisti, dirigendoli nell’autonarrazione in un ambiente scenografico connotato dalla presenza di oggetti pop, iconici, simbolici, accumulatori di senso, che sono sempre stati una cifra estetica di Babilonia.

In Giulio meets Ramy l’artista ospita di nuovo l’artista, abdicando per larga parte anche al ruolo autorale, cedendo dunque la scena in modo ampio.
Se non fosse per piccoli inserti di presenza scenica di Castellani e Raimondi – che tuttavia dal punto di vista della consistenza hanno la portata del sottotesto, della spiegazione dell’operazione per grandi linee – si potrebbe dire che qui Babilonia Teatri arrivi all’azzardo di portare il prodotto teatrale fino al confine con l’involucro concettuale, all’interno del quale ospitare un altro artista con il suo pensiero, il suo vissuto.

Si spinge così al massimo grado il tema del biografico come pretesto della creazione scenica, e così pure la disputa del teatro come luogo della autoralità, che in Ramy meets Giulio ci porta a interrogarci anche su chi sia l’autore dello spettacolo, se il duo italiano che lo ha pensato e organizzato e imbastito per grandi linee, o il cantante egiziano di cui si assiste per quasi tutto il tempo al recital canoro.
Sicuramente siamo oltre la regia in senso tradizionalmente inteso.
Non è mai chiaro se il recitato testuale affidato a Ramy Essam fra una canzone e l’altra (la cui traduzione viene favorita con il simultaneo di Amani Sadat), sia copione o discorso autobiografico libero, seppur incentrato su alcuni elementi prestabiliti e ordinati.
Dunque una sorta di atto politico dentro il teatro, che ne sfrutta le potenzialità riferibili a un codice che in questi anni è stato proprio portato a sviluppare tali contraddizioni, in cui la regia diventa, al più, principio ordinatore di elementi pre-esistenti.
Insomma se la Abramovic affermava la questione della presenza dell’artista quale tema enfatico dell’atto performativo – come nel celebre The artist is present – Babilonia Teatri pare andare nella direzione del the artist could be present: potrebbe, ma non è detto. Lo scopriremo quando entreremo in sala.
Già Raimondi e Castellani avevano fin dagli esordi iniziato la loro ricerca (all’epoca con Ilaria Delle Donne, da poco scomparsa) distruggendo il postulato del teatro come luogo della parola “recitata”, per spingersi verso una prosodia senza emozione.
Negli ultimi anni il duo è arrivato a un ulteriore passaggio, al teatro come museo dell’esistente, in cui il regista diventa quasi più curatore, assemblatore e ordinatore di esperienze da favorire allo spettatore: di volta in volta quest’ultimo paga il biglietto per entrare in una mostra a tema sull’umanità (almeno finora è stato così).
Ma a questo punto, in un contesto che evolve verso la disumanizzazione, non possiamo escludere nemmeno che nelle prossime creazioni l’umano sparisca. The human could be present.

 

GIULIO MEETS RAMY / RAMY MEETS GIULIO

di Valeria Raimondi e Enrico Castellani
con Ramy Essam, Enrico Castellani, Valeria Raimondi e Amani Sadat
direzione di scena Luca Scotton
produzione Teatro Metastasio di Prato