EUGENIO MIRONE | Cinque personaggi attendono l’ingresso del pubblico sul palco: due procioni, un bruco e due giovani donne. Una delle due giovani sta in piedi di fronte a un microfono ad asta posto sulla destra, mentre gli altri eseguono in maniera sciatta una coreografia osservando lo schermo di un iPad posto in proscenio, sulla scia di quelle cassette di aerobic fitness dancing che spopolavano negli anni ’80 o, per i più giovani, a mo’ di Just Dance. Una volta che tutti gli spettatori hanno preso posto i ranghi si sciolgono e prende avvio L’ultimo animale, il secondo testo dopo Potrei amarvi tutti, di Caterina Filograno, nato da un’indagine sul bacio di Giuda, tema su cui l’autrice aveva lavorato all’interno della prima fase del concorso di drammaturgia indetto da Antonio Latella per Biennale College 2018.

Foto di Lorenza Daverio

La scenografia è una citazione non troppo velata della celebre locandina di Arancia Meccanica. L’ingresso della tana degli animali, infatti, è un buco triangolare di colore nero che si apre al centro di un velo completamente bianco che avvolge la scena. Tre piccole casse nere completano la scenografia. Dal colore bianco latte all’impostazione frontale fino alla musica psichedelica e straniante, tutto ricorda il Korova milk bar del capolavoro di Kubrick. L’atmosfera allucinogena della scena costruita con la consulenza di Paolo Di Benedetto è intensificata dai costumi lucidi e monocromatici di Giuseppe Di Morabito.
A ogni categoria di personaggio, infatti, è attribuito una colore: i due procioni (Proc/Emilia Tiburzi e Chino/Anahì Traversi) portano uno smanicato grigio sopra la tuta dagli avambracci piumati; sul capo hanno cappelli da avventurieri; Bruka, la farfalla in potenza interpretata da Alessia Spinelli, indossa una tuta verde evidenziatore mentre la tuta delle due coinquiline, Giudi e Cristi (Francesca Porrini e Carlotta Viscovo), ricorda il colore della carne.

Come spesso accade anche nei film di Tarantino, il testo è diviso in capitoli, qui sono dodici. Una volta conclusa la sessione corale di ginnastica, sulla scena rimane solo Cristi che affamata recita una filastrocca, un misto tra una ricetta culinaria e pensieri ossessivi sulla dieta. Cristi vive in affitto a casa di Giudi; il rapporto tra le due ragazze si è incrinato soprattutto per via del buco che occupa la parete nella camera di Crist, e che Giudi si è sempre rifiutata di far riparare. Proprio da quel buco sono strisciati fuori i due procioni per invocare l’umana Cristi affinché faccia la grazia di donar loro i muesli, cibo preferito dalla coppia. Proc è il leader, ha il carattere del romanaccio e spesso se ne sta stravaccato a leggere giornali; Chino invece è ancora bambino, a stento riesce a farsi capire e il più del tempo sta rinchiuso nel suo mondo di pensieri. A completare il trio degli abitanti del buco c’è Bruka, un bruco prossimo alla metamorfosi che attende con impazienza il momento in cui potrà volar via libero.
A unire i quattro personaggi è la promessa fatta da Cristi di far uscire tutti e tre gli animali dalla casa della nemica Giudi, una ragazza superficiale, amante della cucina americana che per modo di fare ricorda le casalinghe della fortunata serie “Desperate housewives”. I suoi unici interessi sono il suo canale di ricette e la sua community di followers, alla quale durante il quinto capitolo, facendosi filmare con l’iPad da uno spettatore, ha illustrato una fantasiosa ricetta per i cupcakes, di quelli che riempiono l’immaginario pop della Marie Antoniette di Sofia Coppola. Bruka, intanto, ha compiuto la sua metamorfosi e ora indossa una pelliccia fuxia a pois. Potrebbe finalmente realizzare il suo sogno di libertà, ma decide di restare, in attesa di scappare insieme ai due compagni. Cristi, però, che in scena compie continuamente esercizi ginnici, da giorni si è dimenticata di sfamare le bestie perché impegnata a far naufragare la relazione che è nata tra Giudi e un ragazzo conosciuto su Tinder.
L’epilogo della favola è brutale, come spietate sono le leggi della natura: Proc e Chino, spinti dalla fame divorano la farfalla. Cristi, lacerata dal senso di colpa, confessa le sue malefatte ai danni di Giudi, la quale, decisa ad andare a convivere con il fidanzato, prima sfratta con simpatica spietatezza l’amica e poi si decide finalmente a chiamare gli operai per far chiudere il buco. Cristi, disperata, tradisce Giudi invitandola a entrare nel buco: si consuma così l’ultima cena dei due procioni.

