ROBERTA RESMINI Ksenija Martinovic ci accoglie sdraiata in terra al centro della scena mentre noi ci accomodiamo in platea. Auricolari nelle orecchie, PC acceso, inizia subito a dialogare, in serbo, in una videochiamata con suo padre. Chiude presto la chiamata e ne inizia un’altra, con un amico/collega, per raccontare l’avanzamento dei suoi lavori di ricerca, questa volta in italiano. Poco dopo partono testi registrati, alcuni in italiano altri in tedesco. Sono frammenti di programmi radio, di notiziari, letture della corrispondenza tra Mileva Mari ́ce Albert Einstein.

Milena. Foto di Daniele Fona

Mileva, il lavoro portato in scena al Pacta Salone di Milano, nell’ambito della rassegna DonneTeatroDiritti, prende spunto dalla radice biografica che accomuna la brava Ksenija Martinovic e Mileva Mari’c, scienziata serba e prima moglie di Einstein. Il grande lavoro di ricerca documentale coinvolge anche il performer Mattia Cason, sul palcoscenico insieme a lei, Federico Bellini a cui è affidata la drammaturgia, e Marisa Michelini, professore ordinario di Didattica della Fisica all’Università degli Studi di Udine, a cui è affidato il lavoro di consulenza scientifica.
Pochissime sono le informazioni che conosciamo su Mileva e ci arrivano dalle lettere conservate all’Università di Princeton, negli Stati Uniti, che Mileva e Albert si sono scambiati prima del matrimonio e dopo il divorzio. Ma la sua biografia è ancora nebulosa, e non sappiamo precisamente in quale misura l’intelligenza della donna abbia contribuito al successo di Einstein, premio Nobel per le scoperte scientifiche nel 1921. Al di là della comune radice biografica, c’è, per Ksenija, l’interesse e l’urgenza emotiva di indagare oltre.

MilevaChi è, infatti, Mileva Mari ́c? Mileva non è solo un titolo, è l’ombra di una scienziata, di una moglie,  e di una madre. Dalle note di regia: “A differenza delle biografie ufficiali di Einstein, dove appare come una pallida ombra a fianco del marito, da varie fonti apprendiamo che Mileva Mari ́c non è stata di certo estranea alla straordinaria progressione creativa del compagno; tuttavia, la sua riservatezza e l’aver prematuramente rinunciato al suo impegno di scienziata hanno fatto sì che ancora oggi il suo contributo teorico venga messo in discussione”.
La biografia di Mileva Mari ́c ci rimanda immediatamente a tutte quelle donne messe in secondo piano, per un’evidente discriminazione di genere; tra le più note possiamo citare Rosalind Franklin, Lise Meitner e Jocelyn Bell. Di recente questo fenomeno è stato definito “effetto Matilda”, e ben si può rilevare nel campo delle scienze, al punto da far passare l’idea che la scienza sia una disciplina da maschi.
L’intento di restituire fierezza e forza a un personaggio, per altro con una storia personale piuttosto sfortunata, funziona: lo spettatore è portato prima dentro la storia (le vicende  biografiche della coppia, ma anche la Storia) e poi dentro la mente di Mileva. In questo viaggio, lo spazio scenico essenziale – solo un pavimento disegnato con quadrati bianchi e neri, come se fosse un cruciverba con le caselle ancora libere dalle lettere – subisce un progressivo passaggio: è prima uno spazio fisico, la stanza della ricercatrice da dove chiama il padre e alcuni colleghi in videochiamata, ci immaginiamo addirittura il letto su cui è sdraiata; ma diventa presto lo spazio della mente di Mileva, uno spazio che lei riempie con le sue parole di assoluti (chiara contrapposizione alla teoria della relatività del marito): Vuoto, Libertà, Aria, Finestra, solo per citarne alcune. L’interpretazione di Ksenija mostra la maturità necessaria per una sfida di questo calibro e il lavoro è di pregio.
Non essendoci un testo scritto all’origine, ma partendo da un lavoro di ricerca, la drammaturgia si configura come una scrittura scenica fatta in primo luogo di movimenti, con il testo che va a riempire laddove il movimento non basti. In questo quadro entra in gioco Mattia Cason, performer, attore e ballerino, in scena con Ksenija per gran parte dello spettacolo.
Ampio spazio (forse troppo?) è lasciato alla danza, metafora dell’apice e del declino della relazione tra Mileva e Albert. La prima danza, gioiosa, simboleggia gli anni felici della loro relazione d’amore. Ma presto si fa stonata, claudicante, trascinata – parallelismo chiaro dell’avanzamento della malattia all’anca che la fece zoppicare tutta la vita, ma anche simbolo del rapporto di sottomissione e di potere esercitato dal marito.
Il culmine giunge con la terza: una danza, in verità, solo per lui, che gioca al tip tap sul corpo della donna, mentre lei è crocefissa sul tavolo. In quell’immagine Cason rappresenta certamente il marito premio Nobel Albert Einstein che prevarica la moglie, ma rappresenta anche il mondo accademico in generale, che si prende gioco in primo luogo di Mileva, donna scienziata, ma anche di tutte le donne scienziate che sono state relegate a un ruolo marginale per una mera questione di genere. Forse, rappresenta addirittura l’opinione pubblica, che vuole restituire a Mileva la maternità del Nobel, riconoscendole un ruolo nello sviluppo delle teorie scientifiche del marito, anche se, in fondo, lei questo riconoscimento non lo ha mai cercato. Quel che è certo è che la contrapposizione tra l’immobilità della donna e il movimento concitato di Cason restituisce un’immagine dal fortissimo impatto emotivo.
La scenografia si accompagna a costumi minimalisti: pantaloni e maglietta nera, sia per lei che per lui, ben illuminati dalle luci – bianca all’inizio, gialla quando li segue nel ballo – il tutto ben equilibrato nel suo complesso; sostenuto il ritmo, che non fa perdere mai l’attenzione nonostante la durata di circa 70 minuti.
Solo una tessera un po’ meno riuscita: la sovrapposizione, leggermente asincronica, della recitazione di alcune lettere con la registrazione delle stesse. Questo meccanismo ha una ragione funzionale quando la registrazione è in tedesco, la lingua madre di Einstein, e la recitazione diventa strumento di traduzione in simultanea. Quando il meccanismo è italiano su italiano, la resa è appesantita, cacofonica.
La Martinovic non è nuova a questo espediente. Anche in Diario di una casalinga serva (ne abbiamo parlato su PAC in questo articolo) utilizzava un registratore per dialogare con se stessa. Indubbiamente una scelta voluta, forse il bisogno di ascoltare la sua stessa voce, per poter comprendere il senso delle parole che lui scriveva a lei e lei a lui, o forse il sintomo del disagio e dell’incomprensione che, con l’avanzare della relazione, entrambi hanno provato. Nonostante questo, uno spettacolo coraggioso, riuscito e decisamente godibile.

MILEVA

di Ksenija Martinovic
con Ksenija Martinovic e Mattia Cason
dramaturg Federico Bellini
con la consulenza scientifica di Marisa Michelini, professore ordinario di Didattica della Fisica presso Università degli Studi di Udine
produzione CSS Teatro Stabile di Innovazione del FVG

PACTA dei Teatri Salone, Milano | 2 aprile 2022