RENZO FRANCABANDERA | Una singolare combinazione di proposte, quella che ha avuto luogo il 1 aprile nell’ambito della sezione Off della 5a edizione di Danza in Rete, rassegna di danza e arti performative promossa dal Teatro Comunale di Vicenza, in programma fino a inizio Maggio.
Il pubblico ha fruito due creazioni coreografiche: Please come! di e con Chiara Ameglio al Teatro Spazio Bixio di Vicenza, realizzato con la collaborazione artistica di Santi Crispo, con la produzione di Fattoria Vittadini, e al Ridotto del Teatro Comunale di Vicenza è stata la volta della prima nazionale di The Blind Narcissist, coreografia del 2020 di Saeed Hani.
La proposta di Chiara Ameglio, primo studio del nuovo lavoro della danzatrice e coreografa genovese classe 1986 e cofondatrice di Fattoria Vittadini, ha come tema centrale la questione del rapporto dominante-dominato. L’artista lo dichiara in un dialogo con gli spettatori dopo la performance curato dal direttore artistico della sezione Off di Danza in rete, Alessandro Bevilacqua, in cui con Santi Crispo ha esplicitato in modo leggibile i presupposti dell’azione scenica.
Come un condannato ai lavori forzati su una piattaforma dalla quale il prigioniero prova a gridare aiuto, disperso al largo di un oceano emotivo che lo rende irraggiungibile da parte di chiunque possa soccorrerlo, il dominato, che subisce una sorta di forza oscura capace di metterlo prono agli eventi della vita e di condannarlo a un ambiente tossico e aspro, prova a lungo e vanamente a cercare le ragioni della propria identità in un ascolto faticoso di segni, suoni e voci che arrivano o che si spera arrivino dall’esterno; ma la speranza nell’orizzonte dello spettacolo è vana.
La scena è ambientata in uno spazio astratto, non localizzabile, in cui campeggia una sola luce fluorescente ora chiara ora violacea a seconda delle scene.
Dopo un ingresso in questo spazio oscuro, armata di microfono che dovrebbe amplificare la propria voce che in realtà è solo un lamento, con suoni circostanti che dovrebbero arrivare finanche dal sottosuolo ma che non arrivano, la performer viene sopraffatta da un suono industriale acuto e di alte frequenze, al quale il suo corpo cede.
Inginocchiata e poi carponi, si muove fra spasmi e pulsioni che la porteranno progressivamente alla nudità, a rimanere senza protezioni rispetto al mondo circostante. Si guarda attorno, guarda verso il pubblico ma è uno sguardo senza direzione, come chi fissa fuori dalla finestra sperando in un soccorso che non può arrivare.
Equilibrismi in posizioni complicate cercano di raccontare uno stare impossibile da sostenere a lungo. In questo ambiente emotivo solo la forza interiore può risultare davvero modificante, trasformativa.
La speranza può arrivare oltre che da se stessi anche da una socialità sana, condensata in un appello finale, messaggi nella bottiglia lanciati alla fine dello spettacolo come grido di aiuto verso un altrove sconosciuto, ma unica funzione esterna capace di liberare.
Il dominante, la funzione per così dire violenta o di sopraffazione non è mai esplicita: in scena non appare alcun sembiante fisico con questa funzione ma semplicemente un connotato ambientale distruttivo e nevrotico, di cui si deve leggere il riverbero sul corpo del dominato.
Pur trattandosi di uno studio, con una serie di segni ancora da rifinire e semplificare, la creazione ha già un portato drammaturgico consistente, cui forse può essere aggiunto qualche elemento di maggior leggibilità della determinazione oggetto dell’indagine. Ma il silenzio attento durante la performance e il caloroso riscontro del pubblico a fine spettacolo dimostrano come molti dei vettori comunicativi abbiano una forza e un’efficacia sufficienti ad essere nucleo creativo rispetto al quale proseguire la ricerca verso la versione definitiva.
Il secondo spettacolo della serata e invece una creazione per due performer del coreografo siriano ma tedesco di adozione, per la prima volta sui palcoscenici italiani, Saeed Hani, che vede come interpreti Robin Rohrmann e Gabriel Lawton, con le musiche di Jakob Schumo; una produzione Hani Dance Company dedicata al mito di Narciso.
La scena si apre in un ambiente naturale, richiamato da un vapore d’acqua che sgorga dal lato sinistro, posto dietro una serie di installazioni verticali in materiale plastico, probabilmente oggetto di combustione, che possono evocare tronchi, verticalità. Si tratta di cinque o sei elementi pensili, verticali, simili ma non uguali che occupano i due lati della scena, mentre al centro un grande tulle leggerissimo e circolare ricopre di candore un corpo disteso. In fondo a destra un pianoforte.
