LORENZO CERVINI | Una sospetta bustina di sostanze illecite trasporta il biglietto d’invito a Spacciamo Culture Interdette Edizione 2022, progetto dei Chille de la Balanza, inaugurato quest’anno unendo due precedenti iniziative di successo della compagnia.
La ricerca dei Chille parte dal luogo in cui è la loro sede operativa, l’ex manicomio di Firenze, per indagare spazi della vicenda umana dimenticati, declinando in molteplici linguaggi artistici inchieste, riflessioni e proposte per confrontare tematiche ignorate dalla cittadinanza e dalle legislazioni in carico.
“Chiunque provi la cultura ne esce assuefatto e i frequentatori del teatro soffrono di una dipendenza incurabile“, ironizza Claudio Ascoli nella presentazione della nuova forma del Festival che prospetta un futuro appuntamento annuale.
Due edizioni di Spacciamo Culture, installazioni site-specific di architettura e arte, e quattro di Storie Interdette, contest di teatro e danza, hanno prodotto le tre giornate, iniziate venerdì 13 maggio. Data simbolica dell’irruzione della Legge 180, il 13 maggio 1978 segnala la rottamazione delle strutture manicomiali e l’uscita degli psichiatrizzati in città, ora riabilitati dalla legge a una terapia attiva e dignitosa.
Difficile ricostruire fedelmente il complesso di pensiero che genera la costruzione di queste galere delle “passioni disordinate” e capire nel profondo la sofferenza provocata dalle misure di costrizione ai rinchiusi.
Un progetto di riqualificazione che appare come necessità a fine Ottocento per applicare una più rigorosa ed elegante pulizia alla vecchia struttura manicomiale, dal vecchio nome di Ospitale di Bonifazio, al tempo considerato sede disordinata e sconveniente per la città dal “culto del bello e del buono“, Firenze, che è a poco meno di tre chilometri dal parco San Salvi. Nei nuovi edifici impeccabili, gli operatori psichiatrici gestiscono un villaggio di condannati che si aggira all’interno delle inferriate in veste di fantasmi. In un perenne stato di alterazione, anestetizzati dalle terapie sperimentali – che fino a metà scorso secolo includono elettroshock e abbondante somministrazione di psicofarmaci – e alienati dalla reclusione, ai malati è vietata qualsiasi espressione di soggettività.
Passeggiando ora nel complesso di San Salvi, si percepisce come tale repressione sia incastrata in tutti gli angoli come polvere, specialmente nei pochi edifici ancora inagibili, fasciati da transenne e protetti nel loro aspetto trasandato dall’erba alta. San Salvi è un luogo che parla e che risponde sensibilmente ai cambiamenti. Ai confini della città di Firenze un cancello in ferro nasconde il suo grande organismo. Un braccio profilato dalla verde peluria degli alberi resistenti all’asfalto è la strada ricurva che culla il bambino centenario, ovvero i padiglioni sanitari dell’ex-manicomio.
Al centro delle strutture ora riconvertite in altrettanti punti di cura, la sede pulsante dei Chille. Anomala nel contesto medico, Chille vuole mostrare come San Salvi sia un posto vivo dimenticato, assopito dalla febbre delle istituzioni.
Lentiggini spuntate al primo sole primaverile, sono le 10 installazioni che costituiscono parte del Festival. Spacciamo Culture, in collaborazione con l’Università degli Studi di Firenze e l’Accademia di Belle Arti di Firenze, riflette sul luogo fisico del parco e chiede ai ragazzi partecipanti al bando di elaborare opere che si inseriscano organicamente in punti di San Salvi segnati dalla storia.
Confini architettonici invisibili, della mente, in tutte le dieci opere vincitrici, il corpo del visitatore si pone in relazione, sia da osservatore che come azionatore dei meccanismi ideati.
Nel percorso ideato per il Festival, le installazioni sono presenti di fronte o all’interno dei luoghi con cui si rapportano. Davanti alla finestra di Yun Zhang è una scultura a forma di corno che rappresenta il cono visivo di chi guarda dal buio di una finestra sbarrata di un pensionario abbandonato; Suture di Martina Rotella sono 5 totem di finta pelle tesa con ferite, bruciature e cicatrici rattoppate che rispecchiano la superficie del vecchio e fatiscente edificio dei tubercolotici.
Intravediamo tra le viti arrampicate sul vecchio cinema di San Salvi, “Il bene è un seme sepolto tra le rovine”, citazione di Piero Buscioni modellata in led verde da Giulia Guidicelli e Federica Vaia.
Ma che vuoi?! Di Wenzheng Zhang è intervento chirurgico sul muro che cinge la struttura, una vecchia pratica medievale che consisteva nel togliere la pietra della follia, segnalata da un cartello con grafica ispirata a Hieronymus Bosch.
Attraversiamo le arcate tra le strutture sanitarie, accarezzati dai teli appesi al vento di Perdere il segno di Benedetta Chiari e Elisa Pietracito, veli di cotone con legnetti appuntati per comporre titoli di giornali che evidenziano il “problema” dell’erbaccia.
Tra le cinque installazioni che richiedono la partecipazione attiva del corpo, un tunnel di tende ci avvolge una volta entrati nel labirinto di Attraverso lo spiraglio di Enrico Gallo; Diversa di Mattia Pierbattista è un flipper collaborativo, esposto davanti la vecchia direzione manicomiale: con la sospensione del peso da terra a più mani possiamo veicolare la pallina fuori dal percorso.
