SUSANNA PIETROSANTI | Va in scena al Teatro Quaranthana di San Miniato, nell’interpretazione asciutta e vibrante di Sandra Garuglieri, un nuovo testo di Oscar de Summa, Nessun elenco di cose storte. Un testo sulla morte e sul naufragio, sulla capacità di nominare e sul pericolo di farlo, un testo pieno di sensi e di mistero.
Il giorno dopo la disgrazia, una qualunque, magari un ennesimo naufragio nelle acque tormentate del Mediterraneo, un’attività di formicaio si attiva. Ma il testo non vuole raccontarla, né alludere all’epica della squadra di ricerca o alla favola dolorosa dei migranti dispersi. Il testo attua, invece, un salto nel profondo. Muove domande: che fare dei corpi? Che fare dei nomi che non conosciamo? Esistiamo senza un nome? Quante profonde sono le radici del nome, quanto forte il peso di un corpo inanimato? Il testo fa ondeggiare una selva di domande. Diventa un gioco, un giallo: chi ha ucciso la morte?
L’autore Oscar De Summa accetta di guidarci nell’analisi di questi meandri, di fungere, insieme, da aiutante e da investigatore.
Qual è stata l’occasione che ha fatto nascere questo testo?
Da molto tempo io e Sandra Garuglieri volevamo lavorare insieme. Abbiamo deciso così di incontrarci per capire quali fossero i nostri campi di interesse e di urgenza comuni. Abbiamo chiacchierato a lungo, di letteratura, di teatro, ma soprattutto di noi, di cosa in questo momento storico stavamo cercando. Dopo tanto chiacchierare abbiamo individuato due strade che ci interessavano, anche se apparentemente sembravano distanti. Il primo è il libro di Cristina Cattaneo, Naufraghi senza volto, che ci ha riportato dentro una ferita sempre aperta che riguarda il nostro Mediterraneo e sulla quale entrambi ci siamo ritrovati sensibili; e l’altro era una passione di Sandra per i libri gialli.
Incuriosito mi sono allora messo a leggere gialli, soprattutto quelli di Fred Vargas e in particolare I 3 evangelisti.
Queste due cose in un certo senso si sono fuse nel nostro immaginario e così è nata l’idea di lavorare sul libro di Cattaneo proprio come fosse un giallo.
Questi gli intratesti che sottostanno al lavoro. Ma naturalmente la vostra ricerca non si è fermata qui….
No. Era importante capire cos’è la morte, per quanto possibile. Quanto questa riguardi non solo i morti ma soprattutto i vivi. Tutte le ritualità intorno al passaggio servono a noi che viviamo, non certo ai morti, ma sono fondamentali per costruire il contrappeso al valore che diamo alla vita in generale e alla nostra piccola vita in particolare. Solo in questi momenti scopriamo il valore delle cose, la necessità di portare a compimento i nostri piccoli propositi che altro non sono se non l’estremo tentativo di capire qual è il significato profondo di tutto il nostro vivere, un soffio a cui da sempre cerchiamo di dare significato.
Dare un senso alla morte, al mancare, allo sparire, è un percorso che non può prescindere dal corpo. Assistendo alla performance, questo appare chiaro.
Inevitabilmente si deve passare attraverso “il corpo”: qual è il suo valore era la domanda che ci siamo fatti. E questa semplice domanda ha portato a galla, come fossero parti di un discorso immerso nel divenire, tutti i suoi corollari: chi sono io, da dove vengo, e il sempre verde amletico dubbio sull’essere qui e ora o partire per un al di là sconosciuto. Il corpo. È in lui che risiedono le domande più pregnanti, più spiazzanti. Su questo si giocano le battaglie del potere, sul suo possesso, il suo valore, la sua libertà, attraverso il confronto con lo stato, con la religione con la famiglia. E sicuramente gli eventi degli ultimi anni hanno reso chiaro che non siamo padroni del nostro corpo. Neanche dopo la morte.
Riguardo a questo la bibliografia è sterminata…
Due altri libri fondamentali hanno aperto le porte al significato più profondo del testo: L’uomo e la morte di Edgar Morin e Mortalità, immortalità e altre strategie di vita di Zygmunt Bauman. Ma sempre sullo sfondo le tesi di Byung Chul Han e la teorizzazione dell’espulsione dell’Altro dalle nostre vite.
L’altro, e anche noi stessi quando, post mortem, diventiamo carne altra…
È qui che abbiamo voluto mettere l’accento. In modo ironico abbiamo pensato all’ingombro che crea un corpo: non ci si può disfare dei corpi impunemente. Anche se la nostra società tende sempre di più a eliminare la morte e il dolore che le corrisponde dalla nostra vita e dal nostro orizzonte, i corpi, inanimati, senza più vita, ritornano letteralmente a galla a ricordarci che ogni scelta che facciamo ha delle conseguenze, che anche se fuggiamo dal dolore, lo anestetizziamo, eliminando l’Altro come parte integrante della necessaria relazione, è proprio lui, in un confronto diretto, che ci indica e ci impone di superare le soglie che ci rendono consapevoli del viaggio.
Un tema infinitamente antropologico e infinitamente teatrale. Eduardo de Filippo sosteneva che il teatro non è altro che lo sforzo disperato dell’essere umano di dare un senso alla vita: e un nome alla morte, potremmo dire?
L’uomo l’ha sempre saputo, e ci ha sempre giocato anche se epoca dopo epoca gli ha attribuito valori sempre diversi. Per questo all’inizio leggiamo un falso canovaccio di Pulcinella che incontra la morte… ne ride ma non la può evitare. Così, con una risata entriamo nella vicenda personale di Sandra che racconta il suo incontro con la morte del padre per poi passare al confronto con la morte nel Mediterraneo e tutto, come abbiamo già detto, attraverso un corpo senza identità.
Uno dei temi forti è il confronto con l’altro, da sempre controverso e specialmente in questo momento storico ancora più arduo. Ma il testo, mi sembra, rinvia anche a una riflessione sulla tragicità, su cosa sia adesso tragedia, e come la tragedia invii messaggi di ripresa e di speranza.
Il confronto con l’Altro è sempre più difficile, sempre più distante in questa società della performance e il teatro forse è l’ultimo baluardo della riflessione insieme intorno ai temi, mondati dal romanticismo, che riguardano l’uomo e la sua tragicità. Un’esperienza che attraversando il vasto impero delle emozioni possa giungere alla potenza dei sentimenti. Anche se abbiamo fatto di tutto per allontanarla, questa tragicità è insita nel corpo quindi irremovibile, inevitabile. Così ci prendiamo la responsabilità, io e Sandra, di riportare l’attenzione su una delle cose che ci stanno sfuggendo, uno dei temi che rischiano sempre di essere cancellati dal mercato.
Naturalmente non ci sono risposte. Ma farsi insieme le domande, insieme comprendere, attraverso un’esperienza diretta, nel qui e ora, ci porta alla consapevolezza che non ci sono risposte, e forse è questo il senso del fare teatro in questo momento storico.
NESSUN ELENCO DI COSE STORTE
testo e regia Oscar de Summa
in scena Sandra Garuglieri
produzione Atto Due