LAURA NOVELLI | Politico ma non solo. Filosofico ma non troppo. Surreale, arguto, sghembo quanto basta per suggerire un impegno sociale fortemente sentito che però, pur facendo esplicito riferimento a Brecht, risponde in primo luogo alla fluidità inventiva del teatro: alla sua fisiologica capacità di costruire mondi ‘altri’ avveniristici e metaforici; di giocare con le parole, le azioni, i paradossi, le simmetrie e le a-simmetrie, per mettere a nudo le angosce più tremende del nostro oggi così travagliato, senza limitarsi a tradurle in mera inventiva, in deciso straniamento epico o, viceversa, in enfatica demagogia. Catarina e a beleza de matar fascistas (Caterina e la bellezza d’ammazzar fascisti) dell’estroso regista, attore e drammaturgo portoghese Tiago Rodrigues, in programma all’Argentina di Roma nei giorni scorsi e atteso al teatro Storchi di Modena per 28 e 29 aprile (dove è prevista anche una conversazione tra il regista e Gad Lerner su come e dove si nascondono, oggi, le radici dei fascismi che hanno cambiato la storia del mondo), è uno spettacolo importante. E la sua importanza, al di là della tematica trattata, sta proprio nell’intelligenza scenica di un linguaggio che sa porre grandi quesiti etici al pubblico ma non pretende di dargli alcuna risposta.
Sipario abolito. La scenografia (a firma di F. Ribeiro) e gli interpreti sono già ben visibili mentre il pubblico si accomoda in sala. Al centro del palcoscenico si erge una casa modulare in legno, sovrastata da una grande quercia, che rimanda per forma e materiale alla moderna edilizia ecosostenibile e conferisce all’ambientazione una misteriosa aurea bucolica. Misteriosi e bucolici ci appaiono d’altronde anche i personaggi, affidati agli egregi attori della compagnia Mundo Perfeito con la quale Rodrigues (direttore del Teatro Nacional D.Maria II di Lisbona e prossima guida del Festival d’Avignon) lavora in pianta stabile dal molti anni: vestiti dal costumista José Antonio Tenente in abiti di foggia agreste dai colori scuri e dallo stile moderno, se non addirittura futuribile, ecco i diversi membri di un’unica famiglia che, riunitasi nel Portogallo del Sud per rispettare l’antica tradizione allusa nel titolo, si chiamano tutti Catarina, come se simboleggiassero in fondo un unico personaggio. Ovverosia, la coraggiosa antenata Catarina Eufémia che sett’anni prima (i fatti del plot si svolgono nel 2028) aveva ucciso per vendetta il marito fascista, macchiatosi di un efferato omicidio ai danni di una povera donna. Da allora in poi questa famiglia si è assunta il compito ‘morale’ (morale?) di ammazzare quanti più fascisti possibile e di seppellirli nel querceto della propria casa: un ‘giardino dei ciliegi’ – tanto per evocare uno degli ultimi allestimenti del regista – inalienabile e controverso che, da un lato, vorrebbe essere un sacrario a cielo aperto della democrazia e, dall’altro, finisce coll’emanare un macabro odore di carneficina.
In questa ambivalenza insanabile si muove d’altronde l’intera pièce, aperta però – e non a caso – dal monologo di un adolescente ‘strano’, appartato e stanco di sentire le parole del mondo che, con grandi cuffie sulle orecchie, profetizza cupi scenari incendiari anticipando quanto accadrà alla fine: in un incendio doloso, ci ricorda il giovane con sofferente lucidità, finisce che ci rimetta la vita anche chi ha appiccato il fuoco. Proprio come potrebbe capitare a chi, arrogandosi il ruolo di paladino della libertà, imbraccia le armi e uccide al pari del suo nemico.
