RENZO FRANCABANDERA | Nel panorama dei festival nazionali, il piemontese Concentrica Festival ha sviluppato negli anni un suo spazio specifico di primario interesse. L’attenzione alle reti di progettazione e programmazione su scala nazionale, unita al coinvolgimento delle giovani generazioni, sia con riguardo agli artisti che al pubblico, è da sempre una delle chiavi dell’azione culturale sul territorio piemontese di Lorena Senestro e Massimo Betti Merlin. Hanno iniziato dando vita alla Compagnia Teatro della Caduta nata a Torino nel 2003.
La scelta della sede per la pratica artistica cadde sul quartiere Vanchiglia, vicino al centro cittadino ma che ancora oggi sembra un paese dentro la città. Trasformarono una vecchia bottega di quartiere in un teatro in miniatura con palco all’italiana, sipario a mano, 45 posti a sedere e un palco di 4×3 metri. Un insolito soppalco alle spalle della scena con tanto di pianoforte per accogliere i musicisti, e un arredo intimo realizzato con materiali di recupero e una ristrutturazione molto artigianale.
Da allora il progetto è cresciuto e dieci anni fa è nato il Festival. Ora Concentrica è un vero e proprio network, che mette in rete oltre sedici partner: ha consolidato la rete territoriale ed extraterritoriale, integrando progressivamente anche le collaborazioni pregresse di ciascun partner.

L’obiettivo comune è quello di estendere l’accessibilità della rassegna e la possibilità di fruizione della proposta culturale da parte di un pubblico eterogeneo sia per composizione anagrafica sia per interessi e gusti, per favorire la connessione e la circuitazione del pubblico del teatro contemporaneo, attraverso azioni condivise sul piano della programmazione, della comunicazione e della promozione.
Il progetto Concentrica Open School è realizzato dal Teatro della Caduta in collaborazione con TOOL – Torino Open Lab e si innesta all’interno di un più ampio cantiere di sperimentazione di Concentrica – spettacoli in orbita, attualmente alla sua nona edizione e sostenuto da Fondazione Compagnia di San Paolo, Regione Piemonte, Fondazione Piemonte dal Vivo, Città di Torino, Fondazione CRT e TAP | Torino Arti Performative.

IIS Avogadro, Convitto Nazionale Umberto I e Liceo Berti sono i tre  Istituti torinesi che hanno aderito al progetto formativo, partito nel mese di gennaio 2022 con laboratori pratici inseriti nei percorsi di Alternanza scuola-lavoro (PCTO) volti d informare e avvicinare i ragazzi a quelle professioni, legate al settore delle arti performative, spesso nascoste “dietro le quinte”, facendo loro vivere in prima persona le fasi di organizzazione di un evento culturale.

Dal 28 aprile al 7 maggio 2022, a conclusione del periodo formativo, gli studenti diventeranno i padroni di casa e, all’interno dell’IIS Avogadro e del Liceo Berti, accoglieranno il pubblico esterno, accompagnandolo in speciali visite guidate, raccontando  la propria scuola – spesso anche eccellenza di interesse storico o artistico – occupandosi  di promuovere il cartellone di spettacoli teatrali.

Abbiamo intervistato Massimo Betti Merlin e Lorena Senestro, a pochi giorni dall’avvio della vetrina.

Quali sono le determinanti progettuali della vostra rassegna, la filosofia sottostante alle scelte artistiche?

LS: È un festival peculiare. Per un verso parliamo sicuramente di spettacoli di profilo nazionale, per altro verso è una rassegna dedicata agli artisti emergenti. Abbiamo da sempre avuto molto presente la grande criticità, tutta italiana, della distribuzione. Concentrica è molte cose durante l’anno, cose che cercano poi di condensarsi nella vetrina, in cui gli artisti incontrano non solo il pubblico ma anche i nostri partner, che a quel punto possono scegliere i lavori per poi programmarli nelle loro realtà. Si sviluppa così l’idea di un festival diffuso, di cui la vetrina è il momento originario, dando modo agli artisti di avere, oltre al cachet, una concreta possibilità poi di circuitare. Da questo punto di vista direi che siamo interpreti di un modello anomalo di festival.

