MATTEO BRIGHENTI | «Vi sentite dei fuorilegge?». La risposta di Andrea Spinelli è perentoria, inequivocabile: «Assolutamente no». Per più di otto anni, come tecnico audio e luci, è stato uno dei componenti dell’Assemblea che ha animato il Teatro Rossi Aperto (TRA) di Pisa. Il Teatro Valle Occupato della Toscana, potremmo dire? «Noi non abbiamo occupato proprio niente, nessuno di noi stanziava all’interno, piuttosto – precisa Spinelli – abbiamo riportato alla funzionalità, se pur parziale, e alla disposizione di tutte e di tutti un luogo abbandonato della città. Abbiamo sempre aperto il teatro a chi lo chiedeva cercando di “gestirne” l’uso – continua – anche al Comune che patrocinava eventi».
Tra quanti dell’Assemblea abbiamo contattato, Andrea Spinelli si è offerto di parlare con PAC della forzata chiusura, un anno fa, di quell’esperienza e della rinuncia, di poche settimane fa, a partecipare all’avviso pubblico promosso dall’Agenzia del Demanio per la concessione del Teatro Rossi.
Un dialogo su nascita, crescita e fine della riappropriazione e della “gestione” condivisa e partecipata di uno spazio pubblico della cultura, che ha di fronte un orizzonte di impegno, nonostante tutto, irriducibile: «Oggi viviamo il TRA senza il suo spazio fisico ma con la volontà – riflette Andrea Spinelli – di poter un giorno entrare nuovamente tra quelle mura. A Pisa in questa fase di “riapertura” manca molto l’apertura del Teatro Rossi Aperto».
Il Teatro Rossi, costruito nel 1700 nel centro storico di Pisa, era chiuso e abbandonato da sessant’anni per “problemi di staticità”. Il 27 settembre 2012 circa trenta persone, tra studenti universitari e lavoratori precari del mondo dello spettacolo e della cultura, tra cui voi, decidete di occuparlo per riaprirlo e quindi restituirlo alla città. Come nacque quella decisione, quella presa di posizione? Come fu messa in pratica?
Pisa è una città che rimbomba dell’eco di spazi abbandonati, impolverati, tenuti chiusi per favorire chissà quale tipo di logica, dimenticati dagli stessi cittadini che un tempo li avevano vissuti e/o abitati. Il Teatro Rossi era uno di quelli. Sulla spinta di un movimento nazionale di rimessa in discussione del sistema teatro e del concetto di bene comune, una grande fetta di cittadinanza attiva aveva l’urgenza di evidenziare l’abbandono di questo luogo.
Il gruppo che aprì i portoni del Teatro quella mattina del 27 settembre 2012 aveva in mente solo di puntare per tre giorni i riflettori su quel palcoscenico, creando un’Assemblea permanente che discutesse di cultura, precariato e beni comuni. Quella tre giorni fu così partecipata ed entusiasmante da decidere di portare avanti l’esperienza e riportare a pieno funzionamento il Teatro Rossi, definendolo Aperto (TRA). Da lì nacque l’Associazione di promozione sociale Teatro Rossi Aperto, che si prese cura e rimise in funzione il Teatro, al di là di una mai certificata “non staticità”…
Qual è stata la vostra attività e quale il dialogo con le istituzioni e con il territorio?
Sin da subito, prima la città, in tutta la sua trasversalità, e poi il territorio toscano e nazionale, hanno attraversato il Teatro Rossi Aperto come fosse casa propria, un luogo da scoprire, vivere e far conoscere.
Facevamo cose belle a offerta libera. Compagnie teatrali, formazioni musicali, associazioni, scuole, gruppi informali, singoli cittadini hanno usufruito della platea del Teatro, partendo spesso anche solo dall’idea, sviluppandola nello spazio, fino a portarla in scena. Sono stati anni affollati di tanta vita creativa e di tantissime persone: più di seicento eventi tra spettacoli teatrali, concerti, danza, festival cinematografici, presentazione di libri, mostre, installazioni, registrazioni audio e video, sfilate, laboratori di teatro, musica, scenografia e tante cose speciali. Anche il pubblico che veniva a vedere uno spettacolo sentiva di far parte del TRA, non stava semplicemente fruendo di cultura.
Coscienti del fatto che il Teatro Rossi necessitasse di ristrutturazione, adeguamenti e messe in sicurezza, abbiamo iniziato un dialogo con le istituzioni (prima il Comune di Pisa, poi la Regione Toscana, la Soprintendenza e il Demanio) proponendo noi un progetto di valorizzazione a step, fatto da ingegneri, architetti, scenografi, periti e maestranze qualificate.
