ELENA SCOLARI | C’è una zona dove stanno tutte le cose che non riusciamo a immaginare e che non riusciamo a capire davvero anche se ci sforziamo. Quella dimensione è l’Impossibile. Tiago Rodrigues chiama così quel territorio che possono comprendere fino in fondo solo le persone che ci hanno vissuto, non quelle che se lo sono sentite raccontare, nemmeno se ne hanno visto le immagini.
Dans la mesure de l’impossibile è stato costruito tramite conversazioni con operatori di Medecins Sans Frontières e della Croce Rossa Internazionale; Tiago Rodrigues mette in scena quattro attori che raccontano “pezzi di impossibile”: Adrien Barazzone, Beatriz Brás, Baptiste Coustenoble e Natacha Koutchoumov impersonano gli operatori stessi e non collocano mai geograficamente i fatti che narrano, per questo durante lo spettacolo prende sempre più sostanza quel paese impossibile, appunto, che accomuna tutte le situazioni di guerra o di emergenza umanitaria.
L’Impossibile però non è solo un luogo trasversale all’intero globo, è un insieme di circostanze, di situazioni limite, di continue prove estreme e logoranti che finiscono per costituire anche una lingua, una lingua franca che parlano gli abitanti – talvolta temporanei – di questa terra inimmaginabile.
La produzione Comédie de Genêve in collaborazione con numerosi e prestigiosi enti (vedi crediti in calce) tra cui anche il Piccolo Teatro di Milano che la ha inserita nel festival internazionale Presente Indicativo, si presenta (come avviene anche per Entre chien et loup di cui abbiamo recentemente parlato) dichiarando il meccanismo di composizione del lavoro: gli attori interpretano da subito gli operatori ma recitano le risposte alle domande che il regista ha posto loro spiegando di voler fare uno spettacolo su chi va in missione umanitaria, chiedendo quindi di raccontare “aneddoti” sulle loro esperienze. Le reazioni probabilmente mescolano diversi atteggiamenti incontrati durante la fase di raccolta delle interviste e li enfatizzano quel tanto per far emergere solo le affermazioni più ficcanti ed efficaci. C’è anche la curiosità degli amici degli operatori che chiedono “Raccontateci qualcosa” e il loro imbarazzo perché sanno che gli altri non parlano la lingua dell’Impossibile e perché qualunque storia affosserà la serata.
Per rendere scenicamente la dimensione dell’Impossibile Laurent Junod, Wendy Tokuoka e Laura Fleury tendono un grande telo bianco che copre l’intera grandezza del palco, mosso nei suoi contorni dagli attori stessi che agiscono a vista sui tiri; il musicista Gabriel Ferrandini compare e scompare tra i veli, lasciando a volte che sia il suono della sua batteria a diffondersi. I quattro interpreti recitano alternativamente in inglese e francese, sono vestiti con abiti semplici ma dai colori sgargianti, abbinati in maniera molto grafica (costumi di Magda Bizarro).
La struttura dello spettacolo è semplice: a turno gli interpreti prendono parola raccontando episodi del lavoro – effettivamente incredibile – che compiono in terre martoriate dai conflitti, dalle carestie e dalle malattie oppure ancora da cataclismi naturali. Sono storie di paura e coraggio, di sangue freddo e nervi saldi ma anche di umane difficoltà e profondi sconforti. Sono gli operatori per primi a non voler essere chiamati eroi, sanno di esserlo un po’ – almeno ai nostri occhi – ma soprattutto tengono ad affermare che il loro è un lavoro, non un’opera di solidarietà volontaristica fatta per lavarsi la coscienza; e per questo approfittano del luogo e si rivolgono alla platea riferendosi a chi lavora in teatro e che ancora fatica a essere considerato un vero lavoratore. Anche se opera in situazioni decisamente meno a rischio.
