ROSSELLA PICCARRETA | Negli anni Cinquanta veniva proiettata nelle sale cinematografiche la pellicola cult  Blob – Fluido mortale, horror fantascientifico che ha ispirato prima il remake dell’88 e poi la sigla dell’omonima trasmissione televisiva di Rai tre. Nel film originale un mostro gelatinoso, proveniente dagli spazi siderali, invade, ingloba e distrugge chiunque entri in contatto con lui; nel remake il blob, non più creatura extraterrestre ma arma di guerra batteriologica, esce dalle fogne e attacca i militari, divorandoli tutti.

Assomiglia a quel mostro informe la melma putrida fatta di feci e rifiuti tossici che minaccia di traboccare dalle fogne e invadere l’umanità dolente di Miracoli Metropolitani, ultimo lavoro di Carrozzeria Orfeo, andato in scena al Kismet di Bari e ancora in tournée a Napoli nel mese di marzo. Eppure non siamo in un film dell’orrore. E il blob non proviene da lontani spazi siderali, ma è parto totalmente umano, risultato dei nostri disastri ambientali.  È l’ultima invenzione del drammaturgo e regista Gabriele Di Luca dopo le ciniche creature notturne, gli uteri in affitto e gli ovuli anali di marjuana di Animali da Bar, gli interni squallidi, lo spaccio di droga e i polli dalle ali tagliate di Thanks of Vasellina, gli eroi da roulotte, i ladri di bare e i traffici di reliquie di santi di Cous cous klan. La merda d’artista di Di Luca è il punto di partenza per una storia che somiglia vagamente per  degrado e squallore al film coreano Parasite di Bong Joon-ho. In entrambe le opere si trattano temi assolutamente attuali usando il registro stilistico della commedia noir. In entrambi, negli inferi metropolitani si muovono disperate creature del sottosuolo.
Nel film la vicenda si svolge in un sudicio appartamento seminterrato, qui siamo in uno scantinato, una vecchia carrozzeria dalle pareti scalcinate e ammuffite adibita a ristorante di cibo d’asporto per celiaci. Sulla scena (disegnata da Lucio Diana che ha curato anche le luci) c’è una cucina professionale perfettamente attrezzata con mobili di acciaio e fornelli realmente funzionanti da cui ci arriva lo scoppiettio dell’olio che frigge, gli odori, il vapore dell’acqua che bolle.

ph. Laila Pozzo

Una voce dalla radio in apertura di spettacolo annuncia il disastro imminente, mentre la luce sul palcoscenico si spegne e si accende e una minacciosa spia rossa indica il pericolo: «Sempre più tragica la situazione delle fogne (…), un torrente di liquami maleodoranti si è riversato in strada costringendo la protezione civile a evacuare due quartieri e allestire campi tenda per gli sfollati».
Nel film coreano i parassiti sono i componenti di una famiglia disagiata, qui, negli abissi di Miracoli Metropolitani, i «perdenti alla ricerca della propria verità» sono sette Sisifo che trasportano sulle spalle il loro personale masso esistenziale di desiderio e sofferenza: un cuoco, Plinio (Federico Vanni), ex chef che ha perso la sua stella Michelin, la sua compagna, Clara (Beatrice Schiros), ex lavapiatti e ora  imprenditrice cinica, schiava dei social network fasciata in un tailleur rosso (scelto da Stefania Cempini come tutti i costumi), Igor (Sebastiano Bronzato), il figlio di lei, un diciannovenne disturbato, ossessionato dal videogame Affonda l’immigrato, Patty (Elsa Bossi), la madre settantenne di Plinio, una ex brigatista, femminista sessantottina, sempre in giro per il mondo, pronta a lottare per qualunque causa ma incapace di avere un rapporto di prossimità e cura con suo figlio. E poi Hope (Ambra Chiarello), la tostissima lavapiatti etiope dal nome parlante che nasconde un segreto, la sua maternità, Mosquito (Pier Luigi Pasino), un carcerato che  svolge nella cucina lavori socialmente utili, ma sogna di fare l’attore e Cesare (Massimiliano Setti), il professore aspirante suicida con una storia tragica alle spalle e tanta poesia nell’anima.
Le loro vite si sfiorano e si incastrano senza compenetrarsi mai. Non c’è contatto. Tutto si consuma nel linguaggio, eterogeneo, multiforme, polisemantico. È un’umanità fragile e sofferente di «rifiuti umani», di loro si parla più che di «rifiuti ambientali». È «il racconto di una solitudine sociale e personale» in cui è evidente «il disfacimento di una società e lo sfascio delle relazioni», come afferma in un’intervista Beatrice Schiros, una delle attrici stabili della compagnia.