Il dialogo con le istituzioni, da subito iniziato, è ben descritto dalla versione del TRA del gioco dell’oca. Una versione del famoso gioco da tavolo, costruita a partire dalle disavventure incontrate in questi anni: documentazione negata o scomparsa, segreterie che non rispondono, cambi continui di soprintendenti, appuntamenti rimandati a data da destinarsi, impossibilità di comunicare sviluppi con l’esterno, improvvisi finanziamenti mai messi a budget, lettere morte.
La vostra “gestione” è durata per la precisione otto anni, tre mesi e ventiquattro giorni. Un anno fa infatti, il 20 gennaio 2021, in piena pandemia, trovate l’ingresso del Teatro blindato con pannelli di acciaio e lucchetti. Un atto che, nelle intenzioni del decisore pubblico, “ripristina la legalità”. Come si è arrivati fino a questo punto? In che momento, a seguito di quali scelte, si è interrotto quel dialogo di cui parlavamo prima?
Il dialogo con il territorio non si è mai interrotto, anche quando il Teatro era chiuso e si organizzò un presidio lì davanti, arrivarono tante persone e tanti messaggi di solidarietà da tutta Italia.
Il dialogo con le istituzioni si era incrinato molto tempo prima della sostituzione delle serrature e dell’installazione dei lucchetti. La precedente giunta regionale, guidata da Enrico Rossi, con cui avevamo costruito affannosamente un dialogo fatto di tavoli, accordi quadri, federalismo demaniale e progetti approvati dalla Soprintendenza, aveva consegnato nelle mani di un’azienda privata la realizzazione di un progetto di valorizzazione che, in conclusione, non dava spiraglio di speranza: si parlava dell’ennesimo cantiere da sei milioni di euro in cinque anni, di restauro filologico, senza nessuna credibile proposta di gestione attuabile nel contesto pisano.
Per noi era il segnale della più totale chiusura e la volontà di dimostrare, da parte della giunta uscente, di aver solo fatto “i compiti a casa” rispetto ai cittadini. A quel punto si chiuse l’Associazione, chiedendo a gran voce un rinnovamento dell’Assemblea di gestione, creando una nuova costituente.
Purtroppo, poi, arrivò la seconda ondata di pandemia e quando vedemmo i lucchetti installati, gli operai mandati dal Demanio che installavano le blindature interne, trapanando e martellando quelle pareti che avevamo curato per più di otto splendidi anni, ci siamo visti confermare l’indifferenza delle istituzioni a tutto quello che il TRA era stato in grado di costruire.
Voi stessi riconoscete che «per fare cultura alla fine dovevamo fare anche politica, ed è per questo che abbiamo intavolato una trattativa con le istituzioni». Forti di quasi tremilatrecento persone che hanno firmato l’appello Il Teatro delle Scelte. Riaprite il Teatro Rossi Aperto! quale posizione avete espresso, quale proposta avete avanzato? E quale risposta, in cambio, avete ottenuto?
Dopo la chiusura abbiamo lanciato una raccolta firme che aveva un duplice scopo: non vedersi sfilacciare il patrimonio umano raccolto in questi anni e, soprattutto, riprendere il dialogo con la nuova giunta regionale guidata da Eugenio Giani per attivare il percorso di federalismo demaniale iniziato con quella precedente.
Il dialogo è iniziato con spirito di apertura ma adesso ha incontrato l’iniziativa del Demanio di pubblicazione di un bando per la gestione, a insaputa anche della Regione stessa.
L’Avviso di concessione di valorizzazione del Teatro Rossi, promosso dall’Agenzia del Demanio insieme a Ministero della Cultura, Agenzia Nazionale del Turismo e Difesa Servizi Spa, è stato pubblicato il 20 dicembre scorso. L’intenzione è quella di affidare il Teatro «a privati in grado di farsi carico del recupero, riuso e buona gestione», per un massimo di cinquant’anni. Voi avete già detto che non parteciperete. Perché? Quali sono i problemi, le criticità che riscontrate? Quali condizioni, invece, sarebbero state accettabili per voi?
Personalmente, come cittadino e come attivista, penso che la pubblicazione dell’Avviso di concessione sia l’ennesima farsa di non-gestione da parte delle istituzioni di una questione che li vuole chiamare in causa. È l’ennesima lavata di mani da parte del Demanio. Ci sono tanti punti oscuri, contraddizioni, lacune in questo bando e in linea di massima: non è ammissibile che la cosa pubblica sia ceduta a privati, non è possibile che sia cancellata l’esperienza del TRA in questo modo, non è possibile che si scelga di non aprire un dialogo fra le parti, non è infine possibile che le comunità non siano prese in considerazione.
Insomma, non è possibile che non si possa fare un salto di immaginazione da parte delle istituzioni cittadine per pensare una realtà diversa, innovativa, proiettata veramente alla realtà delle cose: lo Stato è fermo a logiche di mercato di quarant’anni fa, con sbigliettamenti alti, cultura passata, non inclusiva, autoreferenziale e tante sale vuote. Questo al TRA non esisteva, tra l’altro facevamo a volte più sbigliettamento del teatro cittadino, portando a teatro gente che non ci era mai entrata.