Ed è sempre – e ancora una volta non a caso – le più giovane ragazza del bizzarro gruppetto familiare ad opporsi al tremendo rito omicida: Catarina-figlia non vuole sparare, non crede che sia questa la strada giusta per opporsi alla discriminazione, alla coercizione, alla violenza, alla prevaricazione, allo scempio disumano di ogni dittatura. Il suo no è un no perentorio, maturo, dialettico che mette in crisi l’intera famiglia e che dà modo al Rodrigues drammaturgo di scrivere dei passaggi splendidi di confronto generazionale. Si veda, per esempio, il lungo dialogo madre/figlia nel corso del quale emergono tematiche universali e quanto mai contemporanee come la questione femminile, la libertà personale e collettiva, la tolleranza, l’integrazione, il pacifismo. Parole che oggi, in una realtà internazionale sopraffatta dalla morte, dalla guerra, dalla violenza, rendono ragione ai tanti giovani impegnati e solidali, combattenti senza armi in nome di un futuro più vivibile. Il no di Catarina-figlia è insomma l’ostacolo che permette al testo di entrare nel punto nevralgico del suo conflitto drammaturgico e di risolvere la questione spinosa posta in essere senza darle definitiva risoluzione. Se sia lecito uccidere per la libertà resta perciò una domanda, una terribile domanda dal sapore machiavellico, che rimbalza dal palcoscenico alla platea.
Ma affinché questa rifrazione diventi realmente, e brechtianamente, una questione teatrale, c’è bisogno di una catastrofé, di un ribaltamento inatteso. E ciò arriverà quando, ormai compromessa l’esecuzione del fascista tenuto prigioniero in giardino, le diverse Catarina della famiglia verranno uccise una ad una dal giovane profeta ‘sordo’ e ‘diverso’: una morte lenta, compassata, fortemente simbolica che, simile all’ecatombe famigliare dell’Amleto, permette al fascista/dittatore di riappropriarsi della sua libertà. Libertà in primo luogo retorica: in piedi sul suo proscenio/tribuna egli – completo grigio, cravatta e prossemica da invasato demagogo – parla, parla, parla. Inveisce contro ogni forma di ‘diversità’, afferma il valore perentorio della famiglia ‘tradizionale’, se la prende con i migranti, fagocita nel suo dire violento ogni orizzonte di democrazia evocando echi de Il grande dittatore di Chaplin e ricordandoci lo splendido lavoro di Fanny & Alexander Discorso grigio (Marco Cavalcoli magistrale interprete).
La sua tirata diventa, insomma, un manifesto di quella incultura della sopraffazione oggi imperante; si fa sempre più insopportabile, più ostica, più condannabile, ed è ovvio che la finzione performativa, a questo punto, pretenda una reazione da parte del pubblico. Qui lo spettacolo, nato prima della pandemia da Covid e costruito durante questa cupa esperienza collettiva (un periodo di cambiamento e di crescita, lo definisce Rodrigues, che ha dato modo alla compagnia di proiettarsi nel futuro per acquisire nuove illusioni, perché “le illusioni di oggi non sono necessariamente migliori di quelle di ieri, ma sono più urgenti e più desiderate”), chiama in causa ovviamente Brecht; si apre alla emotività dell’uditorio, al suo spirito critico, e non può che terminare quando dalla sala si alzano invettive, voci di dissenso e, persino, poco eleganti inviti a “darci un taglio”. Un colpo di genio, a nostro avviso, che innerva di estrema originalità l’intera operazione, rendendola ancora più attuale alla luce dell’atroce conflitto tra Russia e Ucraina scoppiato due mesi fa e delle derive dittatoriali di Putin.