Voi funzionate anche come centro di promozione. In che senso è possibile definire questa cosa e che cosa significa fare promozione oggi di spettacolo dal vivo indipendente?

LS: Abbiamo da sempre l’idea di andare in aiuto degli artisti, che è ciò che si cerca di fare, sul versante degli spettacoli, con Concentrica: creare le prospettive per offrire agli artisti la possibilità del maggior numero di repliche possibili, anche durante più anni. Mi viene ora in mente Andrea Cosentino al quale abbiamo procurato 17/18 repliche nel corso degli anni.
Ovviamente cerchiamo anche noi di programmare le novità, però non è detto che qualche partner non scelga poi di prendere uno spettacolo che era in vetrina qualche anno fa: e noi continuiamo a promuoverlo.
Problema annoso quello dei festival: in ragione delle regole ministeriali, tutti cercano di avere in programma qualche debutto, qualche prima, e per questa ragione gli artisti sono costretti a produrre in continuazione. Ma non di rado questi lavori dopo il debutto girano poco, proprio perché il sistema chiede sempre di produrre ma non è poi capace di sostenere la circuitazione.

In questi anni la comunicazione teatrale si è infarcita di parole come audience development, co-creazione. Il vostro impegno sembra voler andare un po’ oltre gli slogan. In che modo è possibile farlo?

LS: Con riguardo al tema del pubblico, penso sia a tutti evidente che il nostro settore è molto in crisi: c’è un problema nella domanda, nel senso che la gente a teatro va sempre meno, le programmazioni sono sature e a volte la platea si popola in modo desolante solo di teatranti. Il tema allora è cosa e verso chi promuovere.
La prima questione che ci siamo posti è stata quindi quella di cercare veramente un nuovo pubblico e siamo partiti dalle scuole, e non con i laboratori teatrali, ma cercando di spiegare alle giovani generazioni come intraprendere il lavoro in ambito culturale, favorendo la conoscenza di tutti i mestieri che vi sono coinvolti, oltre a quelli più evidenti dell’attore o del regista. Abbiamo cercato di favorire l’incontro con il mondo che sta dentro il complesso universo dell’organizzazione teatrale, fino alla comunicazione, alle nuove figure dei social media manager, giusto per fare un esempio.
Cerchiamo dunque di far conoscere ai giovani più che il linguaggio in senso stretto l’intero settore creativo e produttivo che, come si diceva, è spesso a loro totalmente sconosciuto. Parliamo proprio di mestieri con cui loro non hanno mai avuto modo di tessere relazione. Noi cerchiamo di avvicinarli alla possibilità di riorientarsi, per decidere in maniera più ampia cosa vogliono fare del loro futuro includendo l’arte fra queste possibilità.
Con il progetto Open School portiamo il linguaggio nel luogo scuola, portiamo lì le persone, il pubblico e ovviamente i ragazzi stessi che sono protagonisti di questo incontro. Si tratta di appassionarli al dietro le quinte. E così ti rendi conto che i ragazzi prima di tutto non hanno idea di che cosa sia la complessa macchina teatrale. Di qui la scelta di portare gli eventi nelle scuole, a casa loro, dove loro sono protagonisti: pubblico vero. E spesso il risultato è che davvero si appassionano. Oltre al pubblico teatrale più adulto e consolidato, agli operatori che vengono a vedere le creazioni delle nuove realtà, noi cerchiamo di far crescere “da dietro le quinte” questo potenziale nuovo pubblico.

In che modo l’ibridazione pubblico/privato funziona nell’economia dell’arte? Siete per un’arte completamente sostenuta dal pubblico o per un’arte che invece cerca il committente privato?