L’Associazione Teatro Rossi Aperto, come detto, si era già sciolta nell’ottobre 2020, tre mesi prima della chiusura definitiva del Teatro. Era allora nata l’Assemblea Costituente composta da diverse realtà cittadine con la ferma volontà di trovare il modo di far rivivere il teatro. Cosa pensate di fare adesso? Quali sono le vostre intenzioni rispetto al Teatro Rossi?
L’idea dell’Assemblea Costituente era quella di un ecosistema composto da tutte le realtà che volevano cimentarsi nel mantenere aperto il Teatro Rossi. Ognuno con la propria identità e le proprie risorse avrebbe trovato aiuto nel compensare e superare le proprie difficoltà nelle risorse altrui, in un reciproco scambio.
Oggi, la pubblicazione del bando di “valorizzazione” (e bisogna ancora capire quale valore si stia ricercando, visto che in più di otto anni abbiamo svolto attività culturale senza alcuna sovvenzione extra), pone una blindatura a questo processo sinergico di pensiero e azione del territorio.
Crediamo ancora che il futuro del Teatro Rossi debba passare dal coinvolgimento delle istituzioni, crediamo nel patto sociale tra cittadini e amministrazione, crediamo che ognuno sia libero se è partecipe della cosa pubblica. Per questo cerchiamo e cercheremo un dialogo, una partecipazione di tutti gli attori in gioco.
Che cosa vi dice tutta questa vicenda, la vostra vicenda, sullo stato della cultura e del sostegno pubblico alla cultura oggi in Italia?
Come in tanti altri contesti in Italia, la gestione della cultura a tutti i livelli amministrativi è sommaria, legata a logiche squisitamente di mercato (quanto frutta lo sbigliettamento) e che trascura le iniziative promosse dal basso (associazionismo, compagnie, eccetera eccetera…).
La cosa positiva di questa assoluta non pianificazione e gestione del territorio a livello culturale è la miracolosa comparsa di nicchie che funzionano, dove l’amministrazione ascolta i problemi dei cittadini e questi sono liberi di proporre idee che vengono accolte e discusse a loro sostegno. Sono realtà come il Teatro Sociale Gualtieri o L’Asilo a Napoli, in cui il patto sociale che esiste tra amministratori e amministrati ha funzionato.
Se da una parte è un bene che esistano queste nicchie, lo sconforto rimane perché ci si accorge che queste sono legate alla presenza o meno della persona x, che fa la differenza. Sarebbe bello che alcuni meccanismi virtuosi venissero messi a sistema e la via non fosse unicamente affidarsi alla sorte delle prossime elezioni amministrative. Purtroppo il Teatro Rossi Aperto non vive in una di queste nicchie.
Inoltre l’Italia è il Paese in cui la cultura è concretamente fatta da associazionismo e volontariato. Associazionismo tanto osannato e contemporaneamente bistrattato: le associazioni rappresentano veri e propri tappabuchi per le amministrazioni che non sono in grado di assicurare il benessere della comunità (mi limiterei alla sopravvivenza), rispondendo ai bisogni dei cittadini; contemporaneamente, non vengono ascoltate, considerate poco organiche quando invece sono in grado di sviluppare veri e propri sistemi aziendali.
Le amministrazioni, quindi, vengono meno al patto sociale che dovrebbe esserci con i cittadini, non vedono la realtà mutevole delle cose e sono rimaste a gestioni vecchie di trent’anni.
Che cosa pensano, invece, Pisa e i pisani?
Il TRA è stato qualcosa di completamente nuovo rispetto al panorama degli spazi sociali pisani degli ultimi trent’anni, partendo dal palazzo storico in sé fino alla gestione che aveva come scopo primo fare cose belle, cose mai viste in città. Pisa, anche se molto attiva, è una città molto frammentata (quattro persone creano otto associazioni che fanno più o meno la stessa cosa) dove si contano più studenti che residenti.
Il Teatro Rossi Aperto è stato specchio di questo crocevia, internamente e non: nella “gestione” c’è stato un ricambio di persone, a tratti anche repentino, anche se alcuni (come me) hanno percorso il TRA per tutti gli otto anni; esternamente, questa frammentarietà trovava compattezza nei progetti artistici, con produzioni partecipate e mutuo aiuto.
Di questa compattezza tante comunità sono rimaste orfane e rimangono disarmate di fronte alla miopia amministrativa che non si è accorta che esse trovavano nel TRA un luogo di ritrovo, trovavano una casa.
Rifareste tutto quello che avete fatto, così come lo avete fatto? Oppure c’è qualcosa che, con il senno di poi, avreste potuto fare diversamente?
Sinceramente, per quel che le nostre forze fisiche e di comuni cittadini permettevano, abbiamo fatto il possibile, abbiamo smosso una cosa fuori dalle nostre realtà.