Su un muro abbandonato, post-it segnano il posto per gli oggetti al di sotto, Andrea Giorgi e Iliass Houbabi si ispirano a Cent’anni di Solitudine per ricostruire una memoria dei luoghi persi dalla collettività nel loro Il nome delle cose.
Sfumare di Elisa Puglisi è riflessione simbolica sulla problematica sociale della cura al cancro, che risulta ancora irrisolta: attraverso l’accensione di erbe mediche, la liberazione simbolica di fumi sanificatori.
Infine, nel posto più nascosto del percorso di installazioni, un grande muro colorato, Oltre il muro di Giorgio Manfrè è un mobile divisorio che si presenta come gioco di blocchi colorati da svuotare insieme.
Le tre giornate del Festival alternano mostre e performance, presentazioni di progetti e letture di opere per affrontare problematiche passate e presenti, tutte che partono dalla radice dell’alienamento mentale. Nella serata di venerdì 13, Sara Sicuro presenta il suo lavoro, Time. C’era tutta la materia del mondo.
Di sera, nel cortile del padiglione del Teatro di San Salvi, il cerchio bianco della luna è appeso come il faro di una struttura illuminotecnica. I muri e il balcone dell’ufficio sanitario, il cigolare della ferrovia che sfiora le mura del parco, tutto entra a farsi osservare in questo museo atmosferico.
Lo scorrere del tempo è presente a ballare con Sara Sicuro: il suo corpo risponde come pulviscolo sensibile alla traccia sonora che la accompagna. Collage di suoni d’ambiente, urla, sirene e interviste a lavoratori in vari settori di produzione. Ognuno parla della sua relazione con il tempo dedicato al lavoro. Nell’immersione nel momento presente, i movimenti di Sara si adattano alle vibrazioni sonore, riproducendo con il suo corpo le fluttuazioni, gli scatti, le interruzioni.
Il lavoro della danza brucia davanti agli occhi di chi assiste ed evapora impresso solo nei momenti precedenti all’uscita del corpo dal palco. Il lavoro degli artigiani, al contrario, è la registrazione sui materiali di una lunga serie di azioni ripetute infinite volte.
La divisione del tempo umano iniziata col fordismo ha sminuzzato la nostra vita in tempi di assenza e di spegnimento della coscienza: “Entri dentro il lavoro e non ci sei nemmeno più te”, si ascolta da uno di loro.
Tempo speso a godere di non essere dentro sé stessi, tempo speso a dimenticare di esistere, tempo speso ad augurarsi che sia passato, queste sono le confessioni che i lavoratori esprimono nella loro personale interpretazione.
Sara Sicuro rende giustizia a questi frammenti persi mostrando l’impressione che i suoni dei macchinari e della città scatenano nel suo movimento.
Batte il suo corpo sul pavimento, vibra come corda di una chitarra, si innalza come fiamma di saldatura, accarezza dolcemente nell’aria gli oggetti della produzione. Quello che ne risulta è la valorizzazione delle voci e delle gesta dimenticate del popolo lavoratore. Gli artigiani Giuseppe, Paolo e Michele, Marianne, Stephanie, Agostino (liutai, falegname, pellettiere, ceramista) e gli operai della macchina e della natura Dario, Enrico, Franco, Antonio, Anna (operaio GKN, elettricista, pescatore, maestro d’ascia, contadina) modellano con le loro interviste registrate, memoria di azioni, la presenza e l’espressione artistica di Sara che si abbandona a essere scolpita nel tempo.
“Io sono solo un mezzo per arrivare alla destinazione delle cose che sono intorno a me“, Spacciamo Culture Interdette esplode in tre giorni portando non solo mesi di ricerca alla vista dei passanti, ma anni della storia di uomini scomparsi che ritrovano in quest’iniziativa la giustizia del tempo perso a non esistere.
10 INSTALLAZIONI SITE-SPECIFIC DI 10 GIOVANI/CREATIVI
Benedetta Chiari/Elisa Pietracito (Perdere il segno), Enrico Gallo (Attraverso lo spiraglio), Andrea Giorgi/Iliass Houbabi (Il nome delle cose), Giulia Guidicelli/Federica Vaia (Il bene è un seme sepolto tra rovine), Giorgio Manfrè (Oltre il muro), Mattia Pierbattista (Diversa), Elisa Puglisi (Sfumare), Martina Rotella (Suture), Yun Zhang (Davanti alla finestra) e Wenzheng Zhang (Ma che vuoi?!).
TIME. C’ERA TUTTA LA MATERIA DEL MONDO.
concept e coreografia Sara Sicuro
interprete Sara Sicuro
musiche Marco Mazzi
foto Marco Mazzi
interviste a cura di Sara Sicuro
si ringraziano per la collaborazione: Giuseppe (liutaio), Marianne (falegname), Stephanie (pelletteria), Paolo e Michele (liutai), Dario (operaio GKN), Enrico (elettricista e contadino), Franco (pescatore), Antonio (maestro d’ascia), Agostino (ceramista), Anna (contadina).
Chille de la Balanza
Festival SPACCIAMO CULTURE Interdette 2022 | 13, 14 e 15 maggio 2022