Da questo stesso punto del palcoscenico entrerà una figura a torso nudo e con vaporosi pantaloni color amaranto, che si aggirerà in questo spazio con grande naturalezza. Da una serie di piccoli spasmi, come da un bozzolo, si sveglia una vita sotto quel velo: il corpo inizia a muoversi fino a prendere posizione eretta e ad abitare lo spazio attorcigliando il tulle attorno a se stesso per poi liberarsene. Ecco l’altra vita, l’altro.
La prima figura si avvicina a questa identità nuda, verrebbe da dire implume e comunque indifesa, e inizia a coprirla di vicinanza, di attenzione; ne prende piano piano quasi possesso iniziando anche a plasmarne l’identità.
È qui che iniziamo a capire i risvolti psichici della patologia narcisistica perché la creatura uscita dal bozzolo cadrà progressivamente vittima, in una luce abbacinante e dentro movimenti sinuosi e ammalianti, della prima figura, sempre più manipolativa.
La coreografia mima movimenti che provano quasi a simulare il librarsi in volo ma sono movimenti che non arrivano a compiere nessuna liberazione e anzi il narcisista, progressivamente, fingendo di fare da piedistallo dell’altra figura, se ne impossessa fino alla rivelazione dell’amore per se stesso riflesso in uno specchio che l’altro, vittima inconsapevole, gli mostrerà.
Da quel momento in poi il narcisista frappone lo specchio fra sé e l’altra persona, smetterà definitivamente di prendersene persino cura, quella cura attorcigliante e tossica, per rivolgersi solo allo specchio, in un psicotico autoerotismo dove diventa malato oggetto dei desideri e della brama erotica di se stesso.
In questo caso la vittima dell’oppressione, dopo aver eseguito al pianoforte una struggente melodia dedicata all’amore distrutto, riesce nel finale dell’azione coreografica a chiudere fuori dal proprio spazio vitale l’altro, con i suoi affanni e le sue psicosi. Di questa sorta di mostro continuiamo a sentire i versi, ormai chiuso da pareti non più comunicanti con quelle del mondo solo, solitario ma più sicuro del danzatore uscito dal bozzolo e vittima di questa cesura del vissuto.
L’azione danzata parte da melodie ambientali, per poi finire su travolgenti note techno man mano che il dramma psichico prende la sua più rotonda specificazione. I movimenti del duetto sono un continuo prendere, spostare l’asse dell’altra figura, sovente messa persino orizzontale, abbracci respingimenti, soffocanti tentativi di generare forme di desiderio che vedono nell’altro niente più che il proprio doppio.
La creazione fa grandissima presa sul pubblico che resta numerosissimo nella sala del Ridotto del Comunale di Vicenza per il dibattito, in cui incontra il coreografo e i due danzatori. Un’ora di intervista e domande degli spettatori, quasi che davvero questo fenomeno non sia affatto una fattispecie rara.
D’altronde, come spiega il coreografo, tutti siamo narcisisti, esiste una forma di narcisismo buono che è quello che permette di creare lo spazio della autoconsapevolezza e del rispetto di sé, tanto che i bambini sono, come noto negli studi psicologici, l’esemplificazione massima del narcisismo. È invece la deriva famelica e mai appagata, distruttiva e devastante dei rapporti umani, quella da cui stare lontani per non esserne sopraffatti.
Una circostanza non casuale quella che evidentemente lega i due spettacoli dal punto di vista della tematica profonda, insita nei rapporti di soggezione e nella incapacità di chi ne è vittima di scorgere il pericolo se non quando ormai è diventato tardi. Grandissimo l’interesse del pubblico, a testimonianza del bisogno dell’indagine psichica sulla forma umana che solo l’arte può facilitare in questa forma così accessibile e profonda.
PLEASE, COME!
di e con Chiara Ameglio
collaborazione artistica Santi Crispo
musiche Keeping Faka
luci Fabio Bozzetta
produzione Fattoria Vittadini
THE BLIND NARCISSIST
coreografia di Saeed Hani
danzatori Robin Rohrmann & Gabriel Lawton
scenografia di Alexander Harry Morrison
collaboratori Inessa Babkovich & Keti Tskhadadze
costumi Nadja Führinger
musica Jakob Schumo
produzione Hani Dance & menschMITmensch e.v