ANNALISA GURRIERI | Una colata di miele che spezza un fiore. L’alimento simbolo della dolcezza, che non può fare altro che bene, fa piegare un fiore bianco. Subito dopo, un ragazzo scatta una polaroid che resta per tutto lo spettacolo appoggiata al vaso, al bordo del palco. Inizia così lo spettacolo Pour toi, andato in scena al Teatro Out-Off di Milano dopo il debutto al festival internazionale Manifestal a Tallinn nel maggio 2021.
In scena otto giovani performer: Lea Blau, Juan Fran Cabrera, Giulio Cagnazzo, Maya Libera Castellini, Manuel Macadamia, Marica Mastromarino, membri del neonato Collettivo Artistico Floks. La compagnia, fondata da Paolo Panizza, è nata nel 2021 e si distingue per la commistione di nazionalità dei suoi componenti; ognuno di loro, inoltre, ha alle spalle percorsi di formazione intrapresi in Paesi differenti. Tutti quanti sono dunque custodi di un bagaglio artistico frutto di ricerche ed esperienze in diversi campi: dalla recitazione alle arti grafiche, passando per lo studio della relazione tra fisicità e vocalità. Un altrettanto giovane Paolo Panizza, artista dalla formazione internazionale e transdisciplinare, è il regista dello spettacolo oltre che il curatore dei testi con la collaborazione del dramaturg Agnes Oberauer.
Pour toi è una performance frutto di «un lavoro di cesello», per usare una definizione del regista, durato quattro anni; ciò cui assistiamo è l’esito di un lavoro che parte dal regista ma che prende forma «con i performer: dalla loro esperienza personale per costruire immagini».
Si entra in sala, o meglio, in una nuvola di fumo nella quale si intravede la sala e, davanti ai nostri occhi, si staglia una parete di plastica che ci separa materialmente dal palco. Dietro notiamo molte sedie e alcune figure sedute, immobili. Tutto è annebbiato, «come una fotografia che si sbiadisce», citando ancora Panizza, «tutto parte da quella polaroid». Da lì inizia un collage frenetico di gesti, parole e suoni pervasivi, in cui ognuno si può ritrovare. Gli interpreti danno forma a diversi quadri che si succedono ora in maniera frenetica, ora con molta lentezza. I bisbigli e le grida di uomini e donne solitari che all’inizio popolano la scena si trasformano in abbracci e parole che danno vita a momenti di profonda relazione.
Presto, però, si evolvono rapidamente in istanti in cui la prevaricazione dell’uno sull’altro prende il sopravvento. A questo punto risulta più chiaro il tema dell’amore tossico: le sedie diventano una vera e propria estensione dei corpi dei performer che ora se le tirano l’uno contro l’altro, ora le impilano, ora le dispongono in ordine. Tra danze frenetiche e dialoghi affettuosi che si tramutano in violenti scontri fisici e verbali assistiamo pian piano agli effetti dell’amore tossico e alla fine ci portiamo dentro e dietro la visione di corpi abbandonati, martoriati, sporchi e snaturati a causa dell’amore. Questa sovrabbondanza di forme e provocazioni non si esaurisce sulla scena ma la oltrepassa facendo sì che ciò che viene raccontato si plasmi a seconda della ricezione dello spettatore. Il regista ci tiene a sottolineare proprio questo aspetto: «Non c’è una trama vera e propria: è lo spettatore che si costruisce la propria storia».
Se le immagini penetrano il nostro sguardo e i suoni si imprimono nella nostra anima è anche grazie alla loro particolare creazione: dall’alto pendono dei microfoni, uniche forme di amplificazione, ogni rumore e ogni respiro dei performer sulla scena viene rielaborato live dal sound artist Stefano Mattozzi. In questo modo non solo lo sfondo sonoro è di forte impatto, ma si porta con sé un’eco, conducendo verso un «ritorno a qualcosa che già c’è stato, di atavico, che si combina con la performance del momento», come afferma il sound artist.
L’esito di questa commistione di linguaggi, però, non sempre è prevedibile, perciò, la performance è diversa ogni volta. Anche durante una stessa replica certe scelte potrebbero turbare qualcuno seduto in platea e, contemporaneamente, far ridere il suo vicino. Quest’effetto, talvolta, può evidenziare una scarsa chiarezza a proposito di ciò che si vuole raccontare ma, allo stesso tempo, lascia lo spettatore estremamente libero di lasciarsi toccare alcune corde dell’anima più di altre. E in questo senso Paolo Panizza afferma con soddisfazione: «Questo per me diventa veramente un momento di teatro, perché ti porta a indagare la tua vita personale».
Alla fine, un semplice gesto, ovvero il lancio di alcuni pezzi di stoffa bagnati sulla parete di plastica, scioglie quello strato che per un’ora ci ha separati da una sovrabbondante presenza facendoci sperimentare, a questo punto, l’assenza. Qualcuno tira un sospiro di sollievo, qualcun altro percepisce il vuoto. Le luci si spengono e improvvisamente la sala non è più annebbiata. Non è escluso uscire da teatro perplessi, però ci portiamo dentro un «magma continuo» di simboli, suoni e impressioni, sperando di poterlo condividere con chiunque altro incrocerà Pour toi.
POUR TOI
Performance immersiva sull’amore tossico
Concept, regia, luci e spazio scenico Paolo Panizza
Testi Agnes Oberauer e Paolo Panizza
Dramaturg Agnes Oberauer
Sound Artist Stefano Mattozzi
Video Artist Juan Fran Cabrera
Assistente alla regia Edoardo Ferrari
Con Lea Blau, Juan Fran Cabrera, Giulio Cagnazzo, Maya Libera Castellini,
Manuel Macadamia, Marica Mastromarino
Milano, Teatro Out-Off | 27 marzo 2022