LS: Non so rispondere in modo univoco a questa domanda: ci sono casi e casi. Istintivamente il sostegno pubblico verrebbe considerato come naturale conseguenza del riconoscimento della società per il ruolo della cultura. È anche vero, che quando la creatività diventa mestiere, talvolta si perde la sostanza della creatività stessa. Ma questa cosa forse non si può scrivere (ride n.d.r.). Ci sono momenti in cui si è più artisti, più creativi e altri momenti in cui questa cosa un po’ svanisce, e a volte il tipo di sostegno può influire anche negativamente.

MBM: Ci sono due temi contrapposti legati al ruolo del sostegno pubblico alla cultura. Noi del settore culturale a volte abbiamo una sorta di senso di colpa perché assistito dal denaro pubblico, ma in realtà, guardando all’intero sistema produttivo sia culturale che non, quello che arriva al teatro è davvero pochissimo. Un dibattito sollevato anni fa da Baricco, si ricorderà. Ma penso ad esempio a quanti settori e in che modo, in questi ultimi anni, sono stati sostenuti, fino anche all’esempio di questi giorni del settore degli armamenti. C’è molta retorica e sicuramente la cultura non dovrebbe essere un ministero inteso in senso stretto. Dovrebbe riguardare anche tutti gli altri ministeri, essere trasversale.
D’altro canto c’è la seconda forza che agisce con riferimento all’intervento pubblico, che riguarda proprio il problema istituzionale e normativo della gestione delle risorse scarse, e del fatto che nella distribuzione finale, spesso fra i più piccoli ci si faccia la guerra per poco, quella che io chiamo la carota: contributi spesso piccolissimi, che nella realtà non spostano nulla, ma che non di rado diventano motivo per sfaldare progetti di partnership locali fin dal loro nascere.

Siete uno dei casi virtuosi di tentativo di creare dal basso un circuito di secondo livello rispetto a quello del teatro istituzionale, degli stabili, dei teatri di rilevante interesse su cui è stato modellato negli ultimi anni il sistema. 

MBM: Da 15 anni ormai ci occupiamo di progettualità in rete, specie a livello giovanile e nella produzione indipendente: abbiamo portato In Box in Piemonte, abbiamo favorito la diffusione di C.Re.S.Co. sul territorio, fin dal 2008 siamo stati partner di una rete del territorio, che esiste ancora, proprio per far nascere i nuovi protagonismi del linguaggio. E ora con Concentrica abbiamo un numero di partner veramente ampio e diffuso, con cui ragioniamo in modo molto aperto.

Sarebbe molto interessante un circuito alternativo, capace di sostenere la produzione indipendente, e voi in qualche modo cercate di sviluppare questo modello che potrebbe anche portare ad economie di scala per i più piccoli. 

MBM: Questo è proprio il tema da cui è partito Concentrica. Parliamo di un decennio fa. Avevo portato avanti il mio progetto a testa bassa, creando un gruppo di artisti, creando un pubblico. Però sentivo che mancava il lavoro di rete. All’epoca se ne parlava. Però non lo facevano in tanti, mentre la nostra idea era quella di far nascere un progetto che fondasse la sua forza proprio sul tentativo di creare un circuito, aprire un dialogo fra diversi soggetti e creare una piccola forza da questa unione. Si cercava anche di risolvere il problema degli spettacoli che avevano pochissime repliche. Penso alle prime date qui in Piemonte di Carrozzeria Orfeo, o Musella/Mazzarelli che all’inizio nel primo biennio di attività avevano purtroppo fatto poche repliche nel nostro territorio, proprio per la difficoltà di circuitare. E come loro, pensiamo a tanti altri. Siamo felici di vedere ora il loro impegno premiato e programmato nei teatri stabili.

Ma anche questo secondo livello spesso non è esente da egoismi di sorta. Voi cosa ne pensate?