Non vi è tuttavia un’ostinazione tragica in questo approdo. Lo spettacolo, viceversa, arriva al suo cuore attraversando linguaggi leggeri e diversi, nel segno di quella libertà inventiva con cui Rodrigues ci aveva già convinti nel suo poetico e danzante Antonio e Cleopatra passato per Roma nel 2018 e di scena a Torino dal 27 al 30 di questo mese. In Catarina registri distanti tra loro si sovrappongono, infatti, con naturale armonia. Non mancano echi storici e autobiografici: la dittatura direttamente allusa è quella di Salazar, cui pose fine la Rivoluzione dei garofani del 1974, una rivoluzione ‘non cruenta’ alla quale parteciparono i genitori stessi del regista; non manca (ancor prima dell’epilogo) il coinvolgimento diretto del pubblico, dispositivo già messo felicemente in atto in By Hearth (2016) e nel progetto Occupation Bastille (sempre del 2016); non manca una consapevolezza scenica ricca di sfumature metateatrali che richiamano alla mente il toccante Sopro presentato a Milano due anni fa; non mancano battute sagaci sulle ossessioni moderne per il cibo biologico e il veganesimo, così come ariosi slanci lirici o impegnative dissertazioni filosofiche.
Non mancano poi, all’interno di una perfetta partitura musicale curata da Pedro Costa, le canzoni eseguite dal vivo con estrema maestria: molto intensa risulta, per esempio, l’esecuzione del brano della Resistenza comunista Fischia il vento, rivisitato in una versione in portoghese e cantato a cappella dagli attori. I quali sono tutti egualmente bravi, naturali, diretti, capaci di catturare lo spirito grottesco e in fondo lieve della pièce ma, al contempo, di dare spessore significativo al loro dire/fare evitando la retorica e la gigioneria. Motivo per cui ci sembra più che doveroso citarli tutti: António Fonseca, Beatriz Maia, Isabel Abreu, Marco Mendonça, Pedro Gil, Romeu Costa, Rui M. Silva, Sara Barros Leitão. Sono loro, in fondo, la materia viva di questo complesso gioco teatrale che parla con intelligenza alla coscienza di ciascuno. Perché è proprio la coscienza personale, collettiva e storica – in pratica, il senso dell’umano – il perno della faccenda. Al di là e a prescindere da qualsivoglia ideologia politica.
CATARINA E A BELEZA DE MATAR FASCISTAS
testi e regia Tiago Rodrigues
con António Fonseca, Beatriz Maia, Isabel Abreu, Marco Mendonça, Pedro Gil, Romeu Costa, Rui M. Silva, Sara Barros Leitão
voice over Cláudio de Castro, Nadiya Bocharova, Paula Mora, Pedro Moldão
scenografia F. Ribeiro
costumi José António Tenente
luci Nuno Meira
sound design e musica originale Pedro Costa
arrangiamenti corali e vocali João Henriques
voce fuori campo Cláudio deCastro, Nadezhda Bocharova, Paula Mora, Pedro Moldão
supporto ai movimenti Sofia Dias, Vítor Roriz
combattimenti scenici e uso delle armi David Chan Cordeiro
a
ssistente alla regia Margarida Bak Gordon
direttore di scena Carlos Freitas
suggeritrice Cristina Vidal
traduzioni Daniel Hahn (inglese), Thomas Resendes (francese) Vincenzo Arsilio (italiano)
sopratitoli Rita Mendes
produzione esecutiva Rita Forjaz, Pedro Pestana
Produzione Teatro Nacional D. Maria II Coproduzione Wiener Festwochen, Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Emilia Romagna Teatro Fondazione, ThéâtredelaCité-CDN Toulouse Occitanie & Théâtre Garonne Scène européenne Toulouse, Festival d’Automne à Paris & Théâtre des Bouffes du Nord, Hrvatsko Narodno Kazalište, Comédie de Caen, Théâtre de Liège, Maison de la Culture d’Amiens, BIT Teatergarasjen, Le Trident-Scène-nationale de Cherbourg-en-Cotentin, Teatre Lliure, Centro Cultural Vila Flor, O Espaço do Tempo
spettacolo in portoghese con sovratitoli in italiano
foto di copertina: Filipe Ferreira
Teatro Argentina di Roma
11/14 aprile 2022