Tutte le narrazioni sono belle, a volte difficili da ascoltare stando nella comode poltrone di una sala occidentale e in pace, nella loro evidente gravità costringono a sconvolgere gli ordini di priorità e mostrano – senza mai alzare il ditino – la futilità delle nostre lamentele quotidiane. Sono belle perché il lavoro di adattamento delle testimonianze per la drammaturgia le ha rese letterarie; Rodrigues ha un dono di scrittura teatrale lieve, montaggio e scelta delle parole sono ricercati, essenziali, producono un piacere dell’ascolto rotondo e mai compiaciuto. In armonia con l’interpretazione degli attori, mai calcata, qua e là ironica, precisa e capace di colorire con gradazioni sottili rendendo perfettamente stati d’animo in cui mai avrebbero pensato di trovarsi prima di viaggiare nell’Impossibile. La splendida scrittura e la ricchezza interpretativa sono infatti i due aspetti più pregevoli di Dans la mesure de l’impossible.
Rimangono particolarmente vividi nella memoria alcuni particolari dei (tanti) racconti/aneddoti: una piantina di menta regalata da una delle persone aiutate all’operatore umanitario; una bandiera con il logo dell’organizzazione, diventata, inconsapevolmente, segnale di zona protetta; i bastoni usati per difendere le provviste dall’assalto degli affamati: a volte bisogna anche minacciare le persone che vuoi salvare; una confezione di cibo per gatti simbolo del mondo del possibile da cui qualcuno non ha saputo staccarsi: in un posto dove sono gli umani a non avere di che mangiare per vivere c’è chi si preoccupa di dare le crocchette giuste al proprio felino.
Il racconto reso in maniera più teatrale è quello di una missione in cui, in una zona montana (l’Afghanistan?) una donna a capo della spedizione medica ha il potere di fermare gli spari tra le due fazioni in guerra, poste su due versanti opposti del monte, per il tempo che serve a raggiungere un ragazzo gravemente ferito: quel tempo è sospeso, è silenzioso, è un momento di tregua che l’operatrice cerca di dilatare il più possibile, cammina lenta (pur sapendo che in realtà deve fare in fretta per salvare il giovane), prosegue piano perché la sospensione duri tanto da far dimenticare il motivo del contrasto e chissà, forse a cancellarlo. Il gruppo di attori si muove all’unisono, in diagonale, guadagnando ogni passo con ritmo rallentato, dal fondo del tendone sotto luci calde e morbide (curate da Rui Montero). Le donne intorno a quel ragazzo sono spaventate e la dottoressa accompagnerà la loro marcia verso una zona sicura con un canto fado struggente, che darà loro coraggio e le farà attraversare vita e morte in uno spazio e un tempo impossibili, sulle note di una ninna nanna antica.
Le missioni non sono un viaggio turistico dal quale si torna raccontando di aver perso la valigia all’aeroporto, sono trasferte in cui si possono perdere l’illusione, l’innocenza ma anche trovare la bussola che indica la via. Seguendo il profumo di una piantina di menta.
DANS LA MESURE DE L’IMPOSSIBLE – prima nazionale
testo e regia Tiago Rodrigues
traduzione Thomas Resendes
scene Laurent Junod, Wendy Tokuoka, Laura Fleury
musiche Gabriel Ferrandini
luci Rui Monteiro
suono Pedro Costa
costumi e collaborazione artistica Magda Bizarro
con Adrien Barazzone, Beatriz Brás, Baptiste Coustenoble, Natacha Koutchoumov e Gabriel Ferrandini (musicista)
produzione La Comédie de Genève
coproduzione Odéon-Théâtre de l’Europe – Paris, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Teatro Nacional D. Maria II – Lisbona, Equinoxe – Scène nationale de Chateauroux, CSS Teatro stabile di innovazione del FVG – Udine, Festival d’Automne à Paris, Théatre national de Bretagne – Rennes, Maillon Théatre de Strasbourg – Scène européenne, CDN Orléans – Val de Loire, La Coursive Scène nationale La Rochelle
con la collaborazione del CICR – Comité International de la Croix-Rouge – Medici senza frontiere
si ringrazia il Dipartimento di Lingue, Letterature, Culture e Mediazioni dell’Università degli Studi di Milano per la collaborazione
Teatro Strehler, Milano
25 maggio 2022