MBM: La questione riguarda proprio la fisionomia di chi è all’origine dei progetti: spesso nascono da esperimenti con una propria specifica identità, una velleità artistica, diciamo così. Dal progetto artistico si passa poi a dover gestire un progetto organizzativo. E in questo passaggio si risente di quello che potremmo definire egocentrismo della propria poetica. È un primo problema strutturale del settore, che non gli fa bene.
Anche le collaborazioni sono a volte di facciata: si fondano, più che sulla comune progettualità rispetto al linguaggio, su una sommatoria di interessi. È brutto constatare come i progetti di reciproco sostegno e mutualità si sfaldino sotto il ricatto delle risorse scarse. E sembra in alcuni casi che le istituzioni, creando disparità, contribuiscano da certi punti di vista a far saltare il sistema di cooperazione progettuale sui territori, per riagganciarsi a quanto si diceva prima.
Altrove in Europa si assiste ad esempi più virtuosi di solidarietà fra forme diverse di linguaggi, dove gli artisti che già sono stati beneficiari di finanziamenti si mettono in ascolto delle giovani generazioni che propongono nuovi progetti. Succede ad esempio in Francia, e il tema è significativo sia con riferimento al dialogo intergenerazionale che alle proposte stesse dei più giovani, con la prospettiva di favorire un naturale ricambio. Qui invece, oltre allo scarso ricambio generazionale, sembra che in molti si accontentino della propria piccolissima fettina, della propria carota, ottenuta la quale ci si tira poi indietro dal sistema condiviso, senza dare ascolto alle nuove istanze. C’è ancora molta strada da fare.

Allora qual è il vostro segreto, quello che vi ha permesso comunque di crescere e svilupparvi in questo decennio?

LS: Posso dirti che l’ingrediente magico per noi è quello di non mettere il teatro al centro!

Questa sembra proprio un’ottima idea per la felicità e per la sopravvivenza! (ridiamo insieme, n.d.r.)

LS: Il teatro ti dà tutto. Ma ti mangia tutto. Tu li vedi quelli di una certa età che si sono dedicati solo al teatro. Ecco… Bisognerebbe farne un’ostensione perché a volte comunicano un’idea proprio contraria alla felicità della vita.
A noi piace l’idea di avere i giovani al centro. Loro vedono il teatro e ne sono catturati. Questo è giusto, quello che dovrebbe accadere. Noi come direzione artistica cerchiamo di non mettere troppa enfasi sul nostro fare; nella rassegna diamo sempre voce a loro, per permettere loro di confrontarsi con il linguaggio stesso. La scelta stessa degli spettacoli è proprio al servizio del contesto e funzionale sia all’idea della vetrina, in modo tale che poi i nostri partner possano effettivamente programmare questi lavori, sia anche all’incontro dell’arte con chi dovrebbe fruirla come nutrimento primario.
C’è una cosa importante: i nostri spettacoli si concludono sempre con un incontro in cui i giovani parlano agli artisti. Diamo loro il microfono, restituiscono loro un feedback su quello che effettivamente a loro è parso della visione e non di rado assistiamo a conversazioni in cui agli artisti viene restituito un messaggio di senso molto diverso da quello che loro pensavano di aver comunicato, o che era nella loro intenzione comunicare. Un ritorno a volte sconvolgente per gli artisti stessi, cosa che può avvenire solo se si mettono in dialogo le generazioni, permettendo al teatro stesso di incontrare il futuro.


Video tratto dal profilo Facebook del Festival Concentrica

LA RASSEGNA

gio 28/04 – 21:00 | La Foresta | I Pesci&Ortika | IIS Avogadro – INFO | BIGLIETTI
ven 29/04 – 21:00 | GRAY o sulla paura della vecchiezza | Collettivo BALT | Liceo Berti – INFO | BIGLIETTI
sab 30/04 – 21:00 | Il Colloquio | Collettivo LunAzione | IIS Avogadro – INFO | BIGLIETTI
gio 05/05 – 21:00 | Into the Wilde | Marco Bianchini | Cecchi Point – INFO | BIGLIETTI
ven 06/05 – 21:00 | Apocalisse Tascabile | Niccolò Fettarappa Sandri e Lorenzo Guerrieri | Liceo Berti – INFO | BIGLIETTI
sab 07/05 – 21:00 | Assenza Sparsa | Pan Domu Teatro | Liceo Berti – INFO | BIGLIETTI