Il quadro cupo e disperato è surreale e distopico fino a un certo punto. L’idea drammaturgica nasce da un episodio di cronaca, un’emergenza realmente accaduta a Londra. La clausura e il cibo d’asporto ricordano la nostra reclusione forzata nel recente lockdown, in cui siamo stati quasi ostaggio nelle nostre case. Ma, oltre ciò, la bizzarra vicenda è, soprattutto, chiara metafora della nostra condizione esistenziale in un tempo storico dominato dal consumismo e dalle intolleranze purtroppo non solo alimentari.

Ben costruita la regia di Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi e Di Luca; coerenti e pertinenti le musiche costruite per lo spettacolo dallo stesso Setti; densissima la drammaturgia, che passa con naturalezza dal comico al tragico, dal turpiloquio alla poesia, dai grandi problemi di attualità al mito, dai classici greci a Camus. Non ci sono errori, buchi, pause. Tutto funziona in un perfetto meccanismo a orologeria come le scenografie, che avanzano e retrocedono elettricamente a raccontare lo scorrere del tempo. Scoppiettante il ritmo degli attori, tutti bravi, che si scambiano raffiche di battute divertenti eppure taglienti come bisturi.
Miracoli Metropolitani è uno spettacolo cupo e amaro, politico e impegnato in cui si parla di  razzismo, immigrazione, disastri ambientali, dipendenza dai social o dai videogiochi,  bullismo, violenza, sfascio delle famiglie, perdita dei valori. I temi di attualità si affastellano e si moltiplicano. Sono i temi ricorrenti e presenti in tutte le opere della compagnia. E ricorrenti pure sono la scelta dei reietti come protagonisti e l’iter narrativo delle storie. È la cifra stilistica, personale e assolutamente riconoscibile, di Di Luca e di Carrozzeria Orfeo che non temono il rischio della ripetitività. Rischio da noi scongiurato da una visione ancora vergine, avendo visto dal vivo per la prima volta questa compagnia, più volte premiata e di successo, proprio in Miracoli Metropolitani.

ph Laila Pozzo

Certo è che il format funziona. Lo dimostrano i lunghi applausi a fine spettacolo, il teatro pieno e l’entusiasmo di un pubblico giovane ed eterogeneo. E lo conferma il piacere di restare a guardare per un tempo di circa due ore e mezza (ridotto dopo le quasi tre ore delle prime repliche) che passa in fretta tra il riso e il pianto secondo la poetica di Gabriele Di Luca che strizza l’occhio alla comedy drama americana e anglosassone.
In un’intervista il drammaturgo afferma con chiarezza che il testo deve essere «costruito su un impianto profondamente tragico ma sviluppato anche in modo comico» perché «non può esistere tragico senza comico». Così avviene in questo spettacolo. Dopo aver riso alle battute di Mosquito e degli altri personaggi, nel finale ci commuoviamo. Tutto precipita: la rabbia di Plinio si fa irrimediabilmente silenzio, la disperazione diventa suicidio, la carrozzeria esplode in un unico, immenso boato. Ma al grido disperato di Clara, «Oltre alla sofferenza ci dovrà pur essere qualcos’altro?», Di Luca risponde (non senza, forse, un pizzico di retorica) con  la speranza: la nascita vince sulla morte con il parto della donna immigrata.
E il messaggio consegnato al pubblico dalla lettera del suicida racconta di un Sisifo finalmente libero dalla paura, «pervaso da una sottile gioia nel sentire simile a sé la solitudine del mondo», capace di non arrendersi perché ha imparato a  credere in se stesso e a essere fiero del suo destino. «Perché anche la lotta verso la cima, dice Camus, basta a riempire il cuore di un uomo».

MIRACOLI METROPOLITANI

Carrozzeria Orfeo
drammaturgia Gabriele Di Luca
regia Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi
Elsa Bossi – Patty, Ambra Chiarello – Hope, Sebastiano Bronzato – Igor, Pier Luigi Pasino – Mosquito/Mohamed, Beatrice Schiros – Clara, Massimiliano Setti – Cesare, Federico Vanni – Plinio, Barbara Ronchi – la voce della moglie
musiche originali Massimiliano Setti
scenografia e luci Lucio Diana
costumi Stefania Cempini
illustrazione locandina Federico Bassi
foto di scena Laila Pozzo
organizzazione Luisa Supino
distribuzione e promozione Natascia Sollecito Mascetti
ufficio stampa Raffaella Ilari
una coproduzione Marche Teatro, Teatro dell’Elfo, Teatro Nazionale di Genova, Fondazione Teatro di Napoli -Teatro Bellini
in collaborazione con il Centro di Residenza dell’Emilia-Romagna L’arboreto – Teatro Dimora | La Corte Ospitale