Tutto lo spettacolo si fonda sulle dinamiche di potere: gli animali dipendono da Cristi per farsi sfamare; Cristi invece, dipende da Giudi che si trova in cima alla piramide in quanto proprietaria dell’appartamento. Come non manca mai di ricordare lo storico Alessandro Barbero, la lotta di classe è avvenuta ed è stata vinta dai ricchi; si è imposta la religione del consumismo e la sua chiesa sono gli Stati Uniti d’America.
Con lo sbranamento di Giudi da parte dei procioni, però, nello spettacolo si avvera il sogno di rivoluzione marxista dove i più piccoli riescono a mangiare i più grossi. Fuor di metafora un altro scontro viene a compiersi sulla scena, quello tra il mondo artificiale degli umani e il mondo della natura. Il paradigma del conflitto è rappresentato dal cibo, elemento centrale nello spettacolo: se per gli animali significa sopravvivenza, per gli uomini da un lato è puro artificio, dall’altro è un ossessione che si manifesta nel compulsivo controllo della forma e nel continuo esercizio fisico. Non esistono mezze misure; l’epilogo brutale di Bruka, infatti, dimostra che in questo mondo non c’è spazio né per i sognatori e né per la solidarietà di classe.
L’unico elemento trasversale a entrambe le parti è la spregiudicatezza. Se, però, la brutalità dei procioni è giustificata dalla loro appartenenza al mondo degli istinti, al contrario, l’uomo, accecato dalla logica dell’apparenza e dell’ostentazione non si è accorto dell’irreversibile regressione allo stato animale che lo ha colpito. Il processo di disumanizzazione lo ricondurrà presto nello spietato regno della natura, come ultimo animale della catena, però, dal momento che ormai la sua natura primitiva è stata inquinata.

L’ultimo animale è un’allegoria spietata dello scompenso generale di una società che preferisce nascondersi dietro le apparenze piuttosto che mostrare le proprie fragilità.
La penna sfrontata di Filograno trasforma una favola dai tratti esopei in una storia brutale, in cui ogni relazione collassa perché oramai non può più esistere lieto fine.
Scenografia e costumi ricreano in una sola scena fissa un universo futuristico suggestivo. Ottima anche la prova corale delle attrici. Molto efficace, infatti, risulta il lavoro sull’immaginario animalesco compiuto da Alessia Spinelli, Emilia Tiburzi e Anahì Traversi, come d’altronde è aderente e incisiva l’interpretazione delle discordie e delle ipocrisie nelle relazioni umane da parte di Francesca Porrini e Carlotta Viscovo. Una squadra, insieme a Caterina Filograno, tutta al femminile, che ha dimostrato grande decisione e attenzione nella presentazione di un testo fresco nella forma e accattivante per temi trattati.

 

L’ULTIMO ANIMALE

drammaturgia e regia Caterina Filograno
con Francesca Porrini, Alessia Spinelli, Emilia Tiburzi, Anahì Traversi, Carlotta Viscovo
assistente alla regia Sebastian Luque Herrera
costumi Giuseppe Di Morabito
progetto audio/video Francesco Emmola
consulenza al movimento Aurelio Di Virgilio
consulenza delle scene Paolo Di Benedetto
produzione Teatro i

Teatro i, Milano | 8 aprile 2022