RENZO FRANCABANDERA | Funzionano le trincee contro la stupidità umana? Sono un argine possibile contro il degrado e l’incontrollabile? E se ciò che è al di là dei sacchi di sabbia è incontrollabile, siamo sicuri che ciò che è al di qua sia sotto il nostro controllo?
Ha debuttato in prima nazionale al Verdi di Padova ed è partito per una tournée che toccherà diverse città venete fino ad arrivare poi al Carcano a Milano, La Peste di Camus, lo spettacolo diretto da Serena Sinigaglia basato sull’omonimo romanzo dello scrittore francese premio Nobel per la letteratura, adattato per la scena dal drammaturgo e regista italiano Emanuele Aldrovandi.
Quasi stranisce trovare il nome dello scrittore francese ricordato esplicitamente nel primo titolo del lavoro (poi modificato in La peste. Il tentativo di essere uomini), ma forse il numero di declinazioni teatrali del celebre testo, nei suoi vari adattamenti e derivazioni deve essere assai ampio, e quindi evidentemente si è scelto di voler collegare la creazione teatrale all’opera dello scrittore in modo netto.
Davanti ad un nesso relazionale così forte è evidente che l’aspettativa sia quella di un rimando “fedele”, sempre che la fedeltà in un adattamento sia possibile, all’originale.
Ma in fondo, anticipando quanto andremo a dire dopo, possiamo dire che nella sostanza è così.
«I capolavori dell’arte, di qualsiasi arte, sono tali perché sanno curarti l’anima».
Con questa idea e dopo aver letto il romanzo durante il lockdown, la Sinigaglia ha così deciso di voler condividere la ricchezza letteraria e umana della scrittura di Camus con il pubblico teatrale.
Dal punto di vista stilistico lo spettacolo discende formalmente dalle decisioni registiche di Serena Sinigaglia che sceglie di mantenere nello spazio scenico gli interpreti in presenza fisica per tutto il tempo della recita, senza nessuna entrata o uscita di scena, ed enfatizzando, al più con qualche puntatore luci, i momenti in cui l’azione da corale diventa singola o di dialogo a due. Questo fa sì che per tutta l’ora e quaranta minuti di durata della recita, lo spettacolo dal punto di vista della composizione estetica, resti sostanzialmente stabile in quello che lo sguardo legge, ad eccezione di qualche scena di movimento e di qualche cambio luci, caratteristica che come tutte quelle che incorporano una fissità sostanziale degli elementi caratteristici, si rivela più potente in alcune circostanze e meno in altre, ma nel complesso ha una sua stabilità e coerenza.
A lungo, seppur alternandosi fra loro, gli attori porgono le battute non a qualcuno sul palcoscenico ma al pubblico, con una recitazione frontale che continua spesso anche quando i personaggi sono in dialogo fra loro. La scelta, come si diceva, si rende necessaria in ragione dell’adattamento fatto da Aldrovandi ma ancor prima della costruzione narrativa di Camus che la parola frontale ovviamente facilita e per certi versi rende indispensabile: assai anomala sarebbe stata una recitazione in relazione fra gli attori, per poi volgersi al pubblico nelle ampie parentesi di narrato indiretto.
Quindi dal punto di vista formale la scelta risulta comprensibile, come anche il fatto che il porgere il discorso indiretto non sia compito di una sola delle figure recitanti, di un narratore in 3a persona come fa Camus ma, di volta in volta, del personaggio che svolge l’azione per così dire principale a cui quel testo si riferisce. L’operazione registica coniuga quindi questo postulato di fedeltà al romanzo originario quanto una sufficiente flessibilità a rivolgersi alla scena, tanto che nonostante la durata dello spettacolo e la fissità della dinamica attorale scelta dalla regia, il ritmo dello spettacolo rimane sempre alto.
Perchè la speranza è sempre quella che l’incidente sia una parentesi nella vita, che abbia un tempo determinato. Camus scrisse il suo romanzo appena finita la seconda guerra mondiale. E forse la peste era in qualche modo una esemplificazione di come le catastrofi si generino quando si lasciano divampare incendi non badando a piccole fiammelle.
Uno spettacolo che può sembrare, nella suggestione del titolo, fuori tempo sulla cronaca, e che invece ancor più attuale ci sembra ora, dopo averlo visto, mentre esseri umani accatastano sacchi, fanno trincee, alcuni pregano di prestare attenzione, altri speculano e mercanteggiano vie di fuga, altri pregano. E sul fondo sembra non vedersi luce.
LA PESTE DI CAMUS
Il tentativo di essere uomini
adattato dal romanzo La peste di Albert Camus © Edizione Gallimard
versione italiana e adattamento Emanuele Aldrovandi
regia Serena Sinigaglia
con Marco Brinzi, Alvise Camozzi, Matteo Cremon, Oscar De Summa, Mattia Fabris
scene Maria Spazzi
costumi Katarina Vukcevic
luci Alessandro Verazzi
suoni e scelte musicali Sandra Zoccolan
Assistente regia Giacomo Ferraù
Assistente costumi Matilde Casadei
Direttore di scena Giuliano Almerighi
Elettricista Lorenzo Crippa
Fonico Michele Accardo
Sarta di scena Caterina Berta
Laboratorio realizzazione scene e costumi – ATIR Teatro Ringhiera (Marina Conti, Marianna Cavallotti, Federica Padovani)
produzione TSV – Teatro Stabile del Veneto, Teatro Stabile di Bolzano, Centro d’Arte Contemporanea, Teatro Carcano