ELENA SCOLARI | Nel 1985 Francesco De Gregori scrive A pà (inserita nell’album Scacchi e tarocchi), una canzone dedicata a Pierpaolo Pasolini, che comincia così:

“Non mi ricordo se c’era luna
e né che occhi aveva il ragazzo
ma mi ricordo quel sapore in gola
e l’odore del mare come uno schiaffo.
Tutto passa, il resto va.
A Pà”

dove “Pà” sta per Pasolini, come lo chiamavano gli amici romani. Lo schiaffo che gli diede il mare di Ostia fu definitivo: l’intellettuale morì nel 1975, assassinato sulla sabbia del lido, in una notte di novembre.
E schiaffi furono quelli che Pasolini sferrò, senza sconti, durante tutta la sua carriera di artista osservatore, di critico “a tutto tondo” della società italiana, delle contraddizioni e delle ipocrisie che vi si annidavano, più o meno celate.
Nessuno come Pasolini (gareggiano De Andrè, Dario Fo e ora Gino Strada) viene citato post mortem a destra e a manca, vittima della disdicevole abitudine obitoria di chi scomoda i morti preferiti supponendo che avrebbero sostenuto le proprie tesi su qualsivoglia argomento. Un modo più corretto di onorare un uomo che molto si è espresso, come Pasolini, è ripercorrere proprio le sue parole, ed è quello che fa la compagnia Anagoor con L’italiano è ladro, programmato da Zona K nella Stagione diffusa POST, realizzata in vari spazi milanesi.
Anagoor è la città di uno dei Sessanta racconti di Dino Buzzati, è una città nel deserto, che attrae misteriosamente le persone, ed è il simbolo della ricerca della felicità che accomuna tutti gli uomini e le donne. Che cosa poi sia la felicità è indagine che ognuno declina a suo modo; una delle prospettive in cui la inscriveva Pasolini fu il tentativo di comprendere – potremmo dire filosoficamente – la vita, l’uomo, la realtà, le matrici primigenie della cultura e dei comportamenti. 
L’italiano è ladro è un testo, definito un “non finito strutturale”, comparso parzialmente nel 1955 sulla rivista letteraria Nuova Corrente. Si tratta di un dialogo poetico in versi novenari (li ha usati solo Pascoli) tra Dino, il figlio del contadino, e il figlio del padrone. I due personaggi rappresentano – ovviamente – ognuno la propria classe, proletariato e borghesia, e il loro confronto è il confronto di questi gruppi sociali, contrapposti ma complementari, poli nemici che si attraggono. Si fronteggiano città e campagna, la retorica dell’idillio bucolico contro l’inarrestabile progresso, topoi che si ritrovano in molte creazioni di Pier Paolo Pasolini, che vive profondamente tali contrasti, patendo forse un senso di colpa per non appartenere abbastanza al popolo, che espia frequentandolo, analizzandolo e nobilitandolo.

Marco Menegoni e Luca Altavilla, puliti interpreti nella regia netta di Simone Derai, formano un triangolo con Lisa Gasparotto (definita mediatrice), che guida il pubblico dando importanti informazioni e compiendo un’esegesi del senso testo altrimenti non facile da seguire e da cogliere.
La scena è spoglia, si avvale soltanto dell’importante fondale del Teatro Out Off, mura di pietra che perfettamente si attagliano al contesto, suggerendo piani di lettura che si intravedono dietro le aperture.
Una piccola foto di Pasolini in bianco e nero, formato A4, è appesa al muro: l’autore veglia, sorveglia, presenzia alla messinscena dei propri pensieri, detti e gridati davanti a un pubblico.
Menegoni e Altavilla sono eleganti: camicia bianca e cravatta, pantaloni scuri e scarpe nere signorili. Non è un caso, è una forma di rispettosa attenzione verso l’autore e verso la platea, nonché un segno formale di contrasto con la rudezza dei contenuti.
Recitano il testo davanti a un microfono ad asta, intervallati dalle essenziali note di L. Gasparotto, in abito blu, seduta a un tavolino, nella zona destra del palco. Altavilla è vigoroso ed è veicolo delle parti più scabre del testo, Menegoni misurato e compreso per i brani meno violenti; la presenza femminile della mediatrice in ascolto è un terzo polo di equilibrio, che con una sottile scelta registica, rappresenta una distanza dagli affondi rabbiosi e aspri dei due attori.
La “transizione imperfetta” del sottotitolo è quindi anche la dichiarazione artistica della compagnia che traduce il testo di PPP dalle pagine allo spazio e al tempo della scena.

L’italiano del titolo non è, nel suo primo significato, un cittadino nostro connazionale ma l’italiano lingua, costituito anche da incursioni in lingue più antiche, greco e latino, ma anche nei dialetti, amati e salvaguardati da Pasolini (vd. Il Canzoniere, corposa antologia di poesie popolari regionali) e qui inseriti tramite l’uso di termini e parlate locali, friulane ed emiliane ma in certi brani ricordando il suono della lingua testoriana, fatta di neologismi e invenzioni verbali dirette e immediate che hanno la forza delle espressioni dialettali.
L’italiano è ladro è un testo duro, cruento, crudo ma pieno di immagini bellissime come il soffio dell’arcolaio o i manzi bianchi come le stelle, suggestioni contadine vestite di poesia. Poi però si piomba nel sangue, nel vomito, nel ricco che cammina sullo stomaco del povero, sancendo la sua tracotanza prevaricatrice. Lotta di classe, non se ne esce.
In questa opera, come in moltissimi altri casi pasolinani, l’autore, all’epoca sua, voleva senz’altro épater les bourgeois, e negli anni dai ’50 ai ’70 sicuramente ci riusciva, oggi invece si delinea un atteggiamento di compiaciuta condiscendenza verso un atteggiamento ribelle e provocatorio che viene accolto e accettato con ammirazione, quasi come se l’assenso a chi ti si scaglia contro ripulisse la coscienza dalla comodità di essere seduti in una poltrona di teatro. Ed è qui che arriva la bestemmia, ripetuta, lanciata, scaraventata, quei porco… urlati che sono la veemente protesta di una classe intera, come ci spiega Lisa Gasparotto.
Bestemmiava allora il contadino, il sottoproletario costretto alla fatica e alla povertà e bestemmia oggi il muratore che costruisce contestando, ma nella penna di Pasolini l’ingiuria diventa letteraria, giustificata in quanto strumento popolare di rivolta.

In L’italiano è ladro, tramite un movimento regressivo, il personaggio figlio del ricco (e l’autore con lui) vuole assolvere alla missione di prestare la propria competenza e la propria capacità linguistica a Dino, un coetaneo povero nella cui mente sta nascendo un albore di coscienza. Coscienza di classe, certo, ma anche coscienza di rapporti di dipendenza: quelli causati dall’ambiente di nascita e quelli con le persone che in questo ambiente abitano, fratelli, donne, e tra le donne la madre. Ventre culla ma anche cordone mai spezzato, croce e delizia mai risolti.
Ed è un coro di madri a piangere il protagonista del poema, l’ultimo schiaffo con cui l’autore accarezza l’uditorio.


L’ITALIANO È LADRO

Una transizione imperfetta

di Pier Paolo Pasolini
voci Luca Altavilla, Marco Menegoni
mediazione Lisa Gasparotto
suono Mauro Martinuz
regia Simone Derai
produzione Anagoor 2016 Co-produzione Stanze 2016, Centrale Fies

Teatro OutOff, Milano/Stagione POST di Zona K | 20